Shirin ci accoglie col sorriso e ci offre tè alla menta, non ci ha mai incontrati prima ma credo sia contenta di vederci. Shirin è una donna forte, portamento da cerva ed un bell’abito scuro. Vive ad Husan, un villaggio palestinese poco lontano da Betlemme, non è sposata ma ha una famiglia numerosa, da generazioni i suoi coltivano la terra ed ora, come ogni ottobre, è tempo di raccogliere le olive.
Il campo di ulivi si trova in una valle fertile e rigogliosa dove crescono cavoli e peperoni, pestiamo su una terra gialla e polverosa che con poche gocce d’acqua diventa viva. C’è il sole ma anche un po’ d’aria, dopo aver finito il tè iniziamo ad aiutare nel lavoro di raccolta: stendiamo i teli e, guardando da Shirin, impariamo ad accarezzare le chiome degli alberi per far cadere a terra le olive. Si sta proprio bene lì nel campo, raccolgo olive, mi arrampico sugli alberi, canto insieme agli altri e scherzo con la famiglia di Shirin… poi tutto d’un tratto come uno schiaffo realizzo dove mi trovo: sono in un campo di ulivi di una famiglia palestinese, il fratello di Shirin è finito nel carcere israeliano senza una reale motivazione ed un regolare processo, suo nipote, ancora bimbo, ha una cicatrice alla nuca perché un proiettile l’ha colpito e quelle case graziose che si intravedono sulla cima delle colline sono parte di una colonia israeliana che pian piano, come un cancro, sta divorando il terreno che porta alla valle.
E’ uno schiaffo che fa un male cane, di colpo smetto di ridere e penso che tutto lì intorno è in un equilibrio fragile, una bellezza che è solo illusione. Questa apparente normalità potrebbe finire all’improvviso. Niente più ulivi, niente più canti, niente più calore accogliente, basta giochi dei bambini. Tutto questo nell’indifferenza del mondo.
Francesca Rossi, team di Tutti a Raccolta 2013
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