19 dic 2011
Rosa Parks (1955) e Tanja Rosenblit (2011)
Cinquantasei anni dopo, la storia è sempre la stessa. C’è una donna giovane. C’è un bus. C’è un tragitto da percorrere. Degli uomini accecati dal loro credo di vita. E un muro – mentale – da abbattere. Ieri l’Alabama. Oggi Israele. Ieri Rosa Parks. Oggi Tanja Rosenblit. Ieri la segregazione razziale. Oggi la segregazione sessuale. Corsi e ricorsi d’una storia – anzi: della Storia – che si ripete. Nonostante mezzo secolo di battaglie per i diritti civili. Nonostante la parità – almeno costituzionale – tra uomini e donne. Nonostante Internet.
E allora, veniamo a oggi. Anzi: a venerdì 16 dicembre 2011. Quando la 28enne israeliana Tanja Rosenblit decide di salire sul bus n. 451 della compagnia “Egged” ad Ashdod, direzione Gerusalemme. Quel pullman lei lo deve prendere perché una delle fermate dista a cinque minuti dal suo punto d’arrivo. Sul mezzo – tutto colorato di verde e con i sedili consumati dalle migliaia di persone che viaggiano ogni giorno – ecco, sul mezzo c’è un po’ di tutto: riservisti, soldati in libera uscita, pendolari di ritorno a casa prima del riposo settimanale. Eppoi ci sono anche loro, uomini ebrei ultraortodossi. Religiosi. Religiosissimi. Così tanto che quando la Rosenblit si siede là, davanti, vicino all’autista, iniziano a borbottare.
Le chiedono – anzi: le urlano – di spostarsi indietro, ché è là che deve sedersi una donna, non qui, tra gli uomini. Le dicono un po’ di tutto. La sfottono. La offendono. Ma lei, Tanja, non si schioda dal suo posto. Anche perché si era piazzata dietro all’autista solo per chiedergli il momento giusto quando scendere. E certo non nasconde un po’ di sorpresa. «Che storia è mai questa?», si chiede. «Siamo nel 2011!». Ma loro, uomini zeloti e devoti alla religione non vogliono sentire ragioni. Si spingono anche a chiederle di scendere dal bus. E così l’autista, vedendo l’ostinazione della «Rosa Parks» d’Israele, inizia a fare da mediatore. Chiede agli ultraortodossi di darsi una calmata. Ma loro niente.
In pochi minuti arriva la polizia. Che, con garbo, chiede a Tanja se non sia il caso di spostarsi in un altro posto. Ma lei non arretra. Mentre nel frattempo arrivano anche altri ultraortodossi. Che circondano il mezzo. Si fanno minacciosi. E siccome non sono giorni di cortesia tra iper-religiosi israeliani e forze dell’ordine, allora si decide di fare un po’ la faccia cattiva. Di mostrare – è il caso di dirlo – il volto duro della legge. Non quella di Dio, ma quella dello Stato. Gli ebrei ultraortodossi allora si calmano. Il capo dei rivoltosi viene fatto scendere. Il bus parte con mezz’ora di ritardo. Arriva a Gerusalemme. Dove, intanto, la notizia è volata quasi in tempo reale. Tanja Rosenblit, quando il pullman si ferma alla sua piazzola, è sempre lì, seduta al suo posto. Nella prima fila, dietro all’autista.
«Fino a ieri ero convinta di vivere in un Paese libero», dice lei dopo essere scesa. «Ero sicura che la libertà e la dignità della persona fossero i valori supremi della nostra società così eterogenea. Ma dopo quello che è successo sul bus n. 451 non ne sono più così certa». Una cosa ci tiene a chiarirla Tanja: «Non sono contro la religione e nemmeno contro gli ultraortodossi». Però, ecco il succo del discorso, «non dobbiamo comportarci come se le libertà acquisite in questo Paese fossero una maledizione!».
Il dibattito, inutile dirlo, s’è fatto rovente. Soprattutto in certa parte dell’anima liberal degl’israeliani. Perché è vero che negli ultimi anni gli ebrei ultraortodossi sono riusciti a imporre la segregazione per sessi nei bus che collegano gl’insediamenti, ma è anche vero che mai era successa una cosa del genere a bordo di un normale pullman di linea. Per non parlare, poi, di certi marciapiedi del quartiere Mea Shearim di Gerusalemme. Ma questa è un’altra storia.
«Oggi ho saputo della richiesta a una donna di spostarsi, su un bus. Mi oppongo categoricamente», ha commentato duro il premier Benjamin Netanyahu. «Alle frange non deve essere permesso di distruggere le nostre posizioni comuni. Dobbiamo difendere gli spazi pubblici in modo che siano aperti e sicuri per tutti i cittadini di Israele».
Ma la sensazione, fuori dai circoli politici e intellettuali, è che nello Stato ebraico avanza un nuovo grattacapo per le istituzioni: la chiusura degli ebrei ultraortodossi. Non una minoranza. Nemmeno in politica, dove sostengono – anzi: reggono – il governo Netanyahu.
© Leonard Berberi
(ultimo aggiornamento: lunedì 19 dicembre, ore 00.23)
http://falafelcafe.wordpress.com/2011/12/19/la-storia-la-rosa-parks-del-2011-che-sfida-la-segregazione-sessuale/
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