Invisible people

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30 agosto 2012.

Wadi Al Na’am semplicemente non esiste.
Eppure noi siamo qui. E questo è solo uno dei circa 40 villaggi beduini del Neghev che il governo israeliano non riconosce. Ci troviamo a sud della città israeliana di Be’er Sheva, antico crocevia commerciale delle carovane beduine che attraversavano il deserto tra Amman, Gaza e l’Egitto; è una città le cui rovine testimoniano la storia di un popolo antico come il deserto che rimangono oggi appannaggio di turisti Lonely Planet. Purtroppo non arriveranno mai in un villaggio beduino: le guide ed i cartelli stradali non li indicano.

Per Israele questi villaggi non esistono. Eppure sono 40 e ospitano anche decine di migliaia di persone. Qui nel Negev vivono 250.000 beduini, un quinto dei quali non sono neanche mai stati registrati dallo Stato; metà di loro vive nelle 7 città costruite da Israele per raccogliere le persone che sono state spostate forzatamente dal deserto, l’altra metà resiste nei propri villaggi in condizioni di vita estreme, senza acqua, senza luce, senza trasporti, senza il permesso di costruire case o scavare pozzi. “Viviamo qui da sempre, ma dal ’48 è cambiato tutto, dopo la guerra eravamo rimasti in 11.000, ma siamo tornati. Israele non è riuscito a cacciarci con la guerra, ora ci prova con le buone, hanno costruito villaggi in muratura con tutti i servizi necessari che normalmente ci vengono negati: acqua, luce, trasporti… ma noi preferiamo restare nel deserto, fino a venti anni fa vivevamo sotto le tende, per gli anziani è stato uno schock andare a vivere nelle case, mia madre vuole che il venerdi ci riuniamo tutti sotto la tenda beduina” dichiara Yosef. la nostra guida. E per mantenere vive le tradizioni culturali beduine un gruppo di donne di Lakia ha fondato il comitato “Desert Embroidery” che ora conta 160 iscritti.

Pur di liberarsi di loro il governo offre persino soldi in cambio della rinuncia alla cittadinanza israeliana e ha fatto un accordo con il Canada che si è reso disponibile ad accettarli.
Per essere ufficialmente riconosciuti dallo Stato alcuni villaggi dovrebbero cedere buona parte delle loro terre mentre altri devono essere sgomberati senza appello. E’ il caso di Al Arakib, distrutto 41 volte in 2 anni dall’esercito con metodi brutali e ogni volta ricostuito dai suoi abitanti.
Ieri invece è stata la volta di Rakhama, villaggio beduino di circa mille abitanti, poco a sud della cittadina di Yeruham, uno di quei posti in cui Israele ha fatto “fiorire il deserto”, per gli israeliani, ma non per i beduini. Oltre cento soldati sono arrivati ieri con i bulldozer davanti a Rakhama, hanno buttato i gas lacrimogeni dentro le case per farne uscire gli abitanti ed hanno distrutto cinque abitazioni. Quando siamo arrivati, il giorno dopo, le donne di casa stavano ancora cercando tra le macerie gli effetti delle proprie famiglie, piangevano di rabbia tirando fuori vestiti, pentole e libri di scuola dei loro numerosi figli. “Questa è la democrazia! Questa è la pace!”. Ci hanno detto.
“Siamo cittadini israeliani ma non godiamo degli stessi diritti di quelli ebrei, perchè siamo musulmani. Viviamo nell’incertezza assoluta e soffriamo che la politica di Israele, il nostro paese, è orientata a cacciarci via: il governo vuole la nostra terra, preziosa per la sua posizione strategica in termini militari, tra Gaza e la West Bank” dichiara ancora Yosef.
“Le nostre famiglie hanno pascolato il bestiame, coltivato, commerciato su queste terre ed ora il nostro governo non ci vuole più qui, imponendoci di concentrarci nelle 7 città a noi destinate e togliendoci la possibilità di proseguire le nostre attività di agricoltura e pastorizia. Insieme al lavoro perderemmo anche la nostra cultura e le nostre tradizioni”.

Come se non bastasse, in questa parte del deserto si concentra lo stoccaggio di rifiuti tossici e nucleari nazionali, molto nocivi per la salute. Una grande centrale elettrica è stata costruita proprio qui, a poche centinaia di metri dalle due scuole di Wadi Al Na’am, che accolgono oltre 800 bambini e ragazzi provenienti dalla regione. Giorno e notte, minacciose fumate provenienti dalle ciminiere della centrale si alzano nel cielo sopra la scuola; nessuno sa cosa sta respirando, ma tutti sanno che è qualcosa di dannoso: “A volte dobbiamo evacuare la scuola – dichiara una maestra – e nel Negev ci sono due nuovi casi di tumore ogni giorno”.

Nonostante tutto il popolo del deserto resiste, fiero di una storia che vuole far conoscere al mondo.

Team Ancora in Palestina, Campagna Ponti e non Muri Pax Christi Italia

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