admin | May 23rd, 2011 – 10:15 am
Ho sbirciato quello che Barack Obama ha detto ieri, quando si è rivolto all’AIPAC, la sua necessità di spiegare meglio quello che intendeva quando aveva parlato dei confini del 1967, e poi tutto il coté di affermazioni, prima e durante l’incontro con la più importante organizzazione della destra ebraica americana, sul fatto che con Hamas non si può fare la pace, e persino che l’accordo tra Hamas e Fatah è un ostacolo, a un processo di pace che – a dire il vero – ha perso la strada.
Ho sbirciato, e ho immediatamente deciso che era meglio occuparsi d’altro. Della Storia che va avanti, da queste parti, oltre i discorsi, le riconsiderazioni, le strategie a tavolino che sanno di vecchio, di molto vecchio.
Allora, facciamo un giro tra le cose che qua e là succedono, quelle che riguardano il mondo arabo. Cominciamo dal Marocco? Eh sì, dobbiamo cominciare dal Marocco, dal paese meno considerato in questa incredibile primavera araba. Eppure, i ragazzi marocchini hanno cominciato a manifestare il 20 febbraio. Anzi, si definiscono quelli del Movimento del 20 febbraio. Ieri sono scesi di nuovo in piazza, a Casablanca, a Tangeri, a Fez, ad Agadir, nella capitale Rabat volevano addirittura restare lì, di fronte al parlamento, sulla falsariga della grande esperienza di Tahrir e della nuova (e vicinissima) esperienza di Puerta del Sol.
Reazione della polizia marocchina: la stessa usata dalle polizie dei regimi arabi, bastonate sulla testa e sul corpo, decine di feriti. E un Movimento che, però, non si ferma per i bastoni. Per saperne di più, (r)umori del Mediterraneo di Jacopo Ganci continua a fare un ottimo lavoro, spiegando i dettagli di una rivolta invisibile e dando un volto a chi la sta facendo.
Torno per un momento più a est, alla Palestina e ai palestinesi. Intanto, perché ha finalmente un volto l’uomo che ha dato i Palestine Papers ad Al Jazeera, e le motivazioni di Ziyad Clot sono sul solco di quello che sta succedendo nel Secondo Risveglio Arabo, di cui Clot fa parte, mi sembra, a pieno titolo:
I feel reassured that the people of Palestine overwhelmingly realise that the reconciliation between all their constituents must be the first step towards national liberation. The Palestinians from the West Bank and the Gaza Strip, the Palestinians in Israel and the Palestinians living in exile have a future in common. The path to Palestinian self-determination will require the participation of all, in a renewed political platform.
Nel frattempo, mentre in America si usa il vecchio vocabolario, a Mosca si incontrano in terreno neutro Fatah e Hamas, per superare le distanze e costruire un governo. Non è un caso, mentre la Turchia fa capire che è all’interno di questa storia, e che non c’è niente che è come prima: la Turchia può far parte del gruppo di paesi che sorveglia la riconciliazione perché l’Egitto – dice Azzam el Ahmed, il capo negoziatore di Fatah – è il nuovo Egitto, e dunque non si fanno più concorrenza, non si elidono a vicenda. Non è poco.
Ah, segnatevi anche un’altra data, in questo meraviglioso calendario arabo del 2011 fatto di giorni, di date, di tag, di appuntamenti, di flash mob e di creatività. Il 17 giugno in Arabia Saudita. Difficile, certo, che sia voi sia io riusciremo a esserci, ma i sauditi ci saranno. Uomini e donne. Siccome si sono arrabbiati per l’arresto di Manal, la donna che ha sfidato il divieto di guidare imposto alle donne, hanno deciso che ill 17 giugno sfideranno il divieto. Non solo le donne. Ma anche molti uomini che hanno già detto che guideranno la mmacchina indossando il niqab, il velo integrale imposto alle saudite da una casa reale, quella degli Ibn Saud, con cui facciamo affari da tempo, da molto tempo. E sulla quale il centrodestra italiano, mentre grida al lupo, al lupo sull’islam a Milano, non dice nulla. Come mai?
La foto del graffito è presa da likepinkelephant, una blogger marocchina. Seguitela anche su twitter, e così seguirete un po’ anche il movimento #20Feb. E poi un giorno vi (ri)parlo dei graffiti arabi…
http://invisiblearabs.com/?p=3191
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