Ennesimo caso di detenzione segreta: due europei rapiti dai servizi negli anni ’70 e rilasciati anni dopo. Israele viola basilari diritti a favore della “sicurezza”.
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Roma, 16 luglio 2013, Nena News – Il direttorato dell’intelligence militare israeliana (AMAN) ha avuto negli anni Settanta almeno un prigioniero la cui identità e il suo arresto non sono stati resi noti all’opinione pubblica. Questo è quanto ha dichiarato il capo dell’AMAN negli anni ’74-’79, Shlom Gazit, in un editoriale apparso in ebraico su Ha’aretz.
«Trentacinque anni fa, come capo dell’AMAN, ho approvato la detenzione di un prigioniero in totale isolamento – ha scritto Gazit – Avevo la coscienza pulita, conscio delle implicazioni politiche e relative alla sicurezza che ci sarebbero state se avessi rivelato il caso. I miei superiori condivisero il segreto e approvarono la mia decisione». «Per mia fortuna – conclude l’anziano generale – la vicenda si è conclusa da tempo senza che niente sia uscito fuori. Eppure, nonostante siano passate decine di anni, la pubblicazione del caso potrebbe procurare molti danni ancora oggi».
La storia inizia alla fine del primo mandato di Rabin come primo ministro. Alla Difesa c’è l’attuale presidente della Repubblica, Shimon Peres, agli Esteri Yigal Alon. Con l’approvazione del gabinetto Rabin,una coppia appartenente ad una organizzazione europea “terrorista”, che ha frequenti contatti con gruppi palestinesi in un Paese africano (il cui nome non viene precisato), viene rapita e portata in Israele. Lo scopo del rapimento è ottenere maggiori informazioni sul legame che c’è tra l’organizzazione europea e di palestinesi ed evitare che degli attentati possano verificarsi all’interno dello Stato ebraico.
Sulla vicenda cala la massima segretezza: Tel Aviv teme noie diplomatiche sia con lo Stato europeo (luogo di origine della coppia) sia con quello africano (luogo in cui sono stati arrestati e con cui Israele ha buone relazioni diplomatiche). I due, detenuti a Gedera, sarebbero stati rilasciati e rispediti al loro Paese solo dopo diversi anni con la promessa di non rivelare il caso.
Il “nuovo” Prigioniero X
Una storia inquietante e misteriosa che alcuni in Israele hanno letto come un precedente storico a quanto sarebbe successo trentacinque anni più tardi all’ebreo israeliano Ben Zyeger, il cui caso ha avuto notevole risonanza sui media locali lo scorso febbraio. Ma sebbene ci siano delle somiglianze (rapimento e detenzione in isolamento), le differenze sono notevoli: nel primo caso, infatti, i due sarebbero stati rilasciati, mentre Ben Zyeger “si è suicidato”.
Ma soprattutto nella vicenda evocata da Gazit la coppia detenuta era “nemica” di Tel Aviv: i due sarebbero stati “terroristi” internazionali laddove Ben Zyeger era un ebreo che aveva compiuto l’aliyah e che lavorava per il Mossad. Il giovane ebreo australiano, in seguito ad una imprecisata “grave infrazione”, veniva successivamente arrestato dall’intelligence israeliana nel febbraio 2010 e rinchiuso nella cella di massima sicurezza del carcere Ayalon a Ramleh. Il 15 Dicembre del 2010 entrava nel bagno della sua cella e, senza destare i sospetti di chi lo avrebbe dovuto controllare ogni istante grazie ad un sistema di telecamere moderno, si stringeva un lenzuolo bagnato al collo e si impiccava.
Un caso «unico», fu detto da un governo reticente, ma pare non essere così. Una “nuova” oscura vicenda è stata portata alla luce martedì dall’avvocato Avigdor Feldaman che aveva incontrato Ben Zygier il giorno prima che questi ponesse fine alla sua vita. Intervenendo alla radio israeliana 103 FM, Feldman ha dichiarato di essere «a conoscenza almeno di un altro prigioniero segreto» precisando che si trattava di un uomo dei servizi segreti della Difesa il cui lavoro aveva causato una grave violazione alla sicurezza dello Stato sionista. «Mantenere il segreto [sulla vicenda,ndr] contrariamente a quanto uno potrebbe ingenuamente pensare – ha affermato l’avvocato – non serve a proteggere la sicurezza nazionale, ma mira in realtà a difendere la reputazione di quell’organizzazione, a coprirne i misfatti che avvengono senza che vi sia alcun controllo da parte dell’opinione pubblica».
Immediate le reazioni dei parlamentari Ahmad Tibi (Lista Araba Unita) e Zahava Gal On (Meretz) alle sue dichiarazioni. A finire sul banco degli imputati è il ministro della Sicurezza Interna Aharonovich che, durante l’interrogazione parlamentare dello scorso febbraio sul caso Ben Zygier, aveva escluso categoricamente la presenza di altri prigionieri segreti nelle carceri israeliane. «Non sto chiedendo di scoprire le ragioni che hanno portato alla detenzione di questo prigioniero – ha detto la leader del partito della sinistra sionista – voglio soltanto discutere dell’onore della Knesset infangato».
Il primo esponente del governo a commentare la vicenda è stato mercoledì il ministro degli Esteri Liberman che ha parlato di «caso molto grave». «Voglio sottolineare – ha affermato il capo di Yisrael Beitenu – che lo Stato d’Israele rispetta la legge e tutti questi casi sono sotto stretta sorveglianza del sistema giudiziario e parlamentare. Lo Stato d’Israele salvaguarda tutti i diritti dei prigionieri in ottemperanza alla legge». Sulla difensiva il ministro della Sicurezza Interna Aharonovich che ha negato nuovamente la presenza di prigionieri «sconosciuti e scomparsi» e ha ribadito la piena osservanza delle leggi che riguardano il diritto dei prigionieri ad essere rappresentati e seguiti». Tuttavia ha poi ha tenuto a precisare che «c’è anche una grande preoccupazione per la sicurezza di Israele, una preoccupazione che porta a volte ad agire con molta segretezza».
Libertà del cittadino immolate sull’altare della patria
“Preoccupazione per la sicurezza di Israele” che conoscono bene itanti palestinesi “desaparecidos” le cui famiglie continuano a lottare per poterli riabbracciare o, nel peggiore delle ipotesi, dare loro una degna sepoltura. Tra questi c’è Yahya Skaf, uno dei 13 fedayyn che 35 anni fa, guidati da Dalal Al-Mughrabi, presero parte all’Operazione Kamal Awan. Su di lui decenni di silenzio interrotti solo da un documento della Croce Rossa Internazionale nel 2000 che confermava la sua detenzione nel carcere di Ashkelon. Né va dimenticata la sparizione del gazawi Mu’tazz Nawati che, uscito di casa per andare a lavorare in Israele nel 1982, non è mai più tornato.
E a questi nomi si dovrebbero poi aggiungere le migliaia di palestinesi che nel corso degli anni hanno subito l’illegale pratica degli arresti detentivi, a cui cioè è negata la libertà senza alcun capo di accusa, senza che vengano fornite prove dei loro crimini e sul cui destino per giorni spesso non se ne sa nulla. Ma come Ben Zygier anche il “nuovo” caso dovrebbe maggiormente preoccupare chi ha cuore lo stato della democrazia israeliana. Se, infatti, nel caso dei palestinesi e degli arabi i prigionieri sono “nemici”, qui chi è rapito e posto in isolamento è un ebreo bianco, «uno di noi». Ma nessuno ne sa niente e sembra esserne sconvolto: né la stampa locale a cui è anche impedito indagare per la “legge-bavaglio” che non permette di pubblicare informazioni che potrebbero «danneggiare la sicurezza dello Stato».
E ancora più indifferente è l’opinione pubblica locale preoccupata dalla crisi economica interna e dallo scenario internazionale incandescente. Agli osservatori esterni queste oscure detenzioni possono apparire irrilevanti rispetto a ciò che accade quotidianamente nei Territori Occupati Palestinesi, ai pericolosi bombardamenti israeliani in Siria e ai confini infuocati nel Sinai, nel Libano e nel Golan. Potrebbero essere sbrigativamente letti da tiepidi critici di Israele come casi isolati di sospensione momentanea dei diritti personali in uno Stato che comunque è e resterà l’unica democrazia nel Medio Oriente.
Tuttavia, contrariamente a questa semplicistica lettura della realtà,Ben Zygier e il “nuovo” prigioniero ripropongono con forza domande cui ogni Stato che si vanta di essere democratico dovrebbe dare risposta: quali sono i confini tra la “sicurezza dello Stato” e le libertà inalienabili del cittadino in Israele? Chi realmente dirige il Paese? Il governo eletto alle urne o i capi dell’intelligence di cui si conosce poco o nulla? Chi comanda chi? E siamo veramente così sicuri che nel carcere di massima sicurezza di Ayalon a Ramleh a suicidarsi sia stato solo Ben Zygier? Nena News
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