6 APRILE 2017
di Jonathan Cook – 5 aprile 2017
Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu si è rivolto in collegamento video a schiere di lealisti di Israele la settimana scorsa, alla conferenza annuale dell’AIPAC, il Comitato degli Affari Pubblici USA-Israele.
Dovrebbero, ha detto, seguire l’esempio del suo governo e difendere Israele sul “campo di battaglia morale” contro la crescente minaccia del movimento internazionale di boicottaggio, disinvestimenti e sanzioni (BDS). Nel semplicistico linguaggio di Netanyahu il sostegno ai diritti dei palestinesi e l’opposizione agli insediamenti equivalgono alla “delegittimazione” di Israele.
L’attuale ossessione circa il BDS riflette un contesto politico in cambiamento per Israele.
Secondo un’inchiesta del giornale Haaretz del mese scorso, agenti israeliani hanno minato la comunità dei diritti umani negli anni ’70 e ’80. Il loro lavoro consisteva nel ripulire l’immagine di Israele all’estero. Yoram Dinstein, un docente all’Università Ebraica di Gerusalemme, dirigeva la sezione locale di Amnesty International, l’organizzazione per i diritti umani più influente dell’epoca, gestendola efficacemente come ala del ministero degli esteri di Israele.
L’interferenza di Dinstein consentì a Israele di descrivere falsamente l’occupazione come benigna, presentando contemporaneamente la lotta di liberazione dei palestinesi come terrorismo. La realtà dell’oppressione israeliana dei palestinesi raramente arrivava all’estero.
Cinque decenni dopo il compito di Israele è più difficile. La comunità dei diritti umani è più indipendente, mentre media sociali e fotocamere dei cellulari hanno consentito ai palestinesi e ai loro sostenitori di aggirare i guardiani del cancello.
Negli ultimi giorni video hanno mostrato un poliziotto israeliano che picchiava ferocemente un camionista palestinese e soldati che prendevano in ostaggio un terrorizzato bambino di otto anni che aveva incrociato il loro percorso alla ricerca di un giocattolo.
Se l’occultamento alla fonte non è più così facile, la battaglia deve essere portata a quelli che diffondono queste informazioni incriminanti. L’urgenza è cresciuta con artisti che rifiutano le visite, università che tagliano i rapporti, chiese che ritirano investimenti e imprese che si ritirano da accordi.
Israele si sta già barricando meglio che può da controlli esterni. Nel mese scorso ha approvato una legge che nega l’ingresso in Israele o nei territori occupati a chi appoggia il BDS o “delegittima” Israele.
Ma i critici interni si sono dimostrati più ostici. Il governo israeliano ha eroso la base finanziaria della comunità dei diritti umani. Si è intensificata la disciplina dei media. E il ministero della cultura sta operando un giro di vite sulle produzioni cinematografiche che criticano l’occupazione o la politica del governo.
Ma è il movimento locale per il boicottaggio che subisce l’impatto maggiore dell’assalto. Gli attivisti già rischiano danni punitivi se sollecitano il boicottaggio degli insediamenti. Il ministro dei trasporti Yisrael Katz ha intensificato le minacce l’anno scorso, avvertendo i leader del BDS che rischiavano un “assassinio mirato civile”. Che cosa intendeva?
Omar Barghouti, la figura rappresentativa palestinese del movimento, è stato arrestato il mese scorso, accusato di evasione fiscale. E’ già sottoposto a un divieto di spostamento che gli impedisce di ricevere questo mese un premio internazionale per la pace. E dirigenti israeliani vogliono spogliarlo della sua residenza non tanto “permanente”.
Contemporaneamente un attivista israeliano di spicco dei diritti, Jeff Halper, fondatore del Comitato Israeliano contro la Demolizione delle Case, è stato detenuto dalla polizia per sospetti di promozione del BDS nell’accompagnamento di attivisti in una visita a un insediamento illegale.
Sono i primi segni della repressione a venire. Il ministro della polizia, Gilad Erdan, ha annunciato piani di un archivio di dati di israeliani che appoggiano il BDS, a specchio delle esistenti operazioni di spionaggio contro attivisti BDS all’estero. Le informazioni aiuteranno un’unità di “giochi sporchi” il cui compito consiste nell’infangare la loro reputazione.
Erdan vuole anche una lista nera di imprese e organizzazioni che appoggiano i boicottaggi. Una legge approvata a febbraio già disonora le poche società pronte a negare servizi agli insediamenti, costringendole pubblicamente a “uscire”.
Perché Israele ha tanta paura? Dirigenti affermano che il pericolo immediato è l’etichettatura dei prodotti degli insediamenti da parte dell’Europa, il primo passo su una china scivolosa che potrebbe portare alla classificazione di Israele come stato di apartheid. Ciò sposterebbe il dibattito dai popolari boicottaggi e disinvestimenti di gruppi della società civile a pressioni per interventi da parte di governi, o sanzioni.
La tendenza inesorabile è stata illustrata il mese scorso quando una commissione delle Nazioni Unite ha ritenuto Israele colpevole di violazione della convenzione internazionale sul crimine dell’apartheid. Washington ha costretto il segretario generale dell’ONU a ripudiare il rapporto, ma il paragone non sparirà.
I sostenitori di Israele negli Stati Uniti hanno preso a cuore il messaggio di Netanyahu. La settimana scorsa hanno svelato una “mappa di boicottatori” in rete, che identificava accademici che appoggiano il BDS, sia per impedir loro di entrare in Israele e sia presumibilmente per danneggiare le loro carriere.
Per il momento il contrattacco organizzato da Israele sta funzionando. Governi occidentali stanno definendo il boicottaggio, persino degli insediamenti, antisemita, mosso da odio contro gli ebrei anziché dall’opposizione all’oppressione israeliana dei palestinesi. Leggi contro il BDS sono state approvate in Francia, Gran Bretagna, Svizzera, Canada e Stati Uniti.
E’ precisamente in questo modo che Netanyahu vuole definire il “campo di battaglia morale”. Un regno del terrore contro la libertà di espressione e l’attivismo politico all’estero e in patria, che lasci Israele libero di schiacciare i palestinesi.
Sulla carta può apparire realizzabile. Ma Israele dovrà presto accettare che il genio dell’apartheid è fuori dalla bottiglia, e non può esservi rimesso dentro.
Una versione di questo articolo è apparsa sul National, Abu Dhabi.
Jonathan Cook ha vinto il Premio Speciale Martha Gellhorn per il Giornalismo. I suoi libri più recenti sono “Israel and the Clash of Civilisations: Iraq, Iran and the Plan to Remake the Middle East” (Pluto Press) e “Disappearing Palestine: Israel’s Experiments in Human Despair” (Zed Books). Il suo sito web è www.jonathan-cook.net.
Da ZNetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo
www.znetitaly.org
Originale: https://zcomm.org/znetarticle/israel-steps-up-dirty-tricks/
traduzione di Giuseppe Volpe
Traduzione © 2017 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0
Israele intensifica il gioco sporco
http://znetitaly.altervista.org/art/22051
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