Monday, 13 February 2012 11:53 Elena Viola (Alternative Information Center)
Un bambino ebreo di origine etiope in un centro di integrazione in Israele (Foto: flickr/Vadim Lavrusik)
Il razzismo è in crescita in Israele e a pagarne il prezzo sono anche gli ebrei etiopi: cittadini di fatto ma spesso discriminati per una questione di pelle.
Circa 1500 israeliani di origine etiope hanno dimostrato recentemente contro razzismo e discriminazione all’esterno della sede del Parlamento a Gerusalemme. La protesta ha preso piede in seguito a una serie di simili episodi accaduti a Kiryat Malachi, centro con una larga minoranza etiope, dove proprietari di case israeliani si sono rifiutati ripetutamente di affittare abitazioni agli ebrei etiopi.
“Gli israeliani non vogliono avere etiopi attorno – dice Shoko, una donna israeliana che lavora come assistente sociale per alcune giovani comunità etiopi a Haifa – Le scuse che adottano per non affittare appartamenti agli etiopi è che sono rumorosi e mangiano l’injera, che è un pane dall’odore intenso che penetra con facilità gli spazi circostanti. In realtà agli israeliani non piacciono gli etiopi per via della pelle scura”. Chava Weiss, ricercatrice di fondi per l’Associazione Israeliana a favore degli Ebrei Etiopi (IAEJ), afferma che “si tratta di un caso di puro e sfortunato razzismo e di insoluti luoghi comuni”.
Sono approssimativamente 130mila gli ebrei etiopi residenti in Israele. Cittadini di diritto, sono giunti in Israele durante due missioni militari israeliani segrete, avvenute nel 1984 e 1991, aventi come unico scopo quello di mantenere la maggioranza ebraica all’interno dello Stato.
“Ma nonostante la gran maggioranza degli etiopi in Israele sia ebrea, vi sono rabbini e normali cittadini che mettono in discussione la loro ‘ebraicità’. Fanno leva sul fatto che gli etiopi hanno radici religiose differenti da quelle delle popolazioni ebraiche dell’Est Europa – spiega Muju, un etiope che vive a Gerusalemme – Capita anche che alcuni israeliani ci accusino di esserci inventati il nostro credo solo per entrare a far parte di Israele”.
Molti etiopi che sono immigrati in Israele provengono da piccoli e svantaggiati villaggi e non sono pronti per la frenetica realtà che devono affrontare. A tal proposito, quando la prima ondata di immigrazione etiope giunse in Israele negli anni ’80, l’Agenzia Ebraica si fece personalmente responsabile per l’assorbimento di questi individui e dichiarò nero su bianco che il processo di integrazione sarebbe durato cinque anni.
In realtà, dice Shoko, “i nuovi arrivati possono stare al centro di assorbimento – dove imparano l’ebraico, il Giudaismo mainstream e alcune ‘dritte’ per cavarsela nel mondo moderno – per un massimo di due anni ma poi sono lasciati completamente a loro stessi”. Aggiunge poi che molti tra loro fanno serie difficoltà ad integrarsi.
La discriminazione nei confronti della comunità etiope si riverbera in ogni ambito della loro vita: dall’allocazione di una casa, all’educazione, alla ricerca di lavoro. Come dice la IAEJ, “il loro standard di vita continua a peggiorare rispetto alla media della popolazione totale e rischiano di essere bollati per sempre come cittadini di serie B all’interno della società israeliana”.
Molti uomini etiopi fanno difficoltà a trovare un posto di lavoro – in parte per il loro essere visibilmente africani – e per questo motivo passano molto tempo a casa. Alcuni tra loro si abbandonano allo smisurato uso di alcool. Le donne hanno qualche opportunità in più di entrare nel mercato del lavoro – specialmente come donne delle pulizie – e, se effettivamente trovano un impiego, diventano finanziariamente più influenti dei loro uomini causando un ribaltamento dell’ordine patriarcale tradizionale etiope e molti problemi all’interno dell’armonia familiare. I figli, inoltre, sono spesso irrispettosi nei confronti di padri che considerano inutili e ribelli verso le loro origini etiopi.
Come dice un giovane ragazzo etiope che chiede di non essere nominato, “molti miei amici fanno di tutto per cancellare la loro reale identità. Assomigliano sempre più a 2Pac (rapper afro-americano) o adottano la parlata e la mimica tipiche della cultura marocchina o irachena”.
Sebbene in passato l’Agenzia Ebraica si fosse opposta fortemente alla creazione di ‘ghetti etiopi’, centri come Revohot, Beer Sheva, Kiryat Malachi e Haifa hanno dei quartieri per ‘soli etiopi’.
Ci sono diversi programmi che mirano all’integrazione della comunità etiope nella società israeliana ma nemmeno uno per promuovere la cultura etiope tra gli israeliani. “Se ne fregano delle tradizioni etiopi,” dice Shoko. “Credono ancora in quello che Ben Gurion ha affermato anni fa, cioè “liberati della tua cultura una volta entrato in terra israeliana e impegnati a costruirne una nuova e comunitaria.”
Gli scorsi dieci anni hanno visto dei modesti miglioramenti nelle condizioni di vita della popolazione ebrea etiope. Il numero di coloro che hanno trovato lavoro tra gli adulti, ed ha cominciato l’educazione superiore tra i giovani, è aumentato lievemente – sebbene sia ancora ben al di sotto della soglia israeliana.
Inoltre, c’è una crescente presa di coscienza nei confronti della difficile realtà vissuta quotidianamente dalla comunità etiope. I media internazionali hanno cominciato a trattare gli etiopi “come una minoranza alle prese con seri problemi di discriminazione,” dice Shoko, “e non più come un gruppo di teneri africani.”
Da tenere ancor più presente, dice Weiss, è il fatto che, “gli etiopi hanno smesso di nascondersi e stanno venendo fuori pian piano per protestare in prima persona contro l’ingiustizia che li vede quotidiani protagonisti.”
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