La storia del nemico: parole e sguardi per un incontro possibile

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Nel piccolo villaggio di Al Mufaqarah, in Cisgiordania, nei territori palestinesi occupati militarmente da Israele, sono risuonate storie che attraversano profondissimi dolori personali e arrivano a raggiungere il dolore dell’altro.

E’ stato un workshop sul dialogo e la nonviolenza quelle che ha accolto il 12 ottobre Giovanni Ricci, figlio dell’appuntato Domenico, ucciso insieme ad altri quattro colleghi, dalle Brigate Rosse durante il sequestro di Aldo Moro in Via Fani, e Franco Bonisoli, un passato nelle Brigate Rosse con un ruolo direttivo.

Qui in Palestina, l’incontro tra le loro storie e persone. Da una parte la storia di una vita, quella di Giovanni, fossilizzata a 12 anni in una immagine: suo padre crivellato di proiettili in Via Fani. Quindi l’odio, covato per anni, verso gli assassini. Poi una scelta, quella di combattere quell’odio lacerante e spingersi più in là, protendersi con assoluto coraggio verso l’incontro e il confronto con chi aveva ucciso il padre.
Dall’altra parte il racconto di chi, come Franco, aveva scelto la lotta armata, gli attentati, i morti. Poi il carcere, il riconoscimento dell’errore storico umano e della sconfitta. Quindi la scelta nonviolenta come cambiamento positivo, come liberazione non solo dalla sbarre di un carcere ma anche dalle gabbie costruite dentro di sé. Ad ascoltare le loro storie donne e uomini, anziani e ragazzi, provenienti dai villaggi vicini, gli attivisti israeliani di Ta’ayush.
In cima ad una collina, tre camionette dell’esercito israeliano che pattugliano l’area e restano lì per tutto il tempo.
“La violenza fa delle vittime” dice un pastore. “Ci sono vittime vive e vittime morte. Voi siete vittime vive perché vi siete liberati dall’odio e
dal rancore”. Un altro: “Mio figlio, come molti ragazzi qua, ha passato del tempo in un carcere israeliano. È importante che conosca la vostra
storia”.
Emergono domande profonde sulle motivazioni di questa scelta di incontro e dialogo, sulla fede, sulla riconciliazione, sulla “giustizia riparativa”.
Il cammino da percorrere è ancora lungo, ma come ha detto Hafez, leader della lotta nonviolenta ad At Twani: “La nonviolenza è come un albero, che per crescere ha bisogno di acqua. Ognuno di noi cerca di dare il suo contributo. Abbiamo bisogno dell’acqua di ognuno: date da bere all’albero della nonviolenza!”

21 ottobre 2013, Giovanni Ramonda per Operazione Colomba

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