Il Quartetto e le olive

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admin | October 20th, 2011 – 10:48 am

La grande diplomazia non segue le stagioni della terra. Neanche quando si tratta di Medio Oriente. Il Quartetto ha deciso che bisogna battere il ferro del cosiddetto processo di pace tra israeliani e palestinesi, e allora sta per arrivare per far partire contatti indiretti tra i due contendenti. Non diretti, come auspicherebbe Benjamin Netanyahu. Perché, ha detto ieri anche  Salam Fayyad, non ci sono “le condizioni giuste per i negoziati”.

Condizioni giuste? Sembra una definizione astratta, quella di Fayyad. A vivere da queste parti, però, si capisce subito che le “condizioni giuste” non riguardano tanto e solo i grandi eventi, il discorso di Abu Mazen all’Onu, la richiesta del riconoscimento dello Stato di Palestina, la liberazione della prima tranche di palestinesi nello scambio mille a uno tra i detenuti palestinesi nelle carceri israeliane e Gilad Shalit. Riguardano la vita quotidiana. Olive comprese.

L’autunno, qui, è una stagione delicata. Forse ancor più delicata delle altre. C’è la raccolta delle olive, che comincia un po’ prima di quanto succede in Italia. Causa clima. E proprio a ridosso della stagione della raccolta, ci si trova a dover raccontare – ancora una volta – di olivi sradicati dai coloni, di scontri tra contadini palestinesi e coloni israeliani, di lacrimogeni e arresti. Il tutto, in Cisgiordania. E la raccolta delle olive, per l’economia palestinese, non è per nulla un settore residuale. Al contrario. Al netto del milione di ulivi che sono stati sradicati per costruire il Muro di Separazione, di piante ce ne sono 12 milioni, attualmente.

Un numero importante, perché quasi la metà della terra palestinese è coltivata a olivo, la massima parte in Cisgiordania, e dà da vivere a circa centomila famiglie. Un affare di tutto rispetto, insomma, perché rappresenta un quarto del prodotto lordo dell’agricoltura, ancora il primo comparto nell’economia palestinese. Due terzi degli ingressi nel Muro di Separazione attraverso i quali i contadini possono entrare nei loro oliveti è accessibile solo per la raccolta (la foto è tratta da questo album). Questo vuol dire che tutto quell’indispensabile e prezioso lavoro di cura della terra e delle piante non è più possibile, con il relativo costo e le relative perdite per gli agricoltori.

7500 alberi sono stati sradicati, bruciati, distrutti dai coloni negli scorsi nove mesi, da gennaio a settembre del 2011. Una pratica che non è cominciata quest’anno, ma che è ormai – purtroppo – costante da lungo tempo. Dei poco meno di cento ricorsi presentati negli ultimi anni contro i coloni, nessuno ha portato all’istruzione di un processo contro i colpevoli, secondo l’associazione pacifista israeliana Yesh Din, che ha documentato 688 casi di violenza dei coloni verso i palestinesi, nel periodo 2005-2010.

I numeri del “dossier ulivi”, rilasciati a ottobre dall’Ufficio per il Coordinamento degli Affari Umanitari dell’Onu a Gerusalemme (OCHA OPT) sono, dunque, a dir poco eloquenti. Uno sguardo su un disastro economico e sociale che si ripete – inevitabilmente? – ogni autunno.

E Oxfam rincara la dose. Assieme ad altre due organizzazioni, Union of Agricultural Work Committees (UAWC) and Palestinian Agricultural Relief Committees (PARC), Oxfam ha quantificato il danno provocato dai coloni, con la distruzione delle 7500 piante d’ulivo. Distruzione che si intensifica proprio a ridosso del periodo della raccolta. Il danno, per questa stagione, è arrivato a mezzo milione di dollari, perché si prevede che la raccolta produrrà metà dell’olio prodotto l’anno scorso. “Bruciare un albero di olivo è come bruciare il conto in banca di un agricoltore”, ha commentato Jeremy Hobbs, direttore esecutivo di Oxfam International. “E soprattutto visto che sarà una stagione cattiva, ogni oliva conta”.

Commento un po’ piccato: ma come mai, visto che avere un oliveto e farsi l’olio da soli fa tanto chic e trendy, in Italia, di questa storia esemplare non si parla mai?

Il brano della playlist è un classico. E i classici, ogni tanto, vanno riascoltati. Tom Waits, ancora una volta. Hope I don’t fall in love with you. E ancora una volta, grazie Carmelo.

http://invisiblearabs.com/?p=3759

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