REDAZIONE 15 LUGLIO 2013
di Robert Fisk – 15 luglio 2013
Abbiamo avuto dunque Malcom Rifkind, a sbuffare la scorsa settimana nel programma Newsnight a proposito della necessità di armare i coraggiosi ragazzi dell’Esercito Libero Siriano (FSA) che stanno combattendo per la libertà, la democrazia e il laicismo e per tutti gli altri –ismi che appoggiamo in Medio Oriente. Le armi vanno inviate al FSA per controbilanciare i blindati e i missili e per abbattere gli aerei del regime di Assad, così generosamente forniti dalla Russia. Ciò è avvenuto, ahimè, solo un giorno prima che i “ribelli” siriani iniziassero una mini guerra civile tra loro, tra i “buoni” ribelli del FSA di Rifkind e i ribelli davvero orrendi di Jabhat al-Nusrah e dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante.
Ma la mia memoria è riandata a un giorno vergognoso di più di vent’anni fa, l’8 dicembre 1992, per essere precisi, quando con i miei colleghi mi trovavo nel rigido inverno della Bosnia, in una città spazzata dalla neve chiamata Vitez. Discutevamo della necessità che la NATO e l’ONU consentissero ai bosniaci, in prevalenza mussulmani, di acquisire armi in modo da potersi difendere dai carri armati, dai missili e dagli aerei dei serbi, che ricevevano forniture dall’esercito jugoslavo armato dalla Russia. Poi, con l’ONU pressoché tagliata fuori a Saraievo e di fronte alla più grande crisi del suo coinvolgimento nei Balcani, in questa miserabile cittadina arrivò un certo Malcom Rifkind, gravato in quei giorni del titolo di Ministro della Difesa della Gran Bretagna.
Il nostro Malcom, rivestito di una tuta mimetica, scarpe di vero cuoio, un cinturone dell’esercito messo all’incontrario e un berretto con il copri orecchie, adempì ai suoi doveri fotografici in cima a un blindato Warrior. Soldati dell’ONU del Reggimento Cheshire ascoltarono impassibili quello che aveva da dire.
La tragedia siriana rende le sue parole ancor più sconvolgenti. Rifkind definì il conflitto bosniaco una “guerra civile” – nonostante il riconoscimento britannico del governo del presidente Alija Izetbegovic a Saraievo – aggiungendo che imporre la pace in Bosnia “sarebbe inappropriato che la scala che ciò comporterebbe sarebbe enorme. E’ stato suggerito che sarebbero necessari più di 100.000 soldati. Il loro dispiegamento sarebbe a scadenza indeterminata. Potrebbe durare per moltissimi anni e ci sarebbe la certezza … di perdite significative.” Non spiegò da dove arrivava quella cifra epica di 100.000, né le sue prove di un “impegno a tempo indeterminato”. Ma se ne andò nel suo Warrior attraverso le colline gelate della Bosnia, in piedi sul retro salutando i cineoperatori come se fosse in un giro di propaganda. Non c’era, scrissi all’epoca, una tragedia in quella terra?
E non c’è una tragedia nella terra siriana? Rileggete la devastante critica di David Rieff a proposito della guerra in Bosnia: “L’occidente … scelse di fare tutto fuorché intervenire. Invece organizzò uno dei più vasti e più eroici sforzi di soccorso umanitario della storia moderna … nel frattempo perseguendo negoziati diplomatici decisamente non eroici. Lo scopo di essi … non era di salvare la Bosnia bensì, come amano dire i politici, di “contenere la crisi”. Tutto ciò che i piani di pace avevano in comune era la divisione lungo confini etnici.
E oggi interverremo in Siria, tuttavia né rischiando i nostri soldati né organizzando eroici sforzi di soccorso. Stiamo inviando milioni di dollari ai rifugiati siriani, ma abbiamo perso ogni interesse ai corridoi umanitari e certamente non intendiamo difendere tali corridoi, se mai esistessero. Avendo deciso di affamare delle armi i bosniaci nei Balcani – inviando contemporaneamente forniture – Rifkind oggi vuole inviare armi in Siria mentre l’apparato giornalistico ci racconta che una Siria settaria divisa – gli alawiti sulla costa, i sunniti al comando, i lettori conoscono la storia – può por fine alla guerra. Ergo, Bosnia.
Per altri versi, la Siria assomiglia alla guerra civile spagnola, quando la Marina Reale inglese organizzò un embargo alle armi della Lega delle Nazioni (oggi l’ONU) mentre i tedeschi e gli italiani armavano i ribelli nazionalisti e i russi armavano i repubblicani al governo. I paralleli non sono esatti. I ribelli nazionalisti di Franco non avevano interesse alla democrazia – ce l’ha il FSA, quanto a questo? – e lo schieramento governativo perse. Ma la falsità è visibile a tutti. I russi appoggiarono i repubblicani perché volevano combattere il fascismo. I tedeschi e gli italiani appoggiarono i nazionalisti perché volevano combattere il comunismo. Tutti volevano sperimentare le loro nuove armi. Nel mondo esterno solo le Brigate Internazionali – dotate di armi largamente inutili – si preoccuparono per la Spagna.
Oggi le superpotenze si stanno di nuovo combattendo in Siria; la Russia vuole dimostrare la sua potenza internazionale e schiacciare una rivolta islamica prossima ai suoi confini. L’occidente vuole contrastare il potere russo in Medio Oriente fornendo armi ai ribelli evitando contemporaneamente che gli islamisti s’impossessino della Siria. Un’impresa notevole!
Ma non restiamo nel dubbio sul perché vogliamo armare i ribelli. Se la guerra civile in Siria merita un intervento il nostro è definito da un fatto principale: vogliamo fornire altre armi ai ribelli perché, per il momento, il regime di Assad sta vincendo. I nostri padroni oggi ci dicono che dobbiamo “equilibrare” le forze, il che è intrigante. Significa che in realtà non ci interessa di fermare la guerra. Semplicemente non vogliamo che i ribelli la perdano. Perciò la guerra continuerà. E inviare altre armi in Siria manterrà questo sanguinario status quo.
Poiché innestato in questo conflitto fantasma tra occidente e Russia c’è lo scontro sunniti-sciiti, in cui i sunniti – le monarchie del Golfo, la Giordania, la Turchia, l’Egitto (fino a un certo punto) e gran parte dell’Africa del Nord – sono allineati contro gli sciiti: gli iraniani, gli alawiti, Hezbollah e una minoranza popolare sciita in Arabia Saudita. “Noi” siamo oggi al cento per cento dalla parte dei sunniti. Siamo noi che vogliamo armare i ribelli sunniti – i buoni sunniti, naturalmente, non i sunniti cattivi – e perciò ci siamo schierati dalla parte della “guerra civile” islamica.
Così i nostri “uomini di stato” stanno ora cercando di spiegare che cattivi ribelli in Siria sono gente che non c’entra, stranieri, jihadisti provenienti da altri paesi mussulmani; mentre i buoni ribelli del FSA sono siriani patrioti. Il problema è che – anche se è vero che migliaia di jihadisti sono arrivati dall’estero – capita che migliaia di combattenti islamisti di Jabhat al-Nusra, che hanno dichiarati collegamenti con al-Qaeda, siano siriani.
Dunque il piano Rifkind – e il piano Hague, e il piano Cameron, e il piano Hollande e, immagino, il piano Obama – di inviare armi ai ribelli significa armare uno schieramento della “guerra civile” ribelle, mentre entrambi gli schieramenti combattono una “guerra civile” contro il governo.
Sì, siamo tutti al corrente degli omicidi di massa, della pulizia etnica, degli stupri, del gas – c’è ancora un punto di domanda al riguardo, temo – e delle atrocità. Nei Balcani riconoscemmo che i bosniaci commettevano crimini di guerra ma fummo d’accordo che i serbi ne commettevano molti di più. In Siria siamo d’accordo che le forze di Assad commettono crimini di guerra ma accettiamo che i ribelli ne commettano molti di meno, salvo che siano i ribelli “cattivi”, nel qual caso ne potrebbero commettere ancora di più.
Tornando alla Bosnia. Là non potemmo armare i bosniaci perché allora avrebbero potuto vincere e così distruggere le possibilità di negoziati di pace che avrebbero condotto a uno stato settario diviso (che è esattamente quello che è stato realizzato). In Siria dovremmo armare i ribelli perché altrimenti potrebbero perdere, nel qual caso non ci sarebbero né negoziati né uno stato settario. Il totale finale è l’”equilibrio”. E se entrambe le parti credono ancora di poter vincere, la guerra continuerà. E’ questo ciò che vogliamo?
Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
Originale: The Independent
Traduzione di Giuseppe Volpe
Traduzione © 2013 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0
http://znetitaly.altervista.org/art/11645
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