admin | December 20th, 2011 – 6:21 pm
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Anche lui, al Cairo, è diventato un bersaglio. Mohammed Hashem, lo storico fondatore della casa editrice Dar Merit. Il governo appena designato dalla giunta militare avrebbe ordinato il suo arresto, dice Hashem, che ha dato incarico al suo avvocato – a sua volta – di denunciare i generali al potere. L’avvocato è un nome altrettanto noto dell’attivismo egiziano: Ahmed Seif, per cinque anni ospite delle galere egiziane come comunista, avvocato in prima linea per la difesa dei diritti civili, papà di Alaa Abdel Fattah.
E’ ormai evidente, attraverso il caso Mohammed Hashem, che la giunta militare stia sferrando l’attacco ai nomi più noti e importanti della rivoluzione. Dopo l’arresto di Alaa Abdel Fattah, e dopo l’uccisione a colpi d’arma da fuoco (per mano ancora ignota) di sheykh Emad Effat, mentre partecipava alla manifestazione contro il governo, a Qasr el Eini. Ora tocca anche a Mohammed Hashem, l’editore che ha pubblicato tutta la nuova letteratura egiziana (compresa la primissima edizione del Palazzo Yacoubian di ‘Ala al Aswany), tutti i romanzi e le opere teatrali dei giovanissimi scrittori, le poesie di Ahmed Fouad Negm, il più grande poeta di strada nonché padre di un’altra delle attiviste più note di Tahrir, Nawara Negm.
Il salottino fumoso di Mohammed Hashem, la sede di Dar Merit, ha ospitato tutti noi che siamo andati a curiosare negli scorsi anni, a downtown, tra le nuove tendenze che crescevano all’ombra del regime, contro il regime. Mi ci accompagnò, qualche anno fa, Ahmed Alaidy, uno dei più promettenti giovani scrittori. Il tipico salottino fumoso della dissidenza, divenuto – durante la rivoluzione del 25 gennaio – il rifugio per gli attivisti. Allora, come nelle scorse settimane. Un rifugio che Hashem non solo non rinnega, ma che considera un fiore all’occhiello: rifarebbe tutto ciò che ha fatto, compresa – questa è l’accusa – dare ai manifestanti qualcosa per proteggersi, come i tipici caschi anti-infortunio.
Ad accusarlo è stato niente di meno che un generale della giunta militare, Adel Emara, che in una conferenza stampa tenutasi lunedì ha mostrato dei ragazzini che confessavano di essere stati aiutati da Mohammed Hashem. Ragazzini che si trovavano a Qasr el Eini, dicono. Un altro generale, Abdel Moneim Kato, aveva detto che i manifestanti dovevano essere messi nei forni, come aveva fatto Hitler… Generale in congedo, consulente della giunta per le pubbliche relazioni.
Si capisce, dunque, perché Mohammed Hashem possa far paura. Come molti altri. E come molte altre. A scendere in piazza, oggi, sono state le donne, per denunciare quello che hanno fatto i soldati, e che per anni ha fatto la polizia egiziana. In mano, le riproduzioni della foto che ha fatto il giro del mondo. La blue bra woman, la ragazza dal reggiseno azzurro, trascinata, pestata e denudata. Erano migliaia. E la speranza è che, ancora una volta, siano le donne egiziane a proteggere e salvare questa rivoluzione. Le donne che manifestano e quelle come S., che in obitorio vi ha passato ore ed ore, a vedere sfilare i cadaveri della battaglia di Mohammed Mahmoud, per raccogliere prove e poterle usare in un processo contro i responsabili. Lo racconta Mahmoud Salem, e cioè Sandmonkey, nel primo post dopo due mesi. E come sempre, è un racconto lucidissimo di quello che sta succedendo in Egitto. Lucido, triste. E’ una di quelle analisi che non si può non leggere.
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