La Siria: una partita a scacchi con molte parti

437

REDAZIONE 11 APRILE 2013

 immagine1

di Conn Hallinan

4 aprile 2013

 

Per certi versi la guerra civile siriana somiglia a una partita a scacchi   tra i sostenitori del regime di Bashara al-Assad – Iran, Iraq, Russia e Cina – e i suoi oppositori – la Turchia, le monarchie del petrolio, gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e la Francia. L’attuale conflitto, però, somiglia agli scacchi soltanto se il gioco si svolge tra una molteplicità di parti, alleati che si pugnalano alle spalle, e programmi contrastanti.

Prendiamo le recenti settimane di politica a fasi alterne.

Il successo è  stato il riavvicinamento costruito dagli Stati Uniti tra Israele e Turchia, due alleati di Washington che sono stati ai ferri corti da quando i commando di Israele hanno attaccato una flottiglia umanitaria diretta a Gaza e hanno ucciso 8 Turchi e un Turco-americano.  Quando Tel Aviv si è rifiutata di chiedere scusa per l’assalto del 2010, o di pagare un indennizzo alle famiglie degli uccisi, Ankara ha congelato i rapporti e ha bloccato i tentativi di qualsiasi collaborazione tra la NATO e Israele.

In seguito all’incitamento del presidente Obama, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha telefonato al suo omologo turco, Recep Tayyip Erdogan, eha sotterrato l’ascia di guerra. Le scuse “sono state offerte nel modo che volevamo,” ha detto Erdogan, e ha aggiunto: “Siamo all’inizio di un processo che eleverà la Turchia in una posizione tale che di nuovo avrà diritto di parola, di iniziativa e il potere, come li aveva in passato.”

La distensione allineerà entrambi i paesi con molti programmi di Washington nella zona, tra i quali il rovesciamento del governo di Assad, e l’isolamento dell’Iran. Grazie anche a una spinta turca a risolvere la guerra che cova da lungo tempo tra Ankara e la sua minoranza curda, è stata una “Settimana fantastica per Erdogan,”, ha osservato l’ex capo della politica dell’Unione Europea, Javier Solana.

E’ stato anche un momento di facile successo per gli Israeliani, la cui intransigenza riguardo all’incidente del 2010 e la continua occupazione di terre palestinesi e siriane aveva lasciato il paese più isolato in campo internazionale di quanto lo fosse stato nei suoi 65 anni di storia.

Le scuse di Israele potrebbero forse preparare il terreno a un intervento diretto in Siria da parte della NATO e di Israele. In una recente testimonianza resa davanti al Congresso, l’Ammiraglio James Stavridis, il capo del Comando statunitense in Europa, e comandante supremo delle forze NATO in Europa,  ha detto che un atteggiamento più aggressivo da parte dell’amministrazione Obama di fronte alla Siria “sarebbe di aiuto a interrompere lo stallo e ad abbattere il regime.”

Secondo il Guardian (Regno Unito), Netanyahu ha sollevato la possibilità di attacchi aerei congiunti di Stati Uniti e Israele contro la Siria, che Israele accusa di mandare armi al suo alleato Hezbollah in Libano. Non c’è nessuna prova che la Siria abbia realmente fatto una cosa del genere, e la logica suggerirebbe che è improbabile che il regime di Assad esporti armi quando combatte per la propria vita e lotta per superare un embargo di armi imposto loro dall’Unione Europea e dall’ONU. Tel Aviv è però ansioso di  una rivincita con Hezbollah, l’organizzazione che ha li ha combattuti fino al punto morto del  2006. “Quello che sento ripetutamente dai generali israeliani è che un’altra guerra con Hezbollah è inevitabile,” ha detto al Guardian un ex diplomatico statunitense.

Ci sono dei discorsi tra gli Israeliani sullo stabilire una “zona cuscinetto”  all’interno della Siria per impedire che i gruppi islamici diventino una presenza al confine. Un’analoga zona cuscinetto stabilita dopo l’invasione fatta da Israele in Libano nel1982, si è trasformata in disastro strategico per Tel Aviv.

L’ammiraglio Stavridis ha fatto capire che un atteggiamento più aggressivo quasi certamente non includerebbe l’uso delle truppe di terra statunitensi. Secondo un ex diplomatico indiano, M.K. Bhadrakumar, uno scenario più probabile sarebbe che la forza aerea  della NATO distruggesse la forza aerea e i veicoli blindati di Assad – come ha distrutto quella di Mummer Gheddafi in Libia – e se bisogna che  le forze di terra siano schierate in Siria in una certa fase, la Turchia può intraprendere quella missione, dato che è un paese musulmano che appartiene alla NATO.”

Le monarchie del Golfo, e specificamente l’Arabia Saudita, il Qatar, e la Giordania – hanno incrementato le spedizioni di armi agli insorti anti-Assad, e la Francia e la Gran Bretagna stanno considerando di interrompere l’embargo e di armare il Libero Esercito siriano. Se questo fosse un normale gioco con gli scacchi, sembrerebbe come uno   scaccomatto per Assad, Hezbollah e l’Iran. Questo gioco invece, è a tre dimensioni, con molteplici giocatori che talvolta perseguono obiettivi diversi.

Il Qatar e l’Arabia Saudita stanno riversando quella che un funzionario americano ha chiamato “una cataratta di armamenti” in Siria, ma il primo ha apparentemente tradire il secondo in una recente lotta per la leadership nella Coalizione Nazionale Siriana (Syrian National Coalition), l’organizzazione che fa da ombrella ai vari gruppi che combattono contro il governo di Damasco. Il Qatar ha  sviato il candidato dell’Arabia Saudita a primo ministro della CNS e ha piazzato  il suo uomo in quell’incarico, provocando le dimissioni del presidente dell’organizzazione, Ahmed Moaz al-Khatib. Mentre la maggior parte dei media occidentali hanno riferito che Khatib si è dimesso perché la CNS non otteneva sufficiente aiuto esterno, secondo As-Safir, il principale quotidiano libanese in lingua araba,  erano coinvolte le due grosse monarchie del petrolio che cercano di imporre i loro candidati ai siriani.

L’alleato del Qatar, Ghassan Hitto, un Siriano-Americano è stato consacrato primo Ministro, causando le dimissioni di una dozzina di membri della CNS. La mossa del Qatar è stata essenzialmente una dichiarazione che la monarchia del Golfo non avrebbe accettato niente altro che una vittoria militare completa.

Il Qatar è vicino alla Fratellanza Mususlama siriana, mentre l’Arabia Saudita favorisce i gruppi islamici più radicali, alcuni con stretti legami con al-Qaida,  che gli Stati Uniti e l’Unione Europea hanno definito “terroristi”. La tensione tra gli insorti estremisti e quelli più moderati è esplosa in un aperto scontro a fuoco  il 24 marzo nella città settentrionale di confine Tal Abyad. I Battaglioni laici Farouq che sono a favore delle elezioni e di un governo civile, sono stati attaccati dal Jabhat al-Nusra, o Fronte Nusra, che vuole imporre le legge della Sharia e stabilire un emirato islamico. Quattro persone sono state uccise e il capo dei Battaglioni Farou è stato gravemente ferito.

Il Fronte Nursa si è anche intrecciato con i gruppi curdi nel nord ovest della Siria, e le sue milizie attualmente controllano gran parte del confine merdionale con l’Iraq, la Giordania e le Alture del Golan che confinano con Israele. E’ stato il Fronte Nursa che di recente ha rapito i negoziatori di pace dell’ONU per vari giorni e che ha attaccato i soldati iracheni che scortavano membri dell’esercito siriano che erano fuggiti al di là del confine. Ci sono stati anche scontri tra le forze laiche e islamiche nelle città siriane di Shadadeh e Deir el Zour.

L’appoggio del governo turco all’insorgenza siriana non è approvata dalla maggior parte dei turchi e questo deve preoccupare Erdogan perché sta cercando di alterare la costituzione della Turchia per renderla più incentrata sull’esecutivo e per diventare lui il prossimo presidente. Sebbene stia attualmente cavalcando un’onda di popolarità per il cessate il fuoco con i Curdi, questo potrebbe consumarsi se la guerra in Siria si trascinasse.

E senza un intervento diretto della NATO e di Israele, non sembra ci sia in vista alcuna rapida conclusione della guerra civile. Assad ha ancora l’appoggio del suo gruppo di minoranza etnica, gli Alatiti, e anche di alcune denominazioni cristiane e molti gruppi del mondo degli affari. Tutti temono una presa di controllo islamica. “Se i ribelli arrivano in questa città,” ha detto a Der Spiegel un uomo di affari di Damasco, “ci mangeranno vivi.”

Più la guerra va avanti e più la regione di destabilizza.

Sono scoppiate dei combattimenti tra Sciiti e Sunniti nel Libano settentrionale, una campagna di bombardamenti alimentata da estremisti Sunniti sta estremizzano l’Iraq, e la Giordania è lacerata da un’opposizione interna  che costituisce una grave minaccia per la monarchia Hashemita. Perfino l’Arabia Saudita ha dei problemi. Come hanno scoperto la National Public Radio e il corrispondente Reese Erlich, ad alcuni di quegli oppositori del regime viene data la scelta tra la prigione e il combattere il governo di Assad, una strategia che il governo  saudita forse rimpiangerà. Sono stati i jihadisti mandati a opporsi ai Sovietici in Afghanistam che alla fine sono tornati a destabilizzare i  paesi in Medio Oriente, in Asia meridionale, e in Africa, e che attualmente formano la spina dorsale di gruppi associati con al-Qaida, come il Fronte Nusra.

Aaron Zelin, esperto di Medio Oriente e socio del Washington Institute, ha detto ad Erlich che i combattenti che arrivano dall’Arabia Saudita, dalla Libia, dalla Tunisia e dalla Giordania vengono incanalati verso la  in Siria.

Giocare a scacchi con più giocatori può diventare complicato.

La Turchia vuole un’influenza regionale e che Assad se ne vada, ma non vuole un vicino dominato dalle monarchie del Golfo. Può anche trovare che parlare di “potere” turco non è gradita  in Medio Oriente. I paesi arabi ne hanno avuto abbastanza di quello durante l’Impero Ottomano.

Le monarchie del Golfo vogliono rovesciare il regime laico di Assad, isolare il rivale regionale Iran, e assicurare la supremazia sunnita sugli Sciiti nella zona. Non si mettono però d’accordo su quale varietà di Islam vogliono, né sono per nulla interessati alla democrazia e alla libertà, che sono concetti che hanno fatto del loro meglio per sopprimere in patria.

I francesi e i britannici vogliono una replica della Libia, ma la Siria non è un paese marginale alla periferia del Medio Oriente, ma una nazione spaventosamente complessa nel cuore della regione che potrebbe spezzettarsi  in enclave etnico-religiose comandate da signori della guerra. Questo non è un risultato che va bene  per altre nazioni europee e  spiega la loro esitazione ad unirsi alla lotta santa contro Assad.

Perfino l’obiettivo israeliano di uscire  dal suo isolamento, di distruggere Hezbollah e di strangolare l’Iran, può sembrare un sogno irraggiungibile. Indipendentemente dalla schiarita tra Turchia e Israele, le barriere che tengono i palestinesi fuori da Israele, dividono anche Tel Aviv dal resto del Medio Oriente e questo non cambierà fino quando non ci sarà un governo israeliano disposto a eliminare la maggior parte degli insediamenti e a condividere Gerusalemme.

In quanto a Hezbollah, contrariamente al ritratto che se ne fa nei mezzi di informazione occidentali, cioè di burattino di  Tehran, il gruppo Sciita è un’organizzazione popolare che ha come base il più grosso gruppo etnico del Libano. Hezbollah sta anche attento a non fornire una scusa a Israele per attaccarlo. In qualsiasi caso, qualsiasi invasione israeliana del Libano, manifestano automaticamente sentimenti internazionali e l’opinione pubblica araba – Sciiti, Sunniti, Alauiti, ecc – contro di esso.

Se Assad cadesse, l’Iran perderebbe un alleato, ma l’amico più stretto di Tehran in Medio Oriente è Baghdad, non Damasco. E malgrado le forti obiezioni americane, Theran di recente ha fatto una mossa  importante a firmando un accordo con il governo del Pakistan per costruire un gasdotto di 7,5 miliardi di dollari per sfruttare  la zona ricca di gas di South Pars in Iran. Questo patto non soltanto produrrebbe un buco  nelle sanzioni occidentali contro l’Iran, ma andrebbe bene nelle elezioni pachistane dell’11 maggio. “Il governo pachistano vuole mostrare che è disponibile a prendere decisioni in politica estera che sfidino gli Stati Uniti,” dice Anthony Skinner della  ditta Maplecroft risk consultants con base in Gran Bretagna. “Il gasdotto non soltanto  provvede alle necessità di energia  del Pakistan, ma farebbe segnare anche punti di credito con i molti critici degli Stati Uniti che ci sono nell’elettorato.”

Alla fine il tentativo di eliminare la Siria dalla scacchiera potrebbe riuscire, anche se il conto del macellaio potrebbe essere notevolmente più alto che l’attuale conto dei corpi che ammonta a 70.000. Però instaurare in governo filo-occidentale a Damasco e infliggere danni all’Iran è per lo più un’illusione. Una “vittoria”, particolarmente una militare, è più probabile che finisca nel caos e nell’instabilità e in molti altri pezzi di scacchi morti.

Potete leggere Conn Hallinan su dispatchesfromtheedgeblog.wordpress.com

e si middleempireseries.com

 

 

Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: http://www.zcommunications.org/syria-a-multi-sided-chess-match-by-conn-hallinan-1

Originale: Dispatches From The Edge

Traduzione di Maria Chiara Starace

Traduzione © 2012  ZNET Italy – Licenza Creative Commons – CC BY – NC-SA 3.0

 

http://znetitaly.altervista.org/art/10390

Quest'opera viene distribuita con Licenza Creative Commons. Attribuzione - Non commerciale - Condividi allo stesso modo 3.0 Italia.

Lascia una risposta

Please enter your comment!
Please enter your name here

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.