Il rischio di disordini cresce, mentre Israele ridisegna i rapporti con i propri cittadini arabi

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02/04/2012

Original Version: Risk of unrest grows as Israel redraws relations with Arab citizens

Israele vede i propri cittadini arabi come una minaccia alla sicurezza; mentre la cooperazione e la partecipazione politica un tempo apparivano possibili, la sistematica discriminazione operata dallo Stato contro gli arabi ha determinato una situazione insostenibile – scrive il segretario del partito Balad, Awad Abdelfattah

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Un crescente numero di persone, all’interno del milione e 200.000 palestinesi presenti in Israele, si sta chiedendo se lo Stato non stia cercando di ridefinire le regole del gioco che hanno governato i suoi rapporti con i palestinesi a partire dal 1948. Negli ultimi anni, e soprattutto dopo lo scoppio della seconda Intifada nell’ottobre 2000, i cittadini arabi hanno subito un processo di “ridefinizione” da parte dello Stato di Israele, essendo identificati come una minaccia demografica e di sicurezza, come lo erano stati tra il 1948 e il 1966, quando erano soggetti alle leggi militari.

A partire dal 2000, una nuova serie di pratiche e di leggi repressive e discriminatorie sono state promulgate ed attuate. I leader palestinesi nella Knesset sono stati sistematicamente minacciati, e alcuni sono stati perseguiti. La continua campagna di delegittimazione ha assunto forme quasi senza precedenti. La parlamentare Haneen Zoabi, una deputata del mio partito, Balad, ha ricevuto ripetute minacce di morte da parte di ignoti estremisti di destra, ed è stata privata del suo passaporto diplomatico dopo aver preso parte alla flottiglia che nel 2010 ha cercato di rompere l’assedio di Gaza. Esponenti del partito Likud al governo hanno invocato l’allontanamento suo e del suo partito dalla Knesset.

I tentativi della coalizione di destra al governo di emarginare ulteriormente la comunità araba palestinese e i suoi partiti politici in seno alla Knesset sono emersi chiaramente, traducendosi in un diluvio di leggi razziste volte a limitare la sua libertà politica e di espressione.

Il nostro partito – l’Assemblea Nazionale Democratica, nota in ebraico come Balad – è il più pesantemente preso di mira. Il suo ex leader, Azmi Bishara, ha dovuto fare i conti con una falsa accusa di attentato alla sicurezza dello Stato nel 2007 per una sua presunta collaborazione con Hezbollah. Egli ha preferito lasciare il paese e rimanere in esilio piuttosto che affrontare una tale incriminazione, nella quale gli avvocati non possono adeguatamente difendere il proprio cliente, dal momento che non hanno accesso a tutto il materiale dell’inchiesta.

Ma la campagna contro di lui iniziò molto prima, ed è essenzialmente ideologica e politica. Ciò emerge chiaramente in un libro scritto dall’ex capo dello Shin Bet, Ami Ayalon, il quale chiese nel 2001 che Bishara venisse chiamato in giudizio per aver oltrepassato alcune “linee rosse”. Ayalon accusò Bishara di non riconoscere il diritto degli ebrei a uno Stato ebraico. Il partito stesso è stato sottoposto a ripetuti tentativi di escluderlo dalle elezioni della Knesset.

L’obiettivo del partito, come affermato nella sua piattaforma, è quello di ridefinire Israele come uno Stato di tutti i suoi cittadini. Ciò significherebbe che il 20% dei cittadini dello Stato ebraico, che sono una minoranza etnica indigena, avrebbero il diritto alla piena uguaglianza, e avrebbero un potere politico e legislativo reale di migliorare il loro status e la loro vita in uno Stato laico democratico.

La comparsa di Balad e della sua piattaforma nel 1996 ottenne rapidamente un ampio sostegno da parte dei cittadini arabi e di decine di intellettuali ebrei israeliani non-sionisti. Il partito è stato visto da molti come la formula democratica più moderna e liberale che  sia emersa nella comunità araba palestinese in Israele dal 1948.

Questa comunità ha registrato grandi cambiamenti sociali, economici e politici a partire dagli anni ‘70. Emerse una nuova intellighenzia che cercava modi per esprimere i propri bisogni e le proprie aspirazioni. Quell’epoca vide la nascita di una nuova coscienza nazionale e civile tra le élite arabe che aspiravano a pari diritti collettivi e individuali, e di cittadinanza. Cambiò il pensiero politico riguardo alla partecipazione alle elezioni per la Knesset, che era stata considerata da molti cittadini arabi come un’istituzione prevalentemente sionista. La maggior parte dei fondatori di Balad – sia individui che gruppi (ed anche io, per esempio) – avevano in precedenza rinunciato ad impegnarsi nella dinamica parlamentare, e altri si erano in precedenza espressi a favore di una soluzione a uno Stato.

La transizione verso una norma di partecipazione – vale a dire, votare alle elezioni della Knesset – è stata faticosa, ed è stata vista da molti all’interno del partito come un compromesso importante. I leader di Balad avevano sperato che questo nuovo approccio di cercare una rappresentanza parlamentare avrebbe contribuito a creare un clima più utile a un dialogo con gli israeliani liberali e a spianare la strada alla futura entità bi-nazionale.

Tuttavia, la campagna contro il partito iniziata con la seconda Intifada è proseguita e si è intensificata, mentre i suoi membri vengono regolarmente vessati e interrogati dalla polizia. I funzionari israeliani continuano ad affermare che i cittadini arabi non sono così estremisti come i loro leader, al fine di creare una spaccatura tra essi. Per la maggior parte dei palestinesi in Israele, una simile affermazione è però un logoro cliché. I funzionari israeliani non riescono più a ingannare i cittadini arabi come avvenne negli anni ‘50 e ‘60, quando essi furono sottoposti a un sistema di stretto controllo sotto un’amministrazione militare.

La continua campagna di incitamento contro i partiti arabi come Balad è percepita da molti cittadini arabi come una tattica per allontanarli dai loro rappresentanti. Molti la vedono anche come un modo per distogliere l’attenzione dai piani di Israele volti a completare l’acquisizione di terre arabe. Assieme alle politiche discriminatorie implementate da Israele, queste acquisizioni di terra hanno portato all’impoverimento dei cittadini arabi.

La campagna della coalizione di governo in Israele per limitare la rappresentanza araba nella Knesset ha accresciuto la sfiducia del cittadino arabo nel processo elettorale. Nelle ultime due tornate elettorali del 2006 e del 2009, la percentuale dei votanti arabi è scesa – da un picco del 90% e una media del 78% fino al 1999 – al 56%. E si prevede un ulteriore calo alla luce del continuo e rapido spostamento della politica e della società israeliana verso l’estrema destra. Come nel 2001 – dopo gli incidenti dell’ottobre 2000, quando furono uccisi 13 cittadini arabi israeliani durante le manifestazioni – sempre più voci chiedono di boicottare le elezioni.

Ci sono due ragioni alla base di questo appello. In primo luogo, se votano, gli arabi legittimano la democrazia etnica di Israele, che li esclude sistematicamente. In secondo luogo, votare rallenta o riduce le prospettive di una reale lotta di massa. Coloro che chiedono un boicottaggio sostengono che i politici ebrei israeliani stanno elaborando piani ostili contro i leader arabi, e ritengono che nel giro di pochi anni emergerà una realtà nuova e ancora più dura. Questa realtà – che potrebbe produrre ghetti separati e assediati, povertà, violenza e frammentazione sociale – potrebbe portare a disordini interni di ampia portata.

La regione araba è in ebollizione, e le rivoluzioni sono in divenire. I palestinesi dentro e fuori Israele stanno seguendo da vicino questi sconvolgimenti.

La comunità internazionale ha iniziato solo recentemente a spostare parte della sua attenzione sulla situazione dei cittadini arabi di Israele. Essa tendeva a lodare Israele come l’unica democrazia in Medio Oriente, nonostante il fatto che il 20% dei cittadini dello Stato stanno venendo rapidamente privati dei loro diritti fondamentali.

Nel suo libro del 2003, “Sleeping on a Wire: Conversations with Palestinians in Israel”, lo scrittore israeliano David Grossman si chiedeva: “Per quanto tempo una minoranza relativamente grande può essere considerata come un nemico dalla maggioranza, senza alla fine diventare effettivamente tale?”.

Egli proseguiva: “Lentamente ma costantemente, come se fosse addormentata, Israele sta perdendo la sua possibilità di salvare se stessa da un terribile errore. Sta creando da sola il nemico contro cui cozzare, dopo che altri paesi hanno fatto la pace”.

Awad Abdelfattah è il segretario generale di Balad, un partito arabo che detiene tre seggi alla Knesset

(Traduzione di Roberto Iannuzzi)

http://www.medarabnews.com/2012/04/02/il-rischio-di-disordini-cresce-mentre-israele-ridisegna-i-rapporti-con-i-propri-cittadini-arabi/

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