La situazione volge a sfavore di Israele

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REDAZIONE 15 FEBBRAIO 2014

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di Jonathan Cook

14 febbraio 2014

Il primo ministro israeliano  Benjamin Nethanyahu si è sentito raramente così assediato dal punto di vista politico. Le sue pene indicano  l’incapacità del diritto di Israele di rispondere a un panorama politico che cambia, sia  nella regione che globalmente.

Il contesto dei suoi guai, è stato l’impegno preso nel 2009, in seguito alla grande pressione da parte del presidente di recente eletto, Barack Obama, di sostenere la creazione di uno stato palestinese. E’ stata una concessione che non aveva  mai voluto fare e di cui da allora si è sempre  rammaricato.

Il Segretario di stato americano John Kerry, ha sfruttato quell’impegno, imponendo gli attuali colloqui di pace. Ora Netanyahu affronta un imminente “accordo quadro” che potrebbe richiedergli di impegnarsi ulteriormente per un risultato che aborrisce.

Mahmoud Abbas, il capo dell’Autorità Palestinese, non sta aiutando. Invece di  rifiutarsi di cambiare ciò che pensa sia giusto,  offre  costanti accomodamenti. La settimana scorsa Abbas ha detto al New York Times che Israele poteva metterci tranquillamente cinque anni per ritirare  i suoi soldati e coloni da una zona chiave del territorio palestinese, cioè la Valle del Giordano. Lo staro palestinese rimarrebbe smilitarizzato, le truppe NATO potevano restare “per molto tempo e dovunque vogliano.”

La Lega Araba è un’altra spina.  Rinnovando la sua offerta del 2002, ha obbligato all’Iniziativa Araba di Pace, che promette a Israele relazioni pacifiche con il mondo arabo, in cambio del suo accordo  sulla richiesta che la Palestina diventi uno stato.

Nel frattempo l’Unione Europea sta delicatamente dando un giro di vite  all’occupazione. Strombazza regolarmente la condanna per le frenesie israeliane di costruzione di insediamenti, compreso l’annuncio dato la settimana scorsa di 558  abitazioni di coloni a Gerusalemme Est. E sullo sfondo si profilano le sanzioni sui beni dei coloni.

Le istituzioni finanziarie europee forniscono ora un utile barometro dell’umore tra i 28 stati membri dell’UE. Sono diventati gli inaspettati pionieri del movimento BDS (boicottaggio, disinvestimento e sanzioni), con un costante gocciolio di fondi di bancari e pensionistici che nelle settimane scorse gli hanno strappato  i loro investimenti.

Facendo notare che i boicottaggi e le campagne di “delegittimazione” stanno soltanto per prendere slancio, ha avvertito che la tradizionale politica di Israele è “insostenibile”.

Questo messaggio suona vero per molti capitani di industria  israeliani che usano la loro influenza per  il piano diplomatico degli Stati Uniti. Credono che  uno stato palestinese sia la chiave perché Israele  guadagni l’accesso ai redditizi mercati della regione e alla crescita continua dell’economia.

Netanyahu deve essere rimasto sconcertato dalla notizia che tra coloro che si incontravano con Kerry per esprimergli il loro appoggio, al Forum Economico Mondiale di Davos del mese scorso, ci fosse Shlomi Fogel, l’amico intimo di lunga data del primo ministro.

La pressione su questi vari fronti possono spiegare il fatto che Netanyahu la settimana scorsa abbia frettolosamente convocato i suoi ministri più importanti per elaborare una strategia per contrastare la “moda” del boicottaggio. Le proposte comprendono una campagna mediatica di 28 milioni di dollari, un’azione legale contro le istituzioni che boicottano, e l’intensificazione della sorveglianza delle attività del Mossad  all’estero.

Anche sulla scena domestica, Netanyahu – che è noto per quanto appezzi la sopravvivenza politica al di sopra di tutti gli altri interessi – sta passando un momento difficile. Lo stanno indebolendo a destra i suoi rivali della coalizione.

Naftali Bennett, il capo dei coloni, questo mese ha provocato una faida pubblica irritante con Netanyahu, accusandolo di aver perso la “bussola morale” durante i negoziati. Allo stesso tempo, Avigdor Lieberman, il ministro degli Esteri del partito di estrema destra, Yisrael Beiteinu, ha cambiato marcatamente tattica, avvicinandosi molto a Kerry, che ha chiamato “un vero amico di Israele”. La improbabile arte di governare di  Lieberman ha fatto sì che le liti di Netanyahu con gli Stati Uniti apparissero, secondo le parole di un analista locale, “infantili e irresponsabili.”

E’ alla luce di queste pressioni crescenti su Netanyahu, che si dovrebbe comprendere il suo comportamento sempre più imprevedibile e la crescente frattura con gli Stati Uniti.

Un dannoso disaccordo nel mese scorso, seguito a insulti lanciati dal ministro della Difesa contro Kerry, non si è placato. La settimana scorsa Netanyahu ha scatenato i suoi più stretti alleati del gabinetto dei ministri, per attaccare  di nuovo Kerry, mentre qualcuno definiva le dichiarazioni   del segretario di stato americano “ offensive e intollerabili”.

Susan Rice, la consigliera di Obama per la scurezza nazionale, ha scritto su Twitter il suo dispiacere con un avvertimento a smetterla. Gli attacchi del  governo di Israele sono stati “totalmente infondati e inaccettabili”, ha osservato. Qualsiasi  dubbio stesse esprimendo da parte del  presidente, è stato più tardi  dissipato, quando Obama ha lodato “la straordinaria passione e la diplomazia di Kerry basata su principi.”

Malgrado però i segnali apparenti, Netanyahu è meno solo di quanto sembri– e lungi dall’essere pronto ad arrivare a un compromesso.

Ha dietro di lui il grosso del pubblico israeliano, aiutato dai  magnati  dei media, come il suo amico Sheldon Adelson, che stanno alimentando   il loro stato d’animo nazionale di assediati e di vittime.

Ma soprattutto ha dalla sua parte un grosso settore della sicurezza di Israele e anche dell’establishment economico.

I coloni e i loro compagni di ideologia sono penetrati profondamente negli alti ranghi sia dell’esercito che dello Shin Bet, l’agenzia di intelligence per gli affari interni di Israele. Questo mese il quotidiano Haaretz ha rivelato la notizia inquietante che tre dei quattro capi del Sin Bet  aderiscono ora a questa ideologia estremista.

Inoltre, elementi potenti all’interno  dell’establishment della sicurezza, vengono investiti dal punto di vista finanziario e ideologico nell’occupazione. In anni recenti il bilancio della difesa è schizzato a livelli record dato che un intero settore di militari importanti sfrutta l’occupazione per giustificare il fatto di usare i loro incarichi per fare soldi  con i salari e le pensioni  enormemente gonfiati.

Ci sono anche vasti profitti dagli affari allo stato attuale dall’hi-tech alle industrie che arraffano risorse. Indicazioni su quello che c’è in ballo sono state spiegate di recente con  l’annuncio che i palestinesi dovranno comprare da Israele ad  alto costo due risorse naturali  essenziali – il gas e l’acqua – che dovrebbero avere in grande abbondanza, se non fosse per l’occupazione.

Avendo alle spalle questi gruppi di interesse, un Netanyahu sprezzante questa volta può probabilmente prepararsi a fronteggiare l’attacco diplomatico degli Stati Uniti. Kerry però non ha torto ad avvertire che nel lungo termine ancora un’altra vittoria per l’intransigenza di Israele si dimostrerà una vittoria di Pirro.

Forse questi negoziati non porteranno a un accordo, ma tuttavia segneranno un punto di svolta storico. La delegittimazione di Israele è davvero in corso, e la parte che sta facendo la maggior parte del danno è la stessa leadership di Israele.

Jonathan Cook ha vinto il premio speciale per il giornalismo,  Martha Gellhorn. I suoi libri più recenti sono: “Israel and the Clash of Civilisations: Iraq, Iran and the Plan to Remake the Middle East” (Pluto Press) [ Israele e lo scontro di civiltà: Iran e il piano per rifare il Medio Oriente]. and “Disappearing Palestine: Israel’s Experiments in Human Despair” (Zed Books) [La Palestina che sparisce: gli esperimenti di Israele di disperazione umana].Il suo sito web è: www.jonathan-cook.net.

Una versione di questo articolo è apparsa per la prima volta su The National, ad Abu Dhabi.

Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte:http://www.zcommunications.org/the-tide-turns-against-israel-by-jonathan-cook

Originale : non indicato

Traduzione di Maria Chiara Starace

Traduzione © 2014 ZNET Italy – Licenza Creative Commons  CC BY NC-SA 3.0

 

La situazione volge a sfavore di Israele

http://znetitaly.altervista.org/art/14253

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