IN FOTO: il campo profughi di Jenin e il Freedom Theatre

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Friday, 09 December 2011 08:49 Mikaela Levin (Alternative Information Center)

Il muro di un edificio con fori di proiettile nel campo profughi di Jenin (Foto: Gustav Winters, AIC)

A prima vista, il campo profughi di Jenin sembra diverso da tutti gli altri campi in Cisgiordania. Le strade sono più larghe, le case più nuove e la struttura del campo è più organizzata.

Le immagini di distruzione del 2002, quando le forze di occupazione israeliana lo assediarono per 22 giorni e demolirono quasi un terzo delle case, sono ormai lontane. Qui, le case gialle a tre piani sono state costruite solo cinque anni fa, nel 2006. Sono state finanziate dagli Emirati Arabi Uniti e le autorità israeliane hanno posto una sola condizione: la ricostruzione doveva prevedere strade più ampie, così che le forze di occupazione potessero entrare e muoversi nel campo con più facilità.

Abla ricorda quei giorni bui durante la Seconda Intifada, mentre cammina nelle vie del campo. “Questa parte era stata interamente distrutta perché la maggior parte dei combattenti era qui. I bulldozer militari sono entrati e hanno demolito una casa dopo l’altra. Hanno detto che stavano demolendo solo le case dei terroristi, ma come si può definire terrorista qualcuno che sta difendendo la propria famiglia e il proprio quartiere?”, dice all’Alternative Information Center mentre indica il distretto di Hawashin, completamente ricostruito.

Secondo le organizzazioni per i diritti umani, dopo la cosiddetta Operazione Scudo Difensivo nei primi anni della Seconda Intifada, le forze israeliane hanno lasciato 4mila persone senza un tetto sulla testa, circa un terzo della popolazione del campo. In molti sono fuggiti prima dell’assedio israeliano, ma alcuni di quelli rimasti sono morti nelle demolizioni.

Ablas è una delle persone rimaste. Ricorda le battaglie, i bulldozer, le urla e i vicini che collaboravano con gli occupanti. È arrivata qui 15 anni fa dall’Algeria per sposarsi. È entrata con un visto turistico e per questo non le era permesso rientrare nel suo Paese d’origine. Ora sta pensando di tornare, ma non lascerà mai il campo. Vive con il marito e i figli; al piano superiore della casa vive la sorella – arrivata con lei dall’Algeria – e la sua famiglia. Questa è la sua casa, nonostante i buchi di proiettile nelle case dei vicini e nonostante i continui raid israeliani.

 

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I nuovi edifici ricostruiti dopo l’incursione israeliana (Foto: Gustav Winters, AIC)

“Non molto tempo fa i soldati israeliani hanno occupato la casa di mia suocera per tre giorni. Io ero lì con il mio bambino e mia sorella aveva i suoi tre figli con sé. È normale per i militari entrare nelle case del nostro quartiere e restarci. Ci usano come scudi umani perché sanno che i combattenti non apriranno mai il fuoco contro di loro se sono dentro le nostre case”, spiega.

A cinque minuti dalla casa di Abla, Mouman sta lavorando con la nuova generazione di studenti del Freedom Theatre. “Quando il teatro è stato aperto, era qualcosa di completamente nuovo per il campo. Qui alle sei del pomeriggio tutto si spegne; tutto muore e quello che puoi aspettarsi sono solo elicotteri e mitragliatrici. L’idea del teatro è nata come spazio dove la gente di Jenin possa venire e scoprire se stessa”, spiega all’AIC.

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L’ingresso del Freedom Theatre nel campo profughi di Jenin (Foto: Emma Mancini, AIC)

Sono passati otto mesi da quando il fondatore del Freedom Theatre è stato assassinato. Juliano Mer-Khamis è stato freddato da un colpo di pistola di fronte al teatro, ma i suoi studenti e i suoi amici hanno portato avanti il progetto. “Stiamo costruendo l’idea di teatro, ma abbiamo bisogno di tempo. Vorremmo aver potuto avere Juliano con noi più a lungo, ma in ogni caso siamo ancora vivi”, assicura Adnan, il manager dell’organizzazione.

Mentre parla nel centro multimediale, dentro il teatro un gruppo di bambini del campo sta guardando un cartone animato. Prima, il cast del Freedom Theatre aveva messo in scena uno spettacolo per loro.

Nei mesi passati, hanno tentato di attirare più ragazze. Non è facile. Il campo, come il resto di Jenin, è molto conservatore, non solo a causa della religione ma più che altro per le sue tradizioni. Così, hanno provato ad “espandere” il teatro, con corsi di regia, scrittura creativa e fotografia. “Viviamo sotto due occupazioni: quella militare israeliana e quella della società. Noi lavoriamo sulla seconda”, dice Mouman.

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“Alice nel Paese delle Meraviglie” messo in scena al Freedom Theatre la scorsa primavera (Foto: Emma Mancini, AIC)

Un mese prima della sua morte, Juliano e il suo gruppo hanno presentato “Alice nel Paese delle Meraviglie”, la storia di una giovane ragazza palestinese che prova a scoprire se stessa lontano dalla propria famiglia e dalla propria realtà. Lo spettacolo comincia con Alice che rifiuta un matrimonio combinato con un vicino e fugge in uno strano luogo, il Paese delle Meraviglie. “Sta provando a trovare se stessa in un mondo senza speranza, senza promesse, senza nulla di concreto da cercare”, spiega l’ex attore, ora insegnante.

In mezzo ai nuovi muri gialli con buchi di proiettile, dopo mesi di detenzioni arbitrarie e raid israeliani diretti contro il teatro e i suoi membri, nonostante un ambiente estremamente conservatore, il Freedom Theatre è ancora vivo e pianifica nuovi spettacoli, nuovi tour, nuovi progetti. Come una delle giovani ragazze della nuova generazione di studenti ha detto nel 2007: “Se pensi che finirai la tua vita in una cucina, finirai la tua vita in una cucina”.

http://www.alternativenews.org/italiano/index.php/topics/11-aic-projects/3316-in-foto-il-campo-profughi-di-jenin-e-il-freedom-theatre

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