La fattoria della speranza storie di resistenza nonviolenta da una delle ultime colline non colonizzate.
È difficile trovare il villaggio palestinese di Nahalin, per chi non sappia dove andare. All’incrocio, il cartello indica solamente Neve Daniel, una delle colonie israeliane illegali che lo circondano. Superato il blocco stradale, prima di giungere al villaggio, sull’unica collina che è sopravvissuta alla voracità di cemento delle colonie, si trova la fattoria della famiglia Nassar. All’ingresso una stele ci colpisce per quanto v’è scritto: “We refuse to be enemies”, “rifiutiamo di essere nemici”. Nonostante quanto subito da lui e dal suo popolo, Daoud ha scelto il motto “rifiutiamo di essere nemici”…ha scelto un altro modello di resistenza. La violenza, che ha dominato la scena finora, non ha condotto a nulla, perciò Daoud sceglie di tentare un’altra strada. Solo la conoscenza reciproca, il vedere l’umanità nell’altro, nelle sue parole, potrà portare pace in questa terra. Finché i palestinesi saranno visti dagli israeliani solo come fanatici terroristi, e finché gli unici israeliani che i palestinesi vedranno saranno soldati o coloni fanatici, che speranze possono esservi? Daoud dice che in questa terra c’è posto per tutti, basta saperla amare. E lui la ama questa terra, la coltiva, non la cementifica come le colonie. Non si può amare la terra se non la si tocca, se non si sente il suo profumo sulle mani. Anche questa è resistenza, e non possiamo chiamarla passiva, perché Daoud e la sua famiglia sono molto attivi in quello che fanno. Nasce così “tent of nations”, la tenda delle nazioni che vengono qui per conoscere la realtà e portare da qui un messaggio di pace nel mondo.
Hebron, 22 agosto 2009
Quest'opera viene distribuita con Licenza Creative Commons. Attribuzione - Non commerciale - Condividi allo stesso modo 3.0 Italia.