Il progetto E1 visto da Gerusalemme Est

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adminSito  venerdì 11 gennaio 2013 09:17

Israele procede con il piano per collegare la Città Santa al Mar Morto. Camminare nel quartiere di Issawiya rende chiaro l’obiettivo: spezzare in due la Cisgiordania.

di Emma Mancini*

Issawiya (Gerusalemme Est), 11 gennaio 2013, Nena News – Ad un mese dal riconoscimento della Palestina come Stato non membro delle Nazioni Unite, sul terreno nulla è cambiato. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu era stato chiaro: il voto favorevole dell’Assemblea Generale dell’ONU non avrebbe modificato di una virgola la realtà dell’occupazione israeliana nei Territori.

Ed infatti, dopo poche ore dal sì dell’ONU, il governo israeliano ha ritirato fuori dal cilindro un vecchio spettro: il progetto E1, ovvero la creazione di un blocco di colonie che unirà Gerusalemme all’insediamento di Ma’ale Adumim, fino alla Valle del Giordano. Nella pratica, lo strumento per dividere definitivamente in due la Cisgiordania e rendere impossibile la creazione di uno Stato palestinese con la sua continuità territoriale.

Gli effetti devastanti di un simile progetto si vedono bene dalla colonia di French Hill, insediamento israeliano a Gerusalemme Est, a pochi metri dal quartiere palestinese di Issawiya. Nella valle che divide Gerusalemme dal resto della Cisgiordania passa il Muro di Separazione: là il progetto E1 prevede la costruzione di un tunnel che unirà il Nord e il Sud della Cisgiordania. Underground. In superficie, il blocco di colonie che permetterà di unire la Città Santa alla Valle del Giordano, territorio palestinese dichiarato zona militare chiusa e quindi sotto il totale controllo civile e militare israeliano.

“L’obiettivo è collegare le colonie israeliane in Cisgiordania con quelle a Gerusalemme Est – ci spiega Luca Salerno, caporedattore dell’agenzia stampa Nena News – Il tunnel sotterraneo, già costruito, collegherà il Sud e il Nord della Cisgiordania, che nella pratica sarà spezzata a metà. Il tunnel sarà controllato esclusivamente dalle autorità israeliane che potranno chiuderlo ed aprirlo a loro piacimento, rendendo nella pratica impossibile la continuità territoriale dello Stato palestinese. La Cisgiordania sarà ridotta a dei bantustan, a delle enclavi separate e senza alcuna contiguità”.

“Per evitare il tunnel e il Muro intorno alla colonia di Ma’ale Adumim si dovrebbe costruire una nuova strada che da Ramallah dovrebbe arrivare a Gerico, a Est, e poi a Betlemme, a Sud. Ramallah e Betlemme si trovano a circa 700 metri sul livello del mare, mentre Gerico è sotto il livello del mare. Salite e discese impedirebbero il normale flusso, gli spostamenti di merci e persone sarebbero sempre più difficili”.

“Inoltre, Gerusalemme Est sarà definitivamente tagliata fuori dal resto della Cisgiordania – continua Salerno – I quartieri palestinesi di Issawiya, dove ci troviamo in questo momento, di Silwan, di Abu Tor e così via, saranno chiusi a Ovest da Gerusalemme Ovest e ad Est dalle colonie e dal blocco di Ma’ale Adumim. La normale crescita della popolazione incontrerà numerosi ostacoli: già oggi è impossibile per la popolazione palestinese costruire nuove abitazioni. E quando E1 sarà definitivamente implementato, lo spazio a disposizione della comunità palestinese sarà ancora più limitato”.

Una conseguenza che rientra nel tentativo israeliano di tenere sotto controllo la crescita demografica palestinese: Gerusalemme – agli occhi dello Stato di Israele – è la capitale indivisibile dello Stato ebraico e deve mantenere una indiscutibile maggioranza ebrea. Ma da decenni la popolazione palestinese cresce a velocità più elevata di quella israeliana: se fino agli anni Ottanta il rapporto era 72% di ebrei contro il 28% di arabi, oggi il gap si è ridotto, con il 60% di ebrei e il 40% di arabi.

È il caso del quartiere di Issawiya, Gerusalemme Est. Prima del 1967 si estendeva su 12.400 dunam (un dunam è pari ad un km²); oggi ne sono rimasti solo 600. “Issawiya è un ghetto, circondato dal Muro, dalle colonie e da una base militare israeliana – ci spiega Mohammed Khader Abu Hummus, attivista palestinese residente ad Issawiya – Le nostre terre, prima dell’occupazione israeliana seguita alla Guerra dei Sei Giorni, si estendevano fino alle colonie su cui ora sorge la colonia di Ma’ale Adumim. Israele considera Gerusalemme Est come parte dello Stato e non come territorio occupato, come invece è definita dal diritto internazionale”.

Abu Hummus ci mostra, dall’ingresso di Issawiya, i terreni che diventeranno area E1: a Est l’imponente colonia di Ma’ale Adumim, oltre 30mila residenti; a Ovest, Gerusalemme Est. In mezzo il Muro di Separazione già completato e che divide i primi villaggi della Cisgiordania dalla Città Santa. “In mezzo, vedete, vicino al Muro, c’è una comunità beduina – continua Abu Hummus, mostrandoci alcune baracche dove vivono i beduini della tribù Jahalin – Le autorità israeliane gli hanno concesso 60 giorni di tempo per fare appello alla Corte, poi saranno espulsi con la forza perché si trovano su territorio ‘israeliano'”.

Se il progetto E1 sarà implementato, si verranno a formare tre cantoni in terra palestinese: uno settentrionale che comprenderà le città di Ramallah, Nablus e Jenin, uno a Ovest, con Qalqiliya e Tulkarem, e uno meridionale, Betlemme e Hebron. Per spostarsi da Nord a Sud della Cisgiordania, la popolazione palestinese dovrà passare per una fascia di territorio sotto il totale controllo israeliano.

“Il progetto E1 si fonda sul concetto di colonizzazione ideato da Ariel Sharon – ci spiega Sergio Yahni, attivista e analista israeliano – Negli anni Sessanta i primi coloni in Cisgiordania erano mossi da ragioni ideologiche, ovvero dal desiderio di occupare più terra possibile al fine di creare lo Stato ebraico. Ma l’ex premier Sharon ha capito che questa impostazione avrebbe mosso solo una minoranza di coloni. Per questo ha iniziato ad utilizzare lo strumento economico: per convincere gli israeliani a trasferirsi nelle colonie, ha fatto leva sull’interesse, sul portafogli. Case a basso prezzo, incentivi statali, tasse ribassate. In questo modo è stato in grado di mobilitare centinaia di migliaia di nuovi coloni, soprattutto giovani coppie e famiglie della classe media, che non possono permettersi una casa a Gerusalemme o a Tel Aviv. Facendo leva sull’interesse economico, Sharon ha fatto di questi coloni non ideologici lo zoccolo duro della colonizzazione: non avendo altre possibilità, se non una casa in una colonia, la difenderanno a spada tratta”.

L’altra strategia implementata da Sharon – continua Yahni – è stata quella di creare fatti sul terreno che permettessero l’avvio di nuove colonie. Ad esempio, la costruzione di un’antenna telefonica, di un generatore elettrico o di una stazione di polizia, intorno alla quale sviluppare un nuovo insediamento. È quanto successo per il progetto E1: nella collina di fronte alla colonia di Ma’ale Adumim, ad una manciata di chilometri da Gerusalemme, è stata costruita una nuova centrale di polizia. L’idea era quella di costruire intorno nuove abitazioni, negozi, scuole per le famiglie dei poliziotti e connettere quindi la Città Santa con la già esistente colonia di Ma’ale Adumim”.

Le infrastrutture sono pronte – allacci alla rete elettrica e a quella idrica – ma la colonia non è stata ancora costruita per il veto statunitense. Che oggi potrebbe cadere. “Nel 2004, il presidente George W. Bush e il Segretario di Stato Condoleeza Rice bloccarono il progetto – conclude Sergio Yahni – perché avrebbe reso impossibile la creazione di un futuro Stato di Palestina e quindi messo la parola fine alla soluzione a due Stati. Ma oggi, il governo Netanyahu ha ripreso il mano il progetto ed intende andare fino in fondo”.

*Articolo originariamente pubblicato su L’Indro

 

http://nena-news.globalist.it/Detail_News_Display?ID=47094&typeb=0&Il-progetto-E1-visto-da-Gerusalemme-Est

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