Inseguiti dal fantasma della catastrofe irachena gli uomini di Obama hanno gestito una politica catastrofica in Siria. Perdendo soprattutto sul piano dei valori.
Redazione
Ecco che la paralisi americana e la strada prescelta da Assad e Iran ha determinato una reazione: se il conflitto è confessionale allora “noi sunniti” diamo vita a Jabhat al-Nusra. Questa forza fondamentalista sunnita filo-al Qaida si chiama in relatà Jabhat Nusrat Ahal al-Sham, ovvero Fronte della Salvezza del Popolo Siriano. E’ la risposta dei sunniti, in termini confessionali, all’azione di Assad e degli iraniani e all’inazione statunitense. Non a caso i fondi vengono con tutta evidenza dai paesi del Golfo, alleati di Washington nella grande partita medieorientale contro Iran e Assad, ma privi di un indirizzo politico da parte del loro “grande amico”. Qui gli americani con l’ambasciatore Ford, commisero l’ultimo errore, il sigillo a quelli precedenti: indicarono che il futuro era in un governo inter-confessionale. I casi iracheno e libanese non erano serviti dunque a far capire al dipartimento di stato che ridurre le comunità etnico-confessionali ad un blocco politico è un errore capitale.
Ecco che gli americani oggi appaiono privi di una narrativa, prima che di una politica: non hanno scelto di difendere la pacifica proteste degli albori, hanno lasciato così che la deriva etnico-confessionale imposta dall’Iran prevalesse, e si ritrovano con l’opzione di armare i ribelli “ma con la paura che le armi cadano nelle mani sbagliate”. Fino al punto da indicare la linea rossa dell’uso di armi chimiche e poi trasformarla in una linea “mobile”, dimostrando di non avere contato fino a due né imponendola né rimuovendola.
Il sonno della diplomazia, come quello della ragione, non genera mai bei risultati. Mosca invece porta a casa un risultato stratosferico in termini diplomatici, geopolitici ma soprattutto politico-populistici: è un risultato costruito sulla pelle dei siriani, ma questo per il populismo anti-americano di Putin cosa volete che conti.
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