01 mar 2014
Invece di promuovere l’uguaglianza e una cittadinanza che non si basa sull’appartenenza razziale, in Israele i Parlamentari di destra hanno adottato una legge coloniale per indebolire la comunità non ebraica, una ‘ minaccia ‘ per l’ordine etnico del Paese.
di Amjad Iraqi *
Roma, 1 marzo 2014, Nena News – Tel Aviv, 1 marzo 2014, Nena News – La Knesset questa settimana ha promulgato una nuova legge che distingue legalmente in Israele i cittadini cristiani da quelli musulmani in materia di opportunità di lavoro . Anche se la norma non avrà un impatto significativo in sé, ci si aspetta l’introduzione di ulteriori disegni di legge volti a enfatizzare questa distinzione. Il membro della Knesset dietro il disegno di legge , Yariv Levin ( Likud – Beiteinu ), ritiene che tali misure di promozione della divisione dei cittadini palestinesi di Israele consentiranno allo Stato di utilizzare la comunità cristiana come “contrappeso ai musulmani che vogliono distruggere il paese dall’interno”.
Il processo che sta dietro la promulgazione della legge caratterizza la natura assurda e antidemocratica del trattamento da parte del governo israeliano dei suoi cittadini palestinesi. La legge , scritta e approvata unicamente dai partiti della destra ebraica, si basa sulla convinzione fantastica del parlamentare Levin che il cristianesimo, un’identità religiosa, non abbia alcuna compatibilità con l’essere arabo, un’identità etnico-culturale . Inoltre, pur essendo un problema che li riguarda direttamente , la legislazione ha continuato a essere disegnata senza il consenso dei leader palestinesi, degli intellettuali o dell’opinione pubblica – gran parte della quale è cristiana – per capire se erano d’accordo con la sua bizzarra premessa.
La cosa che colpisce di più della legge, tuttavia, è come i suoi obiettivi siano palesemente coloniali. Essa mira a replicare una tattica classica applicata dai dominatori coloniali in Africa , Medio Oriente e in altre regioni per separare le popolazioni locali in base alla loro setta, etnia o altra identità . Queste differenziazioni sono state sfruttate per guadagnare alleati nativi, agitare le rivalità locali per obiettivi strategici o proiettare un’ideologia basata sulla razza dello Stato. La Gran Bretagna l’ha usata in Iraq, la Francia in Algeria, il Belgio in Ruanda, come ha fatto il regime dell’apartheid in Sud Africa, solo per citarne alcuni.
La storia dimostra che queste politiche marchiano le popolazioni colpite con i loro lasciti politici, sociali ed economici gravi. Ma mentre noi guardiamo indietro a questi programmi coloniali come fonte di molti dei conflitti odierni e di diseguaglianze sociali, Israele sembra essere appassionata al loro rilancio . A fronte di richieste palestinesi per l’uguaglianza e la responsabilità contro la discriminazione di Stato, il governo sta adottando misure sempre più severe per indebolire la “minaccia” delle comunità non ebraiche all’ordine etnico. Dopo una marea di restrizioni legislative sui diritti dei cittadini palestinesi, i Parlamentari di destra si sono ora mossi per creare classi settarie separate e rompere l’identità collettiva della minoranza palestinese.
Questa strategia del “divide et impera” dei cittadini palestinesi non è un fenomeno nuovo in Israele, ed è stata infatti una politica attiva dello Stato dal 1948 (leggi “Arabi buoni” di Hillel Cohen per un’introduzione). Ma questa è la prima volta che è stato avviato un tale sforzo concertato per trasformare questa politica in legge ufficiale. Con il crescente incitamento degli alti funzionari israeliani (vedi le recenti dichiarazioni del ministro dell’Economia, Naftali Bennett e del ministro degli Esteri Avigdor Lieberman), i cittadini arabi stanno affrontando un’ondata senza precedenti di attacchi non solo ai loro diritti di cittadini, ma contro il tessuto stesso della loro identità. Organizzazioni palestinesi hanno giustamente condannato “le motivazioni politiche coloniali” dietro la legge e avvertito che “prefigurano l’emanazione di normative più razziste”.
Il danno provocato da queste leggi settarie potrebbe aver meno a che fare con i loro effetti sui cittadini palestinesi, che le hanno respinte in blocco, ma più con il vanificare l’idea secondo cui la cittadinanza israeliana protegge i palestinesi dalla concezione di maggioranza ebraica. Invece di promuovere l’uguaglianza e una cittadinanza che non si basa sull’appartenenza razziale, lo Stato ha dimostrato che è pronto a sospendere tutti i principi e i processi democratici, al fine di mantenere la sua visione discriminatoria della società . E non è meno allarmante che estremisti politici ebraici possano avere l’arroganza, per non parlare del potere, di decidere l’identità dei non-ebrei nel paese e dividerli in categorie giuridiche distinte. La risposta a questa iniziativa pericolosa è quindi non solo chiedere l’immediata cancellazione di questa legge più recente, ma anche condannare la cultura politica israeliana che consente e incoraggia tale legislazione coloniale e razzista nell’interesse della difesa dello “Stato ebraico”. Le identità dovrebbero essere accolte sotto una visione multiculturale dello stato e della società, non dovrebbero essere fattori determinanti per stabilire fino a che punto una persona può avere propri diritti. Nena News.
Amjad Iraqi è un coordinatore internazionale di Adalah – Il Centro Legale per i diritti delle minoranze arabe in Israele. I pareri in questo articolo sono dell’autore e non rappresentano le opinioni di Adalah
* Questo articolo è stato pubblicato il 28 febbraio 2014 sulla rivista israeliana on line +972 al seguente link http://972mag.com/law-dividing-christians-muslims-is-a-classic-colonial-tactic/87800/
La traduzione è a cura della redazione di Nena News.
– See more at: http://nena-news.it/la-legge-che-divide-cristiani-e-musulmani-e-una-classica-tattica-coloni/#sthash.HrdQ50Gj.dpuf
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ARTICOLO ORIGINALE
http://972mag.com/law-dividing-christians-muslims-is-a-classic-colonial-tactic/87800/
Law dividing Christians, Muslims is a classic colonial tactic
Instead of promoting equality and the non-racialization of citizenship in Israel, right-wing MKs are adopting a classic colonial law to weaken the non-Jewish community’s ‘threat’ to the country’s ethnic order.
By Amjad Iraqi

The Palestinian village of Biram, Israel, December 29, 2012. Descendants of the original residents of the Palestinian village of Biram walk through an archway of what was once the destroyed village’s church. Today, the site has been declared as a national park. Residents of the village were forced out by the Israeli army in 1949 and have not been allowed to return since, despite a 1951 High Court decision upholding their right to do so. (Photo by Oren Ziv/Activestills.org)
The Knesset this week enacted a new law that legally distinguishes between Christian and Muslim citizens of Israel regarding employment opportunities. Though the law does not make a significant impact on its own, more bills are expected to be introduced that emphasize the same distinction. The Knesset member behind the bill, Yariv Levin (Likud-Beiteinu), believes that such measures promoting the division of Palestinian citizens of Israel will allow the state to use the Christian community as “a counterweight to the Muslims that want to destroy the country from within.”
The process behind the law’s enactment typifies the absurd and anti-democratic nature of the Israeli government’s treatment of its Palestinian citizens. The law, which was written and endorsed solely by right-wing Jewish parties, was based on MK Levin’s fanciful belief that Christianity, a religious identity, has no compatibility with being Arab, an ethnic-cultural identity. Moreover, despite being an issue that directly affects them, the legislation was allowed to continue without the consent of Palestinian leaders, thinkers or the public – many of whom are Christian – to see if they even agreed to its bizarre premise.
The most striking thing about the law, however, is how blatantly colonial its aims are. It replicates a classic tactic applied by colonial rulers in Africa, the Middle East and other regions to separate local populations based on their sect, ethnicity or other identities. These differentiations were exploited to gain native allies, stir local rivalries for strategic goals, or project the state’s race-based ideology. Britain used it in Iraq, France in Algeria, Belgium in Rwanda, as did the apartheid regime in South Africa, to name a mere few.
History shows that these policies stain the affected populations with their severe political, social and economic legacies. But while we look back at these colonial agendas as a source of many of today’s conflicts and social inequalities, Israel appears to be keen on reviving them. In the face of Palestinian demands for equality and accountability for state discrimination, the government is adopting harsher measures to weaken the non-Jewish community’s “threat” to the ethnic order. Following a flood of legislative restrictions on the rights of Palestinian citizens, right-wing MKs have now moved to create separate sectarian classes to break the collective identity of the Palestinian minority.
This strategy to “divide and conquer” Palestinian citizens is not a new phenomenon in Israel, and has in fact been an active policy of the state since 1948 (read Hillel Cohen’s Good Arabs for an introduction). But this is the first time that such a concerted effort has been launched to consolidate this policy into official law. With growing incitement from high-level Israeli officials (see Foreign Minister Avigdor Lieberman’s and Economy Minister Naftali Bennett’s recent statements), Arab citizens are facing an unprecedented wave of attacks against not only their rights as citizens, but against the very fabric of their identity. Palestinian organizations have correctly condemned the “political, colonial motives” behind the law and warned that they “foreshadow the enactment of more racist bills and policies.”
It may turn out that the damage of these sectarian laws will have less to do with their effects on Palestinian citizens, who have overwhelmingly rejected them, and more to do with crippling the idea that Israeli citizenship protects Palestinians from Jewish majoritarianism. Instead of promoting equality and the non-racialization of citizenship, the state has proven that it is willing to suspend all democratic principles and processes in order to maintain its discriminatory vision for society. It is no less alarming that extremist Jewish politicians can have the arrogance, let alone the power, to decide the identity of non-Jews in the country and split them into separate legal classes. The response to this dangerous initiative is therefore not only in calling for the immediate cancellation of this most recent law, but also in condemning the Israeli political culture that enables and encourages such colonial and racist legislation in the interest of defending the “Jewish state.” Identities should be embraced under a multicultural vision of state and society; they should not be factors determining to what extent a person can have their rights.
Amjad Iraqi is an International Advocacy Coordinator at Adalah – The Legal Center for Arab Minority Rights in Israel. The opinions in this article are the author’s own and do not represent the views of Adalah.
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