REDAZIONE 28 SETTEMBRE 2013
di Sina Toossi – 27 settembre 2013
In un discorso davanti all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il nuovo presidente iraniano Hassan Rouhani ha trasmesso un messaggio prudente e attentamente formulato che è risultato in contrasto con i discorsi più sprezzanti del suo predecessore a tale vertice.
Anche se Rouhani non ha fatto alcuna grandiosa apertura conciliativa, ha anche evitato qualsiasi linguaggio offensivo o deleterio, placando, in effetti, i duri di Teheran e permettendo contemporaneamente costanti progressi verso un dialogo con gli Stati Uniti.
Facendo eco all’enfasi posta dal presidente Obama nel suo discorso all’Assemblea Generale a proposito di un approccio diplomatico alla risoluzione dell’impasse tra Iran e Stati Uniti, Rouhani ha affermato che l’Iran “è pronto a impegnarsi immediatamente in dialoghi con scadenze vincolanti e orientati ai risultati per costruire reciproca fiducia e rimuovere con piena trasparenza le mutue incertezze.”
Ha inoltre dichiarato che “l’Iran cerca un impegno costruttivo con altri paesi, basato sul rispetto reciproco e gli interessi comuni e in tale stesso quadro non cerca di accrescere le tensioni con gli Stati Uniti”.
Rouhani ha anche accolto il discorso del presidente Obama, che ha preceduto il suo, usando rispettosamente l’espressione inglese “President Obama” anziché l’equivalente in farsi.
“Ho ascoltato attentamente la dichiarazione del presidente Obama oggi all’Assemblea Generale”, ha affermato Rouhani. “In misura corrispondente alla volontà politica della dirigenza degli Stati Uniti e sperando che si astenga dal seguire i miopi interessi dei suoi gruppi di pressione bellicisti, possiamo arrivare a un quadro per gestire le nostre differenze”.
Il discorso di Rouhani all’ONU non è stato un cambiamento di indirizzo in termini di porgere un ramoscello d’ulivo agli Stati Uniti. Non è neppure stato privo della sua discreta quota di critiche iraniane di lungo corso a Washington e ai suoi alleati, con Rouhani che ha condannato la “violenza strutturale” contro i palestinesi e in tal modo tacitamente criticando la politica statunitense nella regione.
Tuttavia, assieme ad altri recenti segnali positivi da Teheran, Rouhani ha efficacemente preparato il terreno per una soluzione negoziata del programma nucleare iraniano, che sta diventando più fattibile che mai.
Obama apre un terreno nuovo sull’Iran
Forse maggiormente unico in termini di sostanza reale è stato il discorso di Obama.
Obama ha affrontato direttamente numerose persistenti rimostranze iraniane. Ha parlato di decine di migliaia di iraniani “avvelenati” da armi chimiche durante la guerra Iran-Iraq (anche se ha trascurato di citare lacomplicità di Washington in questo) e ha persino fatto riferimento al colpo di stato del 1953, patrocinato dalla CIA, che spodestò il governo eletto democraticamente del primo ministro Mohammad Mossadeq e riportò al potere l’odiato scià Mohammad Reza Pahlavi.
“Gli iraniani hanno a lungo lamentato una storia di interferenza statunitense nei loro affari e il ruolo degli Stati Uniti nel rovesciamento del governo iraniano nel corso della Guerra Fredda,” ha detto Obama.
Con una mossa significativa Obama ha anche dato riconoscimento alla fatwa del Leader Supremo iraniano che ha messo al bando lo sviluppo di armi nucleari e ha dichiarato che gli Stati Uniti non stanno perseguendo un cambiamento di regime a Teheran.
Il riconoscimento della fatwa è importante, perché gli iraniani e altri hanno affermato che potrebbe servire da base per un accordo sul nucleare tra l’Iran e i paesi del P5+1 oggetto di negoziati (il gruppo comprende i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza più la Germania).
Anche se Obama non ha espresso particolare consenso alla richiesta iraniana chiave che Washington riconosca il suo diritto, in base al trattato sulla non proliferazione del nucleare, a operare l’arricchimento dell’uranio sul proprio suolo a fini di generazione di energia, si è spinto sino a dire che gli Stati Uniti “rispettano il diritto del popolo iraniano ad accedere a energia nucleare pacifica”.
Tutto questo linguaggio relativamente nuovo sull’Iran di un presidente statunitense è destinato a trovare buona accoglienza a Teheran, che da molto tempo desiderava che gli Stati Uniti le si rivolgessero con “rispetto”.
E’ degno di nota che anche se sia il ministro degli esteri iraniano sia l’ambasciatore del paese presso le Nazioni Unite erano presenti duranti il discorso di Obama, né il Segretario di Stato John Kerry né l’ambasciatore statunitense presso le Nazioni Unite, Samantha Power, erano presenti durante il discorso di Rouhani.
Tuttavia Obama ha in effetti annunciato che Kerry guiderà i negoziati statunitensi con l’Iran sul nucleare, ponendo fine a una lunga prassi di delega della diplomazia bilaterale con l’Iran a diplomatici di basso profilo. Ciò segue una mossa simile fatta da Rouhani quando ha assegnato al ministro degli esteri iraniano Mohammad Javad Zarif la responsabilità del dossier nucleare iraniano.
E’ già stato programmato un incontro tra Kerry e Zarif, insieme con altri diplomatici del resto del gruppo P5+1, per discutere il modo per far progredire i negoziati.
Tale incontro segnerà il livello più elevato del dialogo tra l’Iran e gli Stati Uniti dopo la Rivoluzione Islamica del 1979 e sarà il barometro più importante sin qui per misurare quanto diverso sarà l’approccio di Rouhani rispetto a quello del suo predecessore, Mahmoud Ahmadinejad.
Svolta nei toni di Teheran
Anche prima dell’Assemblea Generale, l’elezione in giugno del politicamente moderato Rouhani aveva riacceso speranze che potesse essere raggiungibile un accordo negoziato sul programma nucleare dell’Iran.
Rouhani aveva ottenuto una vittoria rinnovatrice sulla base di una piattaforma che lo poneva in forte contrasto con i suoi rivali più conservatori. In particolare aveva sottolineato la riduzione delle sanzioni, il miglioramento delle relazioni con altri paesi, la promozione delle libertà sociali e politiche e la formazione di un governo gestito da tecnocrati esperti.
Più significativamente, il processo elettorale che ha portato al potere Rouhani ha anche portato sotto la luce dei riflettori internazionali le differenze di opinioni tra i livelli più alti del potere nella Repubblica Islamica.
I politici e gli altri attori influenti sulla politica nella Repubblica Islamica non sono assolutamente politicamente uniformi. Anche se il Leader Supremo Ali Khamenei è indubbiamente la figura più importante e influente quando si tratta della formulazione finale delle principali politiche iraniane, non ha affatto il potere assoluto.
Khamenei, invece, si affida, e ne è in molti modi vincolato, alle opinioni e desideri di una varietà di centri di potere in Iran, compresi vari consigli, eminenti figure e istituzioni politiche e religiose, le potenti Guardie della Rivoluzione Islamica e il parlamento e il presidente eletti direttamente.
L’elezione di Rouhani ha riportato al potere quei centristi e riformisti del sistema iraniano che sono di gran lunga più politicamente moderati e flessibili dei loro predecessori. Questo gruppo, che comprende gli ex presidenti Hashemi Rafsanjani e Mohammad Khatami tra i principali sostenitori, ha dato sin qui ogni motivo di credere che desidera distensione e impegno con l’occidente.
In effetti, molti nell’amministrazione Rouhani – compreso il ministro degli esteri Mohammad Javad Zarif, famoso su Facebook, istruito negli Stati Uniti ed estremamente esperto – sono stati tra gli architetti di una generosa offerta iraniana mirata a un grande compromesso con gli Stati Uniti nel 2003.
L’offerta, respinta dall’amministrazione Bush, avrebbe visto l’Iran aderire a una piena collaborazione sulle misure di salvaguardia a proposito del nucleare, por fine al “sostegno materiale” a gruppi della resistenza palestinese quali Hamas e accettare l’iniziativa di pace dell’Arabia Saudita, che in effetti riconosceva Israele sostenendo una soluzione a due stati al conflitto israelo-palestinese.
Ma forse oggi Washington avrà una seconda possibilità. Con il trasferimento, da parte di Rouhani, della responsabilità dei negoziati sul nucleare dal più intransigente Consiglio Supremo della Sicurezza Nazionale al ministero degli affari esteri, Zarif ora avrà autorità piena per negoziare in rappresentanza dell’Iran.
E’ rimarchevole che i conservatori e i duri dell’Iran sembrino dare a Rouhani spazio e sostegno per raggiungere un accordo con gli Stati Uniti. Come ha detto l’ex analista della CIA Paul Pillar: “le stelle si sono allineate a Teheran”.
Khamenei ha offerto un importantissimo avallo agli sforzi di Rouhani in un discorso davanti ai comandanti delle Guardie della Rivoluzione Islamica alcune settimane fa. Ha proclamato la necessità di una “flessibilità eroica” negli affari internazionali e ha dichiarato il suo sostegno alla diplomazia, autorizzando effettivamente Rouhani a negoziare con gli Stati Uniti sul nucleare e su temi regionali. La dichiarazione di Khamenei ha, al minimo, incoraggiato le Guardie della Rivoluzione, tipicamente sostenitrici della linea dura, a frenare oggi la lingua.
Altri segnali positivi recenti da Teheran includono il recente rilascio di quasi cento detenuti politici, un’impressionante campagna diplomatica su Twitter e Facebook di Rouhani e Zarif (che hanno entrambi augurato un felice Rosh Hashanah agli ebrei), lo scambio di lettere tra Rouhani e Obama (il primo simile scambio di comunicazioni reciproco di comunicazione tra leader statunitensi e iraniani in più di trent’anni) e uneditoriale di apertura conciliativo di Rouhani sul Washington Post.
Guardando avanti
John Kerry ha un mucchio da fare nel perseguire il mandato che il presidente Obama gli ha affidato nel realizzare un impegno con l’Iran.
Mentre si prepara a mettersi a un tavolo con Zarif, Kerry deve riconoscere che c’è una finestra temporale stretta in cui può attendersi questo grado di apertura e coesione da parte della dirigenza iraniana.
Ostacoli verranno da elementi sia statunitensi sia iraniani. Falchi del congresso e gruppi di pressione sono già irritati al solo pensiero di Obama che parla con gli iraniani. Persino in questa fase delicata il deputato Trent Franks (Repubblicano, Arizona) e il senatore Lindsey Graham (Repubblicano, Carolina del Sud) stanno attuando piani per proporre una dichiarazione di guerra all’Iran.
Rouhani ha rischiato molto assumendo un approccio così conciliativo nei confronti degli Stati Uniti. Il suo capitale politico non durerà a lungo se non porterà a casa risultati positivi. I duri di Teheran aspettano con impazienza di balzare nuovamente in prima linea nella politica iraniana al minimo cenno di fallimento da parte di Rouhani nel rassicurare gli Stati Uniti.
Come ha detto Obama, le azioni sono più importanti delle parole conciliatrici. Nelle prossime settimane avremo un quadro più chiaro di quali concessioni è disposta a fare ciascuna parte al fine di risolvere l’ormai decennale disputa sul programma nucleare iraniano, e forse la anche più lunga impasse tra Iran e Stati Uniti.
Sina Toossi collabora a Foreign Policy in Focus
Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
Fonte: http://www.zcommunications.org/iran-s-rouhani-makes-his-debut-on-the-world-stage-by-sina-toossi.html
Originale: Foreign Policy in Focus
Traduzione di Giuseppe Volpe
Traduzione © 2013 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0
http://znetitaly.altervista.org/art/12475
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