Intervista dell’ISM a Ilan Pappè – seconda parte

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17 Lug 2013

L’ideologia alla base di Israele, il sionismo, è il problema 

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Abbiamo seguito le ultime elezioni israeliane e siamo rimasti sorpresi nel vedere che non si è parlato, in realtà, di Palestina, era tutto fondamentalmente incentrato sui problemi interni. Poi, dopo le elezioni, Netanyahu ha parlato di estendere gli insediamenti. Cosa ne pensa di tutto ciò?

Le vostre osservazioni sono corrette. Gli elettori israeliani pensano che il problema della Cisgiordania sia stato risolto, così credono che non ci sia più bisogno di parlarne, né di trovare soluzioni. Viene proposta una soluzione come idea per le elezioni solo se si ritiene che il problema esista, ma questo non è il loro caso. Pensano che quello che abbiamo sia un bene sia per i palestinesi che per gli israeliani. Pensano che il mondo stia stupidamente cercando di creare un problema che non esiste, e si sta occupando di cose in cui non c’è bisogno di nulla. Pensano che, anche se ci sono ancora missili provenienti da Gaza, Israele ha un esercito forte che risponderà. Quindi, se parlate con gli israeliani in metropolitana, vi diranno che non c’è alcun problema tra Israele e Palestina.

L’unica cosa che fa pensare agli israeliani alla Palestina è quando la campagna di boicottaggio ha successo, come quanto è successo di recente con Stephen Hawking. Sapete qual è il problema? Il 95% degli israeliani non vuole nemmeno andare in Cisgiordania, così da non sapere cosa stia realmente accadendo. Oppure vengono a conoscenza di quanto accade dai figli, che prestano servizio come militari. Ma i figli non parlano di checkpoints, di arresti nelle case e di tutte le altre terribili cose. Gli israeliani, se volessero, potrebbero sapere, hanno internet, ma loro non vogliono. Ad esempio in Tivon, il mio quartiere, tutti votano per la sinistra, ma se chiedete loro se hanno mai visto un checkpoint o il muro dell’apartheid, o se uno di loro vuole andare in Cisgiordania e vedere che cosa fanno soldati e coloni, vi diranno di no. Vi diranno che non è un loro problema. Hanno altri problemi: il tenore di vita, i costi delle case, la nuova macchina, l’istruzione dei figli, eccetera.

Yair Lapid, ministro delle Finanze del nuovo governo di coalizione, ha dichiarato il 20 maggio che Israele non ha intenzione di fermare i sussidi ai coloni degli insediamenti illegali e in generale la colonizzazione della Cisgiordania che quindi non solo continuerà, ma aumenterà. Pensa che un qualsiasi cambiamento del partito al potere possa realmente avere conseguenze su questa situazione?

No. Non abbiamo avuto alcun partito o leader che sia stato diverso dagli altri, Rabin incluso, che è diventato un eroe dopo che gli hanno sparato. Gli israeliani come Lapid sono sempre impegnati ad attuare politiche tali che non ci siano palestinesi sul terreno, in questo senso, Lapid sta solo continuando ciò che tutti hanno fatto prima di lui. Il problema che hanno non è tecnico, sanno come fare, hanno un piano. Non costruiscono nuovi insediamenti, ma permettono la crescita naturale degli insediamenti attuali, mentre ai palestinesi non è ammessa alcuna crescita naturale. Poi dicono che non stanno costruendo un nuovo insediamento, ma hanno bisogno di costruire un nuovo quartiere, perché la popolazione dell’insediamento è cresciuta. Quindi è evidente che non hanno alcun problema tecnico, ma piuttosto vogliono mantenere questo ironico dialogo con il mondo: «Sapete che stiamo colonizzando, sapete che stiamo attuando la pulizia etnica dei palestinesi, sapete che li teniamo in prigione, ma tuttavia stiamo ancora giocando al gioco del processo di pace».

L’unico problema che Israele ha – anche se credo che sfortunatamente tra 10 anni questo non sarà più un problema, a meno che non cambiamo qualcosa – è che pensano ancora che quello che stanno facendo non sarà mai accettato dal mondo, così credono di dover trovare una nuova descrizione per quello che stanno facendo. Ma praticamente, essenzialmente, non credo ci sia stato un giorno dal 1967 in cui non sia stato costruito qualcosa dagli israeliani in Cisgiordania, che si tratti di una casa, un appartamento, una strada o un balcone, continua e continuerà.

Israele sa che l’UE e gli Stati Uniti non smetteranno di sostenerli, e ha ragione. Quindi, parleranno di fermare la colonizzazione, ma non lo metteranno mai in pratica. Questo è qualcosa di cui dobbiamo preoccuparci, perché questa è la realtà. Lapid viene dalla nuova generazione di politici e credo che quando si è nuovi in politica si dica un po’ più apertamente quello che si sta facendo. Poi, come Silvio Berlusconi, quando si dispone di un altro mandato, si smette di dire ciò che si sta effettivamente facendo. Quindi, se Lapid dovesse diventare primo ministro, smetterebbe di dire quello che sta facendo, direbbe, «non stiamo costruendo, stiamo solo facendo dei lavori».

Oggi, non c’è speranza per un cambiamento che venga dall’interno del sistema politico israeliano. Questo sistema sta per tendere sempre di più verso la destra, e sarà sempre meno disposto a modificare le politiche unilaterali di Israele.

C’è questo nuovo partito di estrema destra “La casa ebraica” (Habayit Haheyhudi) che è appena entrato nel governo dopo le ultime elezioni, con il leader Naftali Bennett, che è diventato ministro delle Funzioni Religiose e dell’Industria, del Commercio e del Lavoro. Che tipo di cambiamento comporterà?

È un uomo molto intelligente, proviene da un insediamento, e il suo programma principale è quello di rafforzare il collegamento tra gli insediamenti e Israele. Questo non è stato apertamente il suo programma elettorale durante le elezioni. In quel momento parlava ai giovani israeliani di Tel Aviv di quanto sia bello essere israeliani, e diceva che avrebbe recuperato l’orgoglio nell’essere israeliano, e in effetti questo ha avuto successo, lo hanno apprezzato. È stato tutto incentrato su questa idea di “grande nazione”. E a questo, ha aggiunto l’ebraismo, dicendo che non è cosa buona solo essere israeliano, ma essere un ebreo israeliano. È giovane, era nell’esercito, è stato un eroe militare e un imprenditore di successo. Ma non è così diverso da Lapid, vivono nello stesso modo, «non importa se si è di un insediamento o di Tel Aviv, proveniamo tutti da Israele».

Pensa che i coloni avranno più impatto sulla politica israeliana grazie al successo di Bennet?

Sì, credo di sì, ma questo non è così importante. Non importa se si è di un insediamento o di Tel Aviv, o se si è di destra o di sinistra. L’ideologia israeliana di base, il sionismo è il problema. Penso che finché il sionismo sarà considerato come un concetto ideale, le stesse politiche continueranno. Se Israele ha un governo più di destra, ad esempio, il governo di Netanyahu rispetto al governo Barak, la differenza è minima. Si avranno un paio di checkpoint in più e un po’ più brutalità. Ma credo che, alla fine, sia essenzialmente lo stesso. Ciò che conta non è il governo di Israele, ma quanto i palestinesi sono disposti ad accettare. Se sono disposti ad accettare la realtà attuale, allora Israele permetterà loro di lavorare all’interno di Israele, rimuoverà alcuni checkpoint e darà loro un po’ di autonomia. Ma nel momento in cui i palestinesi mostrano una qualche forma di resistenza, Israele li reprimerà brutalmente. Tutto dipende da quanto i palestinesi accetteranno il diktat israeliano.

Ha già detto che non c’è alcuna speranza per un cambiamento a livello politico in Israele. Ma come vede l’impegno dei cittadini israeliani contro l’occupazione? Quanto è importante che la società israeliana attuale e futura affronti la colonizzazione?

Ritengo che le forze che si oppongono all’occupazione siano molto ridotte, ma ci sono stati due sviluppi positivi. Prima di tutto, il rifiuto è in crescita e in secondo luogo, è guidato dalla nuova generazione, non come prima. Questo è un elemento essenziale. Ma la pressione proveniente dalla comunità internazionale e la resistenza palestinese saranno i fattori principali che ridurranno l’occupazione. Un giorno, quando dovremo ricostruire una nuova società, sarà molto meglio sapere che ci sono stati molti ebrei che hanno combattuto contro l’occupazione. Quando l’occupazione finirà e si porterà via con sé anche l’apartheid, sono sicuro che moltissimi ebrei dichiareranno che erano contrari, come accadde con i sudafricani bianchi al termine del loro sistema di apartheid, ma tutti sanno che non era vero in quel periodo. È bello vedere che questa ondata sta crescendo ogni giorno. Tuttavia, molti israeliani, d’altro canto, non sanno che esiste ancora un’occupazione militare! Per il futuro, è essenziale che questo punto di vista cambi, e sta cambiando.

I giovani israeliani si sentono spesso criticati quando viaggiano all’estero. Crede che questa critica abbia un qualche impatto o influenza sulla società israeliana?

Sì, penso che sia buono che i giovani israeliani vengano criticati quando vanno all’estero. Alcuni di loro sono effettivamente cambiati grazie a questo, non c’è alcun dubbio. C’è un ottimo videoclip di YouTube che mostra cosa accade ai giovani israeliani all’estero. L’esercito israeliano mostrava questo video di giovani israeliani che viaggiavano all’estero, in India. Era un video contro i refusenik, le persone che si rifiutano di fare il servizio militare. Nel video sono tutti seduti con delle belle giovani ragazze indiane, poi alcuni giovani europei arrivano e chiedono agli israeliani quello che hanno fatto nell’esercito. Uno parla di quando era un comandante e di quanto fosse stato figo essere stato nell’esercito, e gli europei lo guardano ammaliati, come se fosse un eroe. Nel frattempo, il refusenik sembra vergognarsi, con gli occhi abbassati, senza dire nulla, profondamente a disagio perché non ha prestato servizio nell’esercito. Quindi, questa organizzazione israeliana anti-apartheid ha fatto un video in risposta, stessa ambientazione, ma invece di esserci soldati c’erano attivisti israeliani, e la persona che si vergogna è il militare, era lui quello che si sentiva a disagio.

Ora, nel 2013, alcuni giovani non si bevono tutta la storia dell’antisemitismo. Incontrano persone all’estero della stessa età, che conoscono l’occupazione, e se gli anziani possono solo parlare di neonazisti o qualcosa del genere, i giovani sono più aperti a distinguere tra l’essere contro l’occupazione ed essere antisemita. Questa è una novità importante, che ho visto con i miei occhi.

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Quali sono gli effetti sociali e psicologici del servizio militare, a lungo termine, sui giovani israeliani?

La leva militare inquadra la mente. Ti fa vedere gli esseri umani attraverso un fucile e quindi sei portato a disumanizzarli. Ti fa diventare estremamente insensibile alla sofferenza degli altri e allo stesso tempo ti rende molto razzista. Inoltre, ti limita molto a proposito delle nuove opzioni di vita che puoi intraprendere, perché il potere offusca la tua mente. In ogni tipo di situazione penserai che l’unico modo per uscire da uno stato di confusione sia l’uso della forza. Questo ha effetti molto negativi sulla gioventù israeliana ed è chiaramente solo una parte del forte indottrinamento che devono affrontare per tutta la vita.

I giovani israeliani non parlano spesso dei problemi psicologici che vengono dopo. Sono andato al reparto psichiatrico in Israele e la stragrande maggioranza delle persone sono giovani israeliani che hanno servito nell’esercito. Questo è un segreto in Israele, nessuno ne parla. Due giorni fa un ragazzino che ha appena finito il servizio militare è andato in una banca che gli ha rifiutato un prestito. Ha finito per sparare, uccidendo quattro persone. Questo è solo un esempio degli effetti del servizio militare e della militarizzazione dell’intera società israeliana.

Come ci si sente a vivere in Israele e allo stesso tempo essere contro lo Stato? Quali sono le conseguenze?

È un dato di fatto che non ci sono molti casi come il mio e io devo pagare un caro prezzo per le mie posizioni. Finora, le persone come me pagano un prezzo non nel senso che il governo li infastidisce, è diverso da altri paesi. Israele è uno stato così razzista che non farà questo a nessun ebreo. Quello che fanno, invece, è incoraggiare la società a punirti in qualche modo. Il fatto che abbia dovuto lasciare l’università di Haifa è stato il risultato. Puntano al luogo di lavoro. Per esempio, c’erano 4 coraggiosi ex piloti che si sono rifiutati di servire nella Palestina occupata a causa di ciò che Israele stava facendo lì, sono stati costretti a lasciare il loro posto di lavoro al di fuori dell’esercito.

Pertanto, la sfera pubblica o anche la tua stessa famiglia o i tuoi amici ti fanno pagare un caro prezzo, perché vieni considerato un traditore. La ricompensa che ottieni è che ti senti meglio con te stesso e quando sei all’estero la gente ti rispetta. Questo, spero, incoraggerà la gente a pagare il prezzo. Se i palestinesi facessero ciò che alcuni israeliani stanno facendo, si troverebbero in carcere. Il popolo ebraico potrà forse perdere il lavoro, sentirsi offeso, essere odiato dai propri vicini, dagli studenti. Si tratta di un processo lungo, ma molto importante.

Come hanno fatto a cacciarla dall’Università di Haifa?

Quello che hanno fatto è stata una cosa chiamata tribunale speciale universitario. Volevano giudicarmi come traditore e buttarmi fuori dall’università. Ciò è risultato in un oltraggio internazionale perché per fortuna, a quel tempo ero già conosciuto nel mondo accademico, così non hanno potuto continuare con il processo. Allora, invece, mi hanno messo nella condizione di non poter insegnare: hanno abolito i miei permessi dall’insegnamento, hanno molestato i miei studenti di dottorato, mi hanno dato piccoli corsi, hanno detto a tutti all’università di non sedersi con me, di non parlare con me. È stato il rettore a dare gli “ordini”. Ha detto agli altri insegnanti che avrebbero messo la propria carriera a rischio se avessero violato queste regole. Non mi hanno mai licenziato formalmente, ma per me questo era troppo, così ho lasciato.

Oggi ci sono molti casi simili al mio in tutta Israele, ma parlare contro le politiche israeliane da accademico oggi, è diventato più difficile di prima, dal momento che nel 2012 una nuova legge è stata approvata dalla Knesset, il parlamento. Questa legge dice che se sei un accademico israeliano e sostieni apertamente il boicottaggio accademico di Israele o parli contro le politiche e le azioni di Israele, devono licenziarti o potresti addirittura venire arrestato. Dopo tutto, un gran numero di accademici israeliani contro l’occupazione, ha creato il “Comitato Accademico Israeliano per il Boicottaggio”. Queste persone ne pagano le conseguenze e non potranno mai diventare professori o proseguire la loro carriera accademica però, più importante, penso che si sentano meglio degli altri. Dopo che questa legge draconiana è stata approvata, sempre più persone hanno deciso di parlare apertamente contro l’occupazione israeliana e l’apartheid e, per ora, nessuno è stato effettivamente arrestato. Come può Israele parlare di democrazia quando la nostra presunta libertà di parola è violata in maniera così ovvia.

Ilan Pappè è un accademico e attivista israeliano. È docente all’Università di Exeter (UK) ed è ben noto per essere uno dei “Nuovi Storici” israeliani, che riscrivono la narrazione sionista della situazione israelo-palestinese. Ha più volte pubblicamente accusato e condannato le politiche israeliane di pulizia etnica della Palestina e l’occupazione israeliana, nonché il regime di apartheid. Ha anche sostenuto la campagna di boicottaggio Boycott, Divestments and Sanctions (BDS), richiamando la comunità internazionale affinché si mobiliti contro le politiche sioniste israeliane. Attivisti dell’ISM hanno avuto l’opportunità di discutere con il professor Pappè della pulizia etnica della Palestina, delle politiche e della società israeliana e del ruolo della comunità internazionale e degli attivisti in Palestina; è risultata un’intervista in tre parti, che verranno pubblicate sul sito dell’ISM nelle prossime settimane. Questa è la seconda parte, sulla politica e la società israeliana. La prossima settimana verrà pubblicata la terza parte dell’intervista, sul ruolo della comunità internazionale e dell’attivismo di solidarietà.

Fonte: Palsolidarity

Traduzione a cura di Associazione Zaatar 

Inviato da admin il Mer, 17/07/2013 – 09:30

http://www.palestinarossa.it/?q=it/content/story/intervista-dellism-ilan-papp%C3%A8-seconda-parte

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