REDAZIONE 28 DICEMBRE 2012
Di Gilbert Achcar
e David Goessmann
26 dicembre 2012
La stragrande maggioranza degli ebrei europei che scappavano dai Nazisti, avrebbero voluto emigrare in Nord america, ma le porte erano chiuse. “L’idea di costruire un stato di questo tipo in un paese che non era una nazione abbandonata, lungi da ciò, a spese della popolazione locale. voleva dire piantare i semi di una tragedia che ci è stata sempre presente per vari decenni, dal 1947/1948″, dice Achcar. Dopo l’occupazione totale della Palestina, dopo la guerra dei 6 giorni nel 1967, Israele ha continuamente rifiutato qualsiasi accordo sotto forma di “terra in cambio della pace”. La completa evacuazione da parte di Israele di tutti i territori occupati nel 1967, e il rispetto del diritto dei palestinesi all’auto determinazione almeno nel 22% del loro territorio storico sarebbe una condizione minima per qualsiasi soluzione pacifica. E’ anche importante mediare nella “guerra delle narrazioni” tra l’interpretazione sionista e quella colonialista del conflitto, dice Achcar.
Gilbert Achcar: politologo, e sociologo alla “Scuola di Studi Orientali e Africani” dell’Università di Londra, pacifista, autore del libro “The Arabs and the Holocaust” [ Gli Arabi e l’Olocausto] e insieme con Noam Chomsky, del libro: “Perilous Power”, [Potere pericoloso].
David Goessmann: Sui mezzi di informazione occidentali ci sono molti servizi sul conflitto israelo-palestinese che descrivono come uno stallo fatale, un ciclo di violenza. Raramente però essi forniscono contesti fondamentali come il motivo per cui la Risoluzione 242 dell’ONU del 1967 e altri accordi di pace accettati in campo internazionale, non possono essere realizzati. Ci dia un’idea del motivo per cui non ci sono giustizia e pace in Israele e in Palestina e che cosa si dovrebbe fare per ottenerle.
Gilbert Achcar: Non penso che ci sia nulla di fatale in quello che sta succedendo, nel senso che quello che accade oramai da quattro decenni, è il prodotto delle decisioni di un comportamento da parte di una forza politica specifica che dirige ciò che accade dalla parte israeliana. La prima fatalità che le gente citava è che i sopravvissuti ebrei dell’Olocausto, dell’Olocausto nazista in Europa, sono caduti sui palestinesi. Isaak Deutscher, il famoso storico, aveva usato questa metafora di qualcuno che cercava di scappare dall’incendio scoppiato a casa sua saltando dalla finestra e cadendo su qualcun altro. La persona che cade dalla finestra sono i sopravvissuti ebrei dell’Olocausto e la persona sui cui gli capita di cadere e alla quale rompono le gambe e la schiena, sono i palestinesi. Questo descriverebbe una situazione di fatalità. La realtà è invece che la cosa non è stata così fatale se ci pensate. Se infatti andiamo all’inizio di tutta la storia, non c’è dubbio che la stragrande maggioranza degli ebrei europei che scappavano dal nazismo avrebbe voluto andare in Nord America, ma avevano chiuso le porte. Gli sarebbe piaciuto andare in Gran Bretagna, anche loro avevano chiuso le porte, Queste nazioni accettavano soltanto quote molto limitate di queste persone. Hanno tentato di risolvere il problema, riuscendo a far aprire là le porte alla Gran Bretagna che aveva il controllo della Palestina.
David Goessmann: In quell’epoca c’era molto antisemitismo in Nord America.
Gilber Achcar: Naturalmente, a oltre a questo c’era il movimento sionista che in realtà stava combattendo. Invece di combattere per aprire le porte di tutto il mondo agli ebrei sopravvissuti, il movimento sionista in realtà voleva concentrare tutti i suoi sforzi sul problema della Palestina. Volevano quindi che questa concentrazione di persone venisse in Palestina per creare uno stato. E questo è ciò che è proprio al centro del sionismo di stato di Theodor Herzl, l’autore del saggio “Lo stato ebraico” (Der Judenstaat). Questa idea di uno stato ebraico, uno stato degli Ebrei, è un’idea in se stessa, uno stato definito in quel modo è un tipo non democratico di definizione. L’idea di costruire uno stato di quel genere in un paese che non era un paese abbandonato, lungi da questo, a spese della popolazione locale, significava piantare i semi di una tragedia che ci ha accompagnato per diversi decenni, fino dal 1947/1948. Si è avuto un secondo spartiacque storico, dopo il 1947: la risoluzione dell’ONU che divideva la Palestina. Si è avuta la risoluzione dell’ONU che lei ha citato, la 242 nel 1967, quando Israele ha completato la sua occupazione della Palestina, ha occupato il resto della Palestina, il 22% che era rimasto fuori quando è stato creato lo stato israeliano nel 1948, dopo la guerra. E’stato quindi completato, malgrado le offerte dal lato arabo e malgrado la legalità internazionale o la cornice legale fossero state create dalla risoluzione 242, “la pace in cambio del territorio”. Questo scambio è stato rifiutato da successivi governi israeliani. Perfino l’accordo di Oslo è stato fondamentalmente imperfetto, perché nel firmarlo Israele ha soltanto promesso di ritirarsi dalle zone abitate della Cisgiordania, non dell’intera Cisgiordania. Ed [essi] hanno continuato a costruire insediamenti e in effetti hanno incrementato la costruzione di insediamenti in varie posti della Cisgiordania, molto più velocemente di quanto li avesse sviluppati dopo il 1967. E quindi, dopo Oslo, quello che si è visto in sette anni è stato il raddoppio del numero dei coloni in Cisgiordania. E quindi, ancora una volta, queste politiche sono le radici profonde di questo problema. E in questo non c’è alcuna fatalità. Un tipo di politica molto diverso si sarebbe potuto fare. Intendo dire che in quel periodo tantissima gente a Israele e nel mondo arabo sperava nella pace; sperava che realmente ci sarebbe stato lo scambio tra pace in cambio di territorio, e che si sarebbe creato uno stato palestinese. Avevamo questo tipo di sogni. Naturalmente Arafat aveva questo tipo di sogno e si è dimostrato un’illusione totale, non a causa dei palestinesi. Questo è assolutamente chiaro. Essi sono la parte che è stata calpestata in questo conflitto, essi sono gli oppressi, essi non sono l’oppressore, non sono l’occupante. Questo è il punto chiave.
David Goessmann: Come si potrebbe attuare una soluzione? Che cosa si dovrebbe fare per ottenere un accordo di pace? E quale è il ruolo degli Stati Uniti in questa situazione?
Gilbert Achcar: La metterei in modo più misurato, perchè non ci si può impegnare per sviluppi storici. Io potrei dire quali sono le condizioni minime per qualsiasi accordo nella regione. Queste condizioni sono note. Infatti i palestinesi hanno un consenso che esprimono perfino in un documento consensuale di tutte, o praticamente tutte le forze palestinesi da Fatah ad Hamas, e ognuna lo ha sottoscritto. Queste condizioni minime sono: la completa evacuazione da parte di Israele di tutti i territori occupati nel 1967 e lo smantellamento degli insediamenti. Il rispetto del diritto dei palestinesi all’autodeterminazione almeno nel 22% del loro territorio storico. Neanche quello è riconosciuto da Israele. E quindi, senza questo minimo, non si può pensare ad alcun inizio di accordo. Qualsiasi “accordo” sarebbe come quello di Oslo, un processo illusorio che crolla dopo pochi anni e che porta a una tragedia ancora maggiore di quella che si è avuta prima.
Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
www.znetitaly.org
Fonte: http://www.zcommunications.org/Israel-has-rejected-peace-solution-for-40-years-war-of-the-narratives-zionism-vs-colonialism-by-gilbert-achcar
Originale: Kontext
Traduzione di Maria Chiara Starace
Traduzione © 2012 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY – NC-SA 3.0
http://znetitaly.altervista.org/art/9132
Quest'opera viene distribuita con Licenza Creative Commons. Attribuzione - Non commerciale - Condividi allo stesso modo 3.0 Italia.