di Redazione il 17 novembre 2011in Amira Hass, Asia
Il problema non è che Israele sta cercando nuovi modi per espellere i Palestinesi, è che a nessuno importa
Amira Hass
14 novembre
La vicenda del presidente stupratore Moshe Katsav è sempre associata nella mia mente con le limitazioni che ho avuto come giornalista. E quando si cita la settimana in cui la storia è diventata pubblica (dopo l’8 luglio 2006) mi riporta alla memoria la burocrazia israeliana riguardo all’espulsione.
Come mai? E’ stato in quella settimana che avevo programmato di cominciare a pubblicare una serie di articoli sul nuovo passo deciso dai ministeri dell’interno, della giustizia e della difesa. Insieme, e senza che il pubblico lo sapesse, avevano deciso di cessare di rispettare un accordo tra gentiluomini in base al quale i Palestinesi e le loro mogli che avevano passaporti soprattutto di nazioni occidentali e che vivevano in Cisgiordania avendo soltanto un visto turistico. Alcuni erano nati nel territorio occupato nel 1967 – Israele aveva cancellato il loro status di residenti con vari stratagemmi, ma permetteva loro di andare e venire come turisti. Ad altri, specialmente dopo il 1994 (l’anno degli accordi di Oslo), era permesso di lavorare nel Territorio Occupato (nelle università, in varie ONG, nella burocrazia dell’Autorità Palestinese e negli affari), sempre con un visto turistico.
Improvvisamente, nella primavera del 2006 centinaia di persone hanno scoperto che questo accordo non esisteva più: al confine del terminal dell’aeroporto Internazionale Ben Gurion e al Ponte di Allenby e al terminal Sheikh Hussein, i funzionari hanno cominciato a timbrare i loro passaporti con le parole “Ingresso Negato”. Un timbro simile veniva apposto sui passaporti di coloro che erano venuti davvero qui soltanto per l’estate, per visitare la famiglia, per stare un po’ nella casa dove erano nati. Migliaia di palestinesi “condannati” erano sospettati di cospirazione organizzata per indebolire l’equilibrio demografico del Greater Israel” (Uno stato di Israele più grande).
Grazie allo spazio stampato e al rumore dei mezzi di informazione prodotto dalla vicenda di Katsav, la pubblicazione dei miei articoli è stata rimandata di un giorno o due. Nulla di eccezionale. Ma, come previsto, non hanno provocato grande rumore quando sono stati pubblicati. La burocrazia è noiosa, specialmente quella di cui sono vittime i Palestinesi. E’ il luogo dove la gente esercita il diritto di non sapere. Non gliene importa, non leggono e non si angosciano per ciò che non hanno letto. Mi sono detta: scommetto di non aver presentato l’informazione in una confezione attraente.
E’ accorsa a salvarmi l’allora Segretario di stato Condoleeza Rice. I Palestinesi che erano cittadini di paesi occidentali, specialmente degli Stati Uniti, e che erano offesi dalla discriminazione (in confronto agli Ebrei o ai Cristiani Evangelici che avevano lo stesso tipo di passaporti), si sono organizzati, hanno protestato, si sono lamentati e si sono incontrati con i funzionari eletti. La stampa straniera non ha dimostrato alcun interesse. La Rice ha ammonito Israele e le azioni dell’informazioni sono cresciute sul mercato dei media.
La burocrazia, castigata, ha iniziato a fornire riposte parziali. Molti dei “turisti” hanno ricevuto finalmente lo stato di residenti palestinesi. Per gli altri sono state create nuove regole, prive, come al solito, di qualsiasi trasparenza, in base alle quali potevano ottenere i visti desiderati. Delle volte è un visto per due settimane, a volte per tre mesi. A volte per un anno. E talvolta il visto è direttamente negato.
Rifiuto di routine
Negli scorsi due anni un nuovo stratagemma è stato usato regolarmente, malgrado le proteste contro la discriminazione. Tuttavia, malgrado molti articoli, il loro valore sul mercato dei media è rimasto basso. Coloro che si sospettava fossero Palestinesi o collegati con dei Palestinesi, ricevono visti “soltanto per l’Autorità Palestinese”, anche se, come migliaia di turisti ebrei e Cristiani evangelici, sono cittadini in buona fede di stati occidentali amici di Israele, anzitutto, degli Stati Uniti.
E’ vero, non si impedisce loro di spostarsi nelle zone designate come “C” (aree che costituiscono il 60% della Cisgiordania e che sono sottoposte al doppio e triplo controllo di Israele per essere in quello che è ufficialmente definito territorio dell’Autorità Palestinese. Viene però loro negato l’ingresso in qualsiasi altra zona, con una routine poco conosciuta, (Gerusalemme est, la Galilea, la regione “triangolo” delle città israeliano/arabe, (dove vivono arabi con cittadinanza israeliana, n.d.T.) località che si trovano a ovest del muro di separazione, ecc.) sebbene (o forse perché) hanno lì la famiglia, gli amici e la proprietà, per non parlare delle chiese e delle moschee. E i loro ministeri degli esteri non fanno nulla nel loro interesse.
La normalità è considerata nemica della stampa. In passato le molestie subite dalle donne da parte degli uomini ( a cominciare dai bassi salari dati alle donne, non soltanto gli stupri) costituivano una normalità di cui non si parlava. Oggi la stampa (felicemente) non obiettiva si precipita a riferire queste violenze abituali, preoccupandosi di sottolineare che sebbene il caso in questione sia un caso singolare, rappresenta un fenomeno. I lettori di entrambi i sessi esercitano in modo famelico il diritto a sapere e il soggetto delle notizie di solito acquista una alto valore mediatico (espresso, tra l’altro, dallo spazio concesso alla sua apparizione sui siti web dei quotidiani).
Un tipo diverso di procedura normale si realizza quasi ogni giorno nell’area C della Cisgiordania (non include Gerusalemme est). Lì la burocrazia israeliana incoraggia gli ebrei a fare ciò che proibisce di fare ai Palestinesi: costruire. Perfino quando i nostri soldati non distruggono le tende e le capanne senza un permesso adeguato, la stessa proibizione di costruire è una specie di distruzione passiva e di espulsione di potenziali abitanti. In questo modo la burocrazia ha assicurato che la maggior parte della Cisgiordania sarà abitata dal minor numero di Palestinesi possibile (attualmente sono circa 150.000). Questo rende più facile perpetuare il concetto di terra vuota adatta agli insediamenti ebraici e all’annessione da parte di Israele.
Uno degli ostacoli sulla strada del mito della “terra vuota” sono circa 27.000 Beduini che vivono nell’Area C. Circa l’80% di questi sono già rifugiati, deportati dal deserto del Negev intorno al 1950. In un processo graduale, calcolato, che è andato avanti fino dagli anni ’70, la burocrazia israeliana li ha circondati, limitando il loro modo nomade di vita e distruggendo il loro modo di sussistenza come pastori, mentre impedisce loro di migliorare il loro livello di vita nei luoghi dove abitano.
Un ostacolo ai piani immediati di per l’espansione di Ma’aleh Adumin e degli insediamenti gemelli, fino a quando non serreranno le fila con Gerusalemme, sono circa 2.400 beduini che vivono a est della capitale. Tra poche settimane o mesi, le autorità israeliane realizzeranno un piano per la loro espulsione e concentrazione forzata vicino a una discarica pericolosa in un villaggio anche esso nato dal peccato di espulsione a vantaggio di Ma’aleh Adumin e della sua espansione.
Per favore, qualcuno mi suggerisca un bel paragrafo da prima pagina e un titolo sexy – un qualche cosa che permetta all’argomento dell’espulsione di apparire per altri due minuti in video e di avere altri sei lettori.
Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
Fonte: Haaretz
Traduzione di Maria Chiara Starace
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http://znetitaly.altervista.org/art/1689
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