Ir7al ya Mubarak

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February 4th, 2011

E’ il suono di questi undici giorni. Ir7al ya Mubarak. Vattene, Mubarak. Sale dai forse due milioni che oggi sono arrivati a Piazza Tahrir, e che magari non sono riusciti a entrare nell’enorme piazza, e sono rimasti al di là della Lega Araba, dove gli stessi dimostranti avevo messo su il servizio d’ordine accanto all’esercito. Folla sul ponte di Qasr el Nil (il ponte dei Leoni, noi vecchi residenti del Cairo lo conosciamo così, vero?), verso l’Opera. Folla dagli altri ingressi. Vattene, Mubarak, in un’atmosfera che tutti i testimoni descrivono come festiva, allegra. Musica, poeti che recitano poemi (pratica estremamente popolare, nel mondo arabo, e tutt’altro che di nicchia). Famiglie, bambini, padri e figli. Esattamente il contrario di quanto richiesto ieri sera da Omar Suleiman, potente capo dell’intelligence egiziana e ora vicepresidente. Aveva chiesto ai ragazzi di tornare a casa, e aveva chiesto ai genitori di chiedere ai figli di tornare a casa. Il risultato, a giudicare dai milioni in piazza tra Cairo e Alessandria, è stato esattamente l’opposto. Un risultato che deve insegnare molto, non solo e non tanto a Suleiman, ma anche ai nostri politici (italiani ed europei), quando si scelgono gli interlocutori.

C’è, insomma, una società civile, in Egitto. Una società civile e un popolo che in questi giorni sta abbattendo lo stereotipo dell’egiziano che ha segnato il nostro immaginario. Pasticcione, ritardatario, voltagabbana, disorganizzato. Piazza Tahrir ha mostrato un’altra faccia del paese. La faccia ignota. Un popolo che si riappropria del proprio paese, che pulisce le strade dove gli spazzini non passano, che si prende cura degli altri. Tutti gesti che spiegano, anche a noi che abbiamo avuto a che fare con lo stereotipo (pasticcioni, ritardatari etc) che c’era un motivo politico dietro tanta incuria. Il popolo non sentiva il paese come suo, perché si sentiva suddito e non cittadino. L’etica della responsabilità, piombata di colpo a piazza Tahrir, è il segno che una generazione di giovani è cresciuta sana, chiedendo cittadinanza.

Bisogna ascoltarla, questa piazza. Credo che sia necessario anche da parte di chi, in questo momento, sta trattando la transizione. Il comitato di saggi che è andato a parlare con Omar Suleiman portando le richieste dei manifestanti, per esempio. Per questo motivo non mi convincono tanto le argomentazioni di Amr Hamzawy, che pure è tra coloro che in questi anni ha cercato di tracciare i contorni di un Egitto politico dimenticato, nel suo lavoro al Carnegie Endowment for Peace. Dagli schermi di Al Jazeera, Hamzawy ha spiegato quale potrebbe essere l’accordo: presidenza onoraria a Mubarak, che gli consentirebbe di conservare la dignità e arrivare a settembre, e poteri reali a Omar Suleiman come vicepresidente, se verranno accolte tutte le richieste per garantire che questo risultato non venga inghiottito dal regime, come altre volte è successo. Non credo, però, che la piazza riesca a ingoiare il fatto che Mubarak, pur con una presidenza onoraria, rimanga sino a settembre. Mi sembra l’abbia capito anche Mohammed el Baradei. E, ma solo in parte, anche Amr Moussa, che oggi ha fatto sostanzialmente la sua discesa in campo.

Amr Moussa says he expects Mubarak to remain in his post until his term ends in seven months, though “there are extraordinary things happening and there is chaos, maybe he will make a different decision.”

Le parole di Amr Moussa lasciano aperta la strada al segretario generale della Lega Araba di cambiare le sue opinioni, a seconda della voce della piazza. Perché è Amr Moussa uno dei possibili antagonisti di Baradei. Molto noto nel paese (gli era stata dedicata anche una canzone da uno dei più famosi e popolari cantanti sha’bi), Amr Moussa è un po’ appannato, ora. Ma pur sempre carismatico. Tanto è vero che ha praticamente detto che si potrebbe presentare candidato. Non è sorprendente. Era molto popolare, come ministro degli esteri, e Mubarak lo fece promuovere alla Lega Araba per evitare che qualcuno gli potesse far ombra. Promoveatur ut…

Il comitato dei saggi, dunque, deve ascoltare la piazza. Che ha dimostrato la presenza di una società civile ricca, costruita, per nulla artificiale. Lo si vede anche dal fatto che vi sono rappresentate tutte le categorie, tutte le facce dell’Egitto, da quello povero a quello medio borghese, dall’analfabeto allo scrittore e all’artista, mortificato per decenni dalla censura. Non è un caso che anche oggi vi fossero in piazza i vecchi della cultura egiziana (compresa Nawal al Saadawi) e che la protesta avesse l’appoggio di chi, coerente e dunque osteggiato, non ha accettato prebende dal regime, come Sonallah Ibrahim, scrittore di vaglia. Non è un caso che vi fossero i giovani attori (Khaled Abul Naga tweetta da giorni e da notti), artisti, musicisti… Il Nuovo Egitto, cresciuto all’ombra del regime com’è sempre successo in tutti i regimi. Vaclav Havel e gli altri insegnano.

Se Tahrir continuerà a essere ‘terra liberata’, presidiata nei prossimi giorni, ciò significherà che quella piazza non vuole essere estranea alla mediazione. Con tutte le complicazioni (buone, sane) che questo significa.

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