libico è oggi perduto in una agonia solitaria e sanguinosa. Le mobilitazioni popolari ancora
continuano in molti altri paesi della regione.
Israele è stato un’isola sperduta per far fronte ai regimi autoritari che governavano la maggior parte
del Nord Africa, Vicino e Medio Oriente. Eppure, contrariamente a quanto si voleva credere, non ci
sono persone che sono per loro natura allergiche alla democrazia. Domani, forse, nuove alleanze
germoglieranno da un terreno fertile alle aspirazioni di una maggiore libertà.
Tunisia, Egitto, Yemen, Bahrein, Libia … Il mondo arabo è in subbuglio. Due autocrazie sono già
cadute e altre potrebbero seguire. Di fronte a questa situazione in evoluzione, l’opinione pubblica
israeliana, come molti ebrei europei della diaspora, sembra paralizzata: teme il salto verso l’ignoto,
l’ascesa degli islamisti fanatici al potere.
A queste preoccupazioni, Jcall risponde parafrasando le parole di Giovanni Paolo II: “Non abbiate
paura! ”
I movimenti nel mondo arabo sono per lo più portatori di speranza. Coloro che hanno abbattuto
Ben Ali e Mubarak hanno combattuto per la libertà e la democrazia, non per minacciare Israele. I
nuovi poteri di transizione a Tunisi e Il Cairo sono soprattutto preoccupati del benessere dei loro
popoli e non di andare alla guerra.
Cittadini europei, ebrei, non possiamo che gioire di questo sviluppo nel mondo arabo che riacquista
fiducia in se stesso e vuole unirsi alla famiglia orgogliosa delle democrazie. Il rischio di
scivolamenti e deviazione esiste, ma il rischio peggiore è l’inazione. E’ il momento per Israele di
tendere la mano ai movimenti democratici che hanno scosso il mondo arabo per cercare con loro le
vie della pace.
Lo sconvolgimento di importanza geostrategica vissuto da Israele nei mesi scorsi, prima con il
raffreddamento delle sue relazioni con la Turchia, poi la caduta del Rais egiziano, condurrà ad una
ridefinizione dei rapporti diplomatici esistenti.
L’arrivo, in tutto il mondo arabo, di movimenti popolari che chiedono più libertà e la democrazia
deve essere visto come un fattore di grande speranza che, forse, consentirà la normalizzazione dei
rapporti tra Israele e i suoi vicini.
Certo, ammirare ingenuamente queste rivoluzioni in corso, sarebbe una trappola in cui non
dobbiamo cadere. Tuttavia, questa etica della prudenza resa necessaria dalla grandiosità degli
eventi, non dovrebbe scadere in una sorta di freddezza verso il coraggio di questi meravigliosi
uomini e donne che cambiano il corso del loro destino.
Come ricordato da Bernard-Henri Levy nel suo taccuino il 15 febbraio , è chiaro che la rivolta di
Egitto, per esempio, è avvenuta ” senza che sia stata bruciata una sola bandiera israeliana o che
siano emersi gli slogan triti e ritriti sulla origine “sionista” di tutte le piaghe d’Egitto “. Il Consiglio
Supremo delle Forze Armate egiziane ha detto che l’Egitto si è impegnato a “attuare tutti i trattati e
le alleanze internazionali di cui fa parte”, compresi gli accordi di pace con Israele.
Nel corso del tempo, emergeranno volti nuovi, nominati dai governi democraticamente
eletti. Anche se il processo non si avvererà molto prima che i regimi nati da queste rivoluzioni si
siano stabilizzati, è il momento per Israele di riprendere in mano il suo destino e l’iniziativa di
dialogo con i suoi vicini. La condivisione della democrazia è la migliore garanzia di pace duratura
tra Israele e il mondo arabo.
In questo contesto, perfino con passione, il nostro “appello alla ragione” lanciato il 3 maggio 2010
è più pertinente che mai.
Per questo motivo l’iniziativa Jcall deve continuare a far sentire la sua voce.
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