La lotta palestinese è viva: la sfida della famiglia Jadallah all’occupazione

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Tuesday, 06 September 2011 10:46 Emma Mancini e Ahmad Jaradat (Alternative Information Center)

Mentre il progetto di colonizzazione israeliano in Cisgiordania prosegue selvaggio, mangiando la terra dei residenti palestinesi, la resistenza popolare continua la sua lotta. Una lotta individuale e collettiva, da decenni il miglior strumento nelle mani del popolo palestinese per affrontare confische, demolizioni, vessazioni.

Un modello e un simbolo della lotta popolare palestinese è la famiglia Jadallah: residente in un villaggio a Ovest di Hebron, circondata da due colonie, è costretta da anni a subire la violenza del progetto colonizzatore israeliano in Cisgiordania. I coloni israeliani in Palestina proseguono l’occupazione di terre attraverso confische, demolizioni e aggressioni quotidiane, protetti dall’esercito israeliano. Ma all’interno di un simile processo, la Palestina è ricca di storie di resistenza popolare portate avanti da singoli individui, famiglie, villaggi, ancora capaci di dare nuova linfa e nuova speranza alla lotta popolare palestinese.

È il caso della famiglia Jadallah, una grande famiglia residente nel villaggio di Afqagees, vicino la città di Dora, ad Ovest di Hebron. La loro casa si è ritrovata tra il Muro di Separazione e due colonie: Naqahout, costruita nel 1982, e Bibi Naqahout, outpost illegale iniziato nel 2002. Oggi, l’abitazione è completamente circondata dai coloni che, nel tempo, hanno confiscato le terre appartenenti alla famiglia al fine di espandere i propri insediamenti.

Le autorità israeliane hanno isolato la casa attraverso la confisca prima di 150 dunam di terra destinati alle colonie e poi altri 30 dunam per la costruzione del Muro. Nel corso degli anni, la famiglia Jadallah si è ritrovata totalmente isolata e chiusa verso l’esterno: la sola strada che conduce alla loro abitazione è stata chiusa dall’esercito israeliano nel 2010, che ha così costretto i Jadallah a cercare una via alternativa per uscire e lavorare la propria terra. Dopo dieci anni, nel 2010, un tribunale israeliano ha emesso una sentenza a favore della famiglia palestinese: la chiusura della strada è illegale, l’esercito israeliano è stato costretto a riaprirla.

Ma le minacce alla vita quotidiana della famiglia Jadallah non sono affatto scomparse. Più di 40 persone vivono nella stessa casa, senza alcuna possibilità di ingrandire gli spazi a disposizione: mentre i figli e le figlie si sposavano, ai Jadallah veniva vietato di costruire un nuovo edificio per accogliere le nuove famiglie o di allargare l’abitazione originaria. Fin dagli anni Ottanta, l’Amministrazione Civile Israeliana non ha accordato loro il permesso alla costruzione, mentre le colonie si espandevano selvaggiamente. Così la famiglia, senza altra alternativa, ha deciso nel 2003 di sfidare il potere occupante e costruire una nuova casa, 90 metri quadri. Immediatamente, le autorità israeliane hanno reagito inviando loro l’ordine di demolizione. Nonostante la famiglia palestinese abbia tentato di fermare la distruzione facendo ricorso presso un tribunale israeliano, l’esercito ha demolito l’edificio pochi mesi dopo.

Così, l’intera famiglia è costretta a vivere in uno spazio affollato e piccolo, troppo piccolo per ospitare oltre 40 persone. La loro vita è miserabile. “I miei figli si sono sposati – ha raccontato la nonna, Ghozlan Jadallah, 75 anni, all’Alternative Information Center – e vivono con me. Mio figlio Youssef e la sua famiglia sono costretti a stare in due stanze. Non abbiamo il permesso di costruire, ma allo stesso tempo non vogliamo lasciare la nostra terra”.

“Vivo con mio marito Taha e i nostri tre bambini in una sola stanza”, ha detto all’AIC Om Waleed, nuora della famiglia Jadallah. Ma, nonostante simili vessazioni, la famiglia è ancora lì. Ogni giorno assistono all’espansione delle colonie, ma non rinunciano a sfidare l’occupazione israeliana. Un’occupazione che danneggia anche le loro risorse economiche. I coloni attaccano frequentemente la famiglia mentre lavora le terre non ancora confiscate: picchiano i contadini e gli impediscono di raggiungere gli appezzamenti di terra, al fine di costringerli ad andarsene.

Dal’altra parte, l’esercito israeliano procede alla confisca: se necessitano di più spazio per l’espansione delle due colonie o per la costruzione di infrastrutture, nuove strade o sistemi idrici, spostano di qualche metro la rete all’interno delle terre dei Jadallah, mangiando altri preziosi dunam. L’obiettivo israeliano è obbligare la famiglia a lasciare spontaneamente la casa, un altro esempio della nota politica del “quiet transfer”: rendere la vita dei palestinesi impossibile così da spingerli ad abbandonare la propria terra.

La vita della famiglia Jadallah è un esempio delle umiliazioni e le vessazioni che il popolo palestinese affronta ogni giorno in Cisgiordania. Le colonie stanno aumentando, come un cancro, e i residenti originari sono costretti a vivere in spazi limitati, incapaci di sostenere le proprie famiglie perché gli israeliani non permettono loro di lavorare la terra.

Ma, dall’altro lato, la vita della famiglia Jadallah è anche esempio della resistenza popolare in Palestina, un esempio della forza della lotta palestinese nei villaggi e nelle città. Prima di morire, il nonno Haj Badiui Jadallah ha chiesto: “Seppellitemi nella terra che gli israeliani vogliono confiscare”. Nel 2010, alla sua morte, il resto della famiglia ha rispettato le sue volontà, seppellendolo proprio in quell’appezzamento, dimostrando ancora una volta il tipo di legame tra un contadino palestinese e la sua terra: è amore, è rispetto, è devozione. Un contadino palestinese non accetterà mai di andarsene, non deciderà mai di lasciare e abbandonare la sua terra.

Nonostante isolamento forzato, confische, demolizioni, vessazioni da parte dell’esercito e aggressioni da parte dei coloni, la lotta palestinese è ancora viva e rappresenta la sfida contro la selvaggia occupazione israeliana.

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