L’onda delle piazze arabe, per rapido contagio, dalla Siria e dalla Giordania ormai lambisce e inquieta terribilmente il bastione arrogante di Israele -”baluardo dell’occidente”- abituato da decenni a quella super protezione mondiale che lo garantisce nel commettere impunito ogni crimine. Allarme rosso per un esercito di occupazione normalmente “impegnato” nella repressione ai check-point, poco propenso ad “impegnarsi” in un altro massacro tipo Piombo fuso, ma tremante come una foglia nel veder avvicinarsi le rivoluzioni arabe e che per questo ha schierato ovunque batterie antimissile di tecnologia super avanzata mai viste prima d’ora. E’ la paura del ministro della difesa Barak, che senza alcun pudore ha minacciato azioni criminali senza limite guardando in faccia un ammutolito capo del pentagono Robert Gate, subito dopo l’attentato di Gerusalemme: “Sappiate che Israele non tollera più gli attacchi e non permetterà al terrorismo di risorgere. Intendiamo usare, nella misura che riterremo più opportuna, il nostro diritto di difenderci e di rispondere. Sappiate in anticipo che decideremo solo noi come e quando farlo e con quale potenza di fuoco”.
Anche se la Siria non è certo alleata di Israele, un vuoto di potere anche a Damasco fa paura a chi in realtà sa bene di avere la coscienza sporca e di non poter farla franca in eterno sulle sue violazioni e sui suoi crimini. La lunga storia di soprusi negati che Israele vorrebbe fosse stata dimenticata, testimonia di uno stato occupante che, in preda alla paura per non riuscire a fermare un popolo nella sua resistenza, aumenta la repressione e non sa più cosa inventare: per anni abbiamo assistito a città occupate e poi chiuse col chiavistello di centinaia di check-point e poi stremate da coprifuoco e assedi e poi ancora murate vive e, visto che non cedevano, sempre più umiliate da una colonizzazione mai vista prima. Il patriarca Sabbah diceva:
“Chi aggredisce non viene fermato e non si ferma. Una nazione potentissima non è ancora riuscita a sottomettere un popolo debole, senza aviazione né bomba atomica. Non riesce a schiacciare definitivamente il popolo dei ragazzini che tirano le pietre che rifiutano l’occupazione. Non sanno più cosa fare e sono arrivati a compiere atti irragionevoli. Prendono tutte le misure possibili e a volte inimmaginabili per sottomettere questo popolo. E’ un prodotto illogico della loro paura e produce esattamente il contrario di quello che vorrebbero, cioè la sicurezza. In questi anni hanno ammazzato 6.000 palestinesi, ma ne restano tre milioni! Milioni che non si arrendono e continuano a gridare: vogliamo la nostra libertà!” (intervista nel reportage “Nè Muri né silenzi”, strumenti.campagna@gmail.com ).
Ecco allora che in preda a questa paura oggi Israele minaccia di intraprendere ancora azioni unilaterali imprevedibili se le Nazioni Unite si azzardassero a riconosce uno stato palestinese. Haaretz descrive nei dettagli l’ultima mossa, stavolta amplificata nei quindici membri del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Il Ministero degli affari esteri ha dato precise istruzioni a più di 30 ambasciate israeliane: se l’autorità palestinese persiste nei suoi sforzi per ottenere il riconoscimento in settembre di uno stato all’interno dei confini del 1967, risponderemo in coro con una serie di passi unilaterali. In questo modo il ministro vorrebbe far esplodere una ‘protesta diplomatica’ al più alto livello possibile, in risposta agli sforzi palestinesi appoggiati da un crescente numero di Paesi di tutto il mondo, per ottenere l’agognato riconoscimento durante la sessione dell’Assemblea generale dell’ONU del prossimo settembre. I palestinesi, forti di un aumentato sostegno europeo, avrebbero abbandonato il falso teatrino del processo di pace, per concentrarsi su questo possibile riconoscimento. Ma -prosegue Haaretz- “i diplomatici israeliani hanno sottolineato che anche se l’Assemblea generale concedesse questo riconoscimento, l’effetto imprevedibile sarebbe un aumento della violenza, perchè non è chiaro quali misure unilaterali Israele attiverebbe, come per esempio la definitiva annessione di tutti i maggiori insediamenti ad Israele”. D’altra parte le dichiarazioni ufficiali confermerebbero questa paura israeliana: Obama ha detto all’Assemblea generale dell’Onu che desidera vedere uno stato palestinese come membro delle Nazioni Unite entro un anno; il primo ministro palestinese Salam Fayyad, ha dichiarato che sta proseguendo la definizione delle istituzioni statuali entro settembre e il presidente palestinese Abbas ha detto che l’autorità palestinese non si impegnerà in ulteriori negoziati dopo settembre.
Ma nonostante tutto questo, non cambia il registro nei nostri TG, dove abbondano le immagini di sangue dell’attentato a Gerusalemme e si dimenticano le notizie, i nomi, i numeri e i volti dei quotidiani attacchi aerei su Gaza. Tutto secondo copione: subiamo il consueto stravolgimento della realtà da un Pagliara che, invece di ricordare che Gaza è sotto assedio ed embargo, ripete che “Gaza continua ad essere sotto la morsa di Hamas”. E non meritano di essere citati in TV i criminali attacchi ai civili, che invece l’amico Vittorio ogni giorno ci testimonia attraverso scarne stazioni di una improbabile Via Crucis per le strade di Gaza:
“16 marzo, ore 10.45, i caccia F16 israeliani hanno lanciato 2 missili mezz’ora fa nei pressi di Zaitoun. Per il momento si contano 2 morti e un ferito. Contemporaneamente, navi da guerra di Tel Aviv mitragliavano dei pescherecci palestinesi di poco al largo le coste di Gaza, davanti ai miei occhi. Tre ambulanze a sirene spiegate stanno soccorrendo alcuni pescatori feriti. (…)
20 marzo, Ieri sera a 5 chilometri da qui l’esercito israeliano ha fatto a pezzi 2 ragazzi, Imad Farajallah e Qasim Salah Iteiwa, di 17 anni. (…)
22 marzo. Ore 2:05. Gaza è sotto attacco terroristico israeliano: stanno bombardando a tappeto la Striscia. Per il momento si contano 17 feriti, fra i quali 7 bambini e 2 donne” (…)
23 marzo, ore 16:18. Carri armati israeliani hanno bombardato una casa ad Est di Gaza city: 3 morti e 10 feriti, fra questi, 4 bambini. Ore 15:15. Boati come di esplosioni sopra tutta Gaza city dovuti a caccia F16 che rompono il muro del suono a volo radente sugli edifici. Si definiscono sonic booms, si traducono in una parola sola: terrorismo. Ore 11:15. Un drone ha appena bombardato a Est di Al Nazzan street, Est di Shuajaiyeh.
24 marzo, Ore 9:45. Invasione di 3 carri armati a est di Gaza city. Hanno appena bombardato. Un ferito. Ho fatto i 300 metri di corsa più disperati della mia vita, sotto l’attacco di droni ed elicotteri apache. L’energia è stata tagliata su tutta Gaza city, e poco fa elicotteri apache hanno lanciato una decina di missili nei pressi del porto. Bombardamenti nell’area residenziale di Sheikh Ejleen. (…) 25 marzo. L’esercito israeliano ha di nuovo colpito una linea di distribuzione della elettricità. Circa 50 megawatts non possono essere distribuiti e i quartieri a est di Gaza city non ricevono più l’elettricità. Altri 12 megawatts non raggiungono più il nord della striscia. Questo si aggiunge al razionamento già in vigore da 3 anni. Ma oggi sono state colpite le centrali di Gaza city. Siamo avvolti dall’oscurità. Come dirvi il terrore fra la popolazione civile… Sembra di vivere la vigilia di un nuovo Piombo Fuso” (Vittorio Arrigoni www.facebook.com/pages/Vittorio-Arrigoni/290463280451 )
Non si attenua, quindi, la violenza dettata dalla paura. Dalle mosse diplomatiche fino alle quotidiane repressioni a cui siamo tristemente abituati. Fabrizia Falcione, dirigente dei progetti di Unifem, agenzia Onu per i diritti delle donne, ha per esempio affermato che -folle misura di un esercito folle- le donne palestinesi detenute incinte nelle prigioni israeliane, vengono fatte partorire con le manette ai polsi. “Si, è proprio così. Le detenute incinte vengono ammanettate durante il parto e lasciate così nel periodo successivo. C’è una assoluta assenza di cure e trattamenti, in particolare nel periodo di gravidanza. Una volta compiuti due anni, i bambini vengono allontanati dalle madri”.
Ma forse ancor più grave di questi crimini dimenticati è la voluta censura di una notizia purtroppo ormai dimenticata: quel veto americano alla Risoluzione dell’Onu che tentava di condannare la colonizzazione della Palestina, di cui abbiamo dato notizia solo qualche settimana fa, merita di essere commentato perchè rappresenta un’altra svolta tragicamente storica nel conflitto. Ci sembra infatti che Israele stia trascinando anche gli Stati Uniti nello stesso isolamento internazionale in cui si ostina a precipitarsi. La responsabilità è ancora di quella lobby ebraica americana che rappresenta un grave pericolo anche per il futuro di Israele. Il mondo intero è unanime nella condanna della colonizzazione e, assistendo all’incredibile veto degli Usa, mentre tutti votavano a favore di una Risoluzione di condanna, non può che isolare sempre di più gli Stati Uniti e con essi Israele. Obama è apparso totalmente succube della lobby ebraica, pur sapendo che non solo così si distrugge ogni parvenza di processo di pace, ma anche che si allontanano gli Stati Uniti da un mondo arabo in straordinario fermento di novità. L’imposizione del veto è certo frutto della potentissima influenza sul Congresso che paradossalmente sta allontanando Israele stesso dalla sua salvezza, che consisterà solo nel raggiungere la pace con i suoi vicini.
“L’unica cosa di cui aver paura è la paura”, diceva Franklin Delano Roosevelt.
BoccheScucite
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