ROMA – Giovedì, 14 aprile 2016, in una conferenza presso la Pontificia Università della Santa Croce di Roma, mons. Fouad Twal, Patriarca latino di Gerusalemme, ha parlato ad oltre 400 persone, della situazione dei cristiani in Terra Santa e delle numerose sfide che loro devono affrontare in Palestina e in Israele.
Il Patriarca è tornato alle origini storiche della prima comunità cristiana, la Chiesa di Gerusalemme, composta dall’«Ecclesia ex circoncisione», i giudeo-cristiani, e dall’«Ecclesia ex gentibus» (greci, romani, siriani, cananei, fenici, filistei, nabatei, moabiti, ammoniti, etc.). La Chiesa di Gerusalemme ha conosciuto molti regimi: arabi, crociati, mamelucca, ottomani e inglesi, e oggi l’antica Terra Santa è divisa in tre paesi: la Palestina, la Giordania e Israele, tre regioni che insieme a Cipro formano «la Diocesi di Gerusalemme», sotto la giurisdizione del Patriarcato. I cristiani sono una piccola minoranza, meno del 2% della popolazione – ha osservato il Patriarca. Il vescovo di Gerusalemme lamenta il crollo, nella città santa, della presenza cristiana che nel 1948 rappresentava un quarto della popolazione, al tempo della creazione dello Stato di Israele, contro solo l’1,97% della popolazione totale oggi. Ma la vocazione dei cristiani, pur essendo una minoranza, non è ultima in ordine di importanza, ha sottolineato il Patriarca: «I cristiani che vivono tra due maggioranze, ebrei e musulmani, sono quel “piccolo gregge”, di cui parla il Vangelo ma sono chiamati ad essere un ponte tra le due religioni, due culture, due civiltà, ma anche due politiche». Ha fatto riferimento alle molte sfide che la comunità cristiana affronta a causa del conflitto israelo-palestinese: l’occupazione militare e le umiliazioni quotidiane, la violenza da entrambi le parti, l’Intifada dei coltelli e l’ascesa del fanatismo religioso, ebraico e musulmano. Un conflitto dolorosamente evidenziato da «un muro di separazione di circa 8 metri di altezza e lungo più di 700 km». Il Patriarca ha espresso la sua preoccupazione per «l’esodo dei cristiani», che colpisce soprattutto i giovani e gli intellettuali in cerca di una vita e di un futuro migliore: « Si tratta di una emorragia che priva la Chiesa di Gerusalemme dei suoi migliori elementi ».
I cristiani di Terra Santa, che hanno una storia, una lingua e una cultura comune con i musulmani con i quali vivono per secoli, «svolgono un ruolo positivo nella società araba e facilitano le relazioni tra le diverse componenti sociali». Il Patriarca ha sottolineato l’importante missione delle Scuole Cristiane in Palestina, uno dei paesi del Medio Oriente con il più alto numero di analfabeti. Alcune pratiche educative non sono sempre comprese dai musulmani – nota, tuttavia, il Patriarca – tra cui «la teologia della misericordia, il perdono e il lavoro di purificazione della memoria» difficile da interpretare in un contesto di conflitto.
Mons. Twal è anche ritornato sull’accordo firmato il 26 giugno 2015 tra la Santa Sede e lo Stato di Palestina, il cui impatto è stato “molto positivo” nel mondo arabo e musulmano. L’accordo, che chiede una “pace giusta e duratura” e che mostra per la prima volta il nome di “Stato di Palestina” in un documento ufficiale firmato da entrambe le parti, è stato accolto meno calorosamente dalla parte israeliana: « Come reazione ha ordinato la costruzione di un nuovo tratto del muro di separazione nella valle di Cremisan, progetto folle e senza senso ». Due mesi prima dell’accordo, nel mese di aprile 2015, la Corte Suprema israeliana aveva mostrato un passo indietro, dichiarando che questo muro «non è necessario alla sicurezza dell’Israele».
Dopo aver spiegato la situazione dei cristiani in Palestina, il Patriarca ha affrontato il tema dei cristiani che vivono in Israele. « Gli ebrei rimangono coloro dai quali Dio non ha ritirato l’elezione in Abramo » ha spiegato il Patriarca, facendo riferimento alla Lettera di san Paolo ai Romani (cfr. 11, 1-11). « elezione inclusiva di tutti i popoli, non certo esclusiva: La comunità cristiana ha il compito di aiutare i fratelli ebrei a misurarsi di nuovo con la loro vocazione all’universalità ». La comunità cristiana in Israele è rappresentata principalmente da immigrati giunti soprattutto dalle Filippine, dai paesi dell’Africa o dell’India che mandano i loro figli nelle scuole israeliane e parlano l’ebraico, «a volte anche a rischio di perdere le loro radici cristiane», perché Israele – ha ancora sottolineato il Patriarca – «anche se si proclama stato democratico e laico si comporta come uno stato teocratico in cui prevale la legge ebraica». Mons. Twal ha poi affrontato i limiti dell’accordo fondamentale firmato tra Israele e la Santa Sede nel 1993. Citando precisamente gli articoli 1, 3, 4, 10 e 11, ha evidenziato gli ostacoli di un accordo ancora in fase di negoziazione: la libertà religiosa per tutti i cristiani palestinesi che non possono visitare i luoghi santi senza l’acquisizione preliminare di un «permesso da parte delle autorità militari israeliane», l’«umiliazione ai punti di controllo», «la drastica riduzione delle sovvenzioni da parte dello Stato di Israele alle scuole cristiane, finanziate fino al 29% contro il 100% per le scuole religiose di Israele», o il «rispetto per lo status quo nei luoghi santi». «Il fanatismo degli atti perpetrati dai fondamentalisti negli ultimi tempi a Tabgah, Beit Gemal, alla Dormizione, ecc., sono troppo spesso impuniti», ha detto il Patriarca, pur avendo ricordato la presenza di persone più moderate in Israele, e di quanti lavorano per il dialogo e la giustizia e si preoccupano di costruire la pace.
« La ricerca della sicurezza sta diventando una sorta di ossessione, un mito in nome del quale si giustifica ogni sopruso ed il ricorso immediato alla violenza in ogni circostanza », ha osservato il vescovo di Gerusalemme, lamentando il fatto che Israele non ha «mai rispettato le numerose risoluzioni internazionali sul conflitto, gli insediamenti e i confini» – la Santa Sede, come la comunità internazionale, e invocando «la soluzione dei due Stati, con confini chiari e sicuri».
I cristiani di Terra Santa, Sua Beatitudine ha infine concluso, sono «testimoni viventi della storia della salvezza … Grazie a loro, i luoghi santi non sono ridotti a semplici siti archeologici». Ecumenica e interreligiosa, la Terra Santa ha una vocazione universale, e i cristiani hanno un «ruolo di ponte tra Oriente e Occidente».
Perché la speranza della Chiesa Madre di Gerusalemme non sia vana, infine, ha affermato il Patriarca: «Un giorno, i capi politici, Israeliani e Palestinesi, insieme alla Comunità Internazionale, arriveranno a comprendere, al di là del gioco di interessi e delle ambizioni politiche, il senso, la natura e la vocazione di questa Terra benedetta, scelta da Dio per unire gli uomini a Sé e tra di loro».
Myriam Ambroselli
Foto: © Pontificia Università della Santa Croce – Roma
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