Le Diverse Facce della Resistenza Popolare in Palestina

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REDAZIONE 21 DICEMBRE 2012

Di Ramzy Baroud

 Apparentemente la resistenza popolare e’, tutta a un tratto, assunta al rango di contrasto di visioni e strategie fra l’autorita’ Palestinese a Ramallah e i suoi rivali a Gaza, sottolineando un divarico esistente e sempre piu’ divergente tra le varie fazioni e la leadership.

 Il Presidente dell’Autorita’ Palestinese (PA), Mahomoud Abbas, in un discorso a un meeting dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) a Ramallah nel Luglio 2011, sembro’ come se fosse finalmente riuscito a raggiungere una conclusione dirompente, descritta come ispirata dalla Primavera Araba. “ Nel prossimo futuro, noi vogliamo un’azione di massa, organizzata e coordinata dappertutto. Questa e’ la possibilita’ di far sentire la nostra voce al mondo intero e dire che noi vogliamo cio’ che e’ nostro di diritto”. Egli esorto’ i Palestinesi a condurre una resistenza popolare, enfatizzando il fatto che deve essere una “resistenza popolare senza armi cosi’ che nessuno possa frainterderci”. (Reuters). ( Egli fece una dichiarazione simile all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a Settembre).

 Fu il modo di progettarsi in avanti di Abbas. Aveva bisogno di quietare la rabbia e il risentimento della sua mancanza di leadership.

 Abbas ha poca credibilita’ per quanto riguarda lo scatenamento di qualsiasi forma di resistenza nei confronti di  Israele. L’Autorita’ Palestinese, dall’epoca del suo insediamento nel 1994 quale organo di transizione che avrebbe guidato i Palestinesi verso l’indipendenza, e’ diventata fine a se’ stessa – dedicata all’ auto-preservazione, fino al punto di cospirare con il governo Israeliano per gestire quella stessa occupazione che ha tormentato i Palestinesi per piu’ di 45 anni. Infatti, il coordinamento per la sicurezza tra le due parti e’ basato sull’intesa comune di imbavagliare ogni dissenso che potrebbe mettere in pericolo la posizione della PA o la sua percezione, da parte di Israele, per quanto riguarda una minaccia alla sua sicurezza.

 Esiste pochissima evidenza, se esiste, che la PA stia portando avanti un’ azione di massa, coordinata e organizzata in maniera generalizzata. La rivoluzione retorica messa in scena dalla PA, tuttavia, ha servito il suo scopo, almeno per ora, dato che Abbas e i suoi uomini sono riusciti a sopravvivere lo sconvolgimento regionale.

 Il termine “resistenza popolare” viene ancora usato con larghezza come se la semplice ripetizione costituisse una chiave per la soluzione di ogni dicotomia politica che fronteggia i Palestinesi. Il contesto in cui viene usato e manipolato viene recepito in maniera sfavorevole da quelle fazioni Palestinesi che hanno promosso la lotta armata e che si oppongono in maniera veemente agli accordi di Oslo e alle sue istituzioni. La Jihad Islamica a Gaza e’ particolarmente infastidita dalla versione di Abbas.

 Quando il Segretario della Jihad Islamica, Generale Ramadan Shallah, parlo’ di fronte a migliaia di sostenitori a Gaza, durante la celebrazione del 31mo anniversario della fondazione del movimento, egli parlo’ proprio di questo problema. Il Generale esorto’ una nuova strategia nazionale sottolineando il fallimento del cosiddetto processo di pace. “ Il progetto Palestinese di stabilire uno stato sui confini del1967 attraverso negoziati e’ ovviamente fallito”.

 Ovviamente, egli si scaglio’ anche contro la “resistenza pacifica non-violenta”, il che genero’ diversi slogan utili che furono riportati generosamente dai mass media. E’ interessante comunque che i punti di vista di Shallah sulla resistenza popolare non-violenta fossero mescolati quali parte e pacchetto della caccia futile della PA per ottenere concessioni da parte di Israele. “ Diciannove anni di negoziati falliti hanno creato una crisi che non pou’ essere risolta semplicemente insistendo su nuovi negoziati o attraverso la resistenza non-violenta”, disse, secondo l’Agenzia di Notizie Palestinese Ma’an (Ottobre 4).

 Una terza e meno faziosa interpretazione della strategia di resistenza popolare fu offerta dall’attivista Palestinese Dr. Mostafa Barghouti, sempre molto articolato, che, molto chiaramente difese, mentre durante un’intervista ad Al Jazeera (Ottobre 18), il diritto Palestinese a resistere con tutti i mezzi disponibili, ma asseri’ che la resistenza popolare puo’ costituire una strategia piu’ efficace per ottenere diritti politici.

 Ovviamente, il problema non esiste entro la strategia non-violenta della resistenza popolare, ma nel suo contesto politico e nell’uso sbagliato che alcuni partiti ne fanno. La resistenza popolare, quando inserita nel contesto di un quadro veramente genuino che tende a mettere a punto una strategia favorevole e che porti risultati benefici per l’ottenimento di  diritti per i Palestinesi, assume una connotazione completamente diversa. Perdippiu’, quando si consideri la storia Palestinese, la strategia non e’ per niente un concetto alieno o un tentativo disfattista per non essere fraintesi dai benefattori occidentali.

 La storia e’ ripiena di evidenza. Il 19 Settembre 1989, la citta’ di Beit Sahour nellaWest Bank, comincio’ una campagna di resistenza popolare e disobbedienza civile che divenne materia leggendaria. Si tratto’ di uno sforzo che era parte della mobilitazione massiccia e ispiratrice della Prima Rivolta Palestinese (1987-1993). Numerosi tentativi fallirono di spezzare la volonta’ collettiva di Beit Sahour. Il governo Israeliano mobilito’ il suo esercito a tutta forza, lanciando  “il piu’ grande raid di tassazione nella storia recente”. Le forze di occupazione fecero il loro ingresso e i dazieri generarono le loro magie, confiscando tutto cio’ che pote’ essere confiscato. Molte famiglie furono lasciate con niente. Molti mobili confiscati e altri beni personali furono venduti alle aste entro Israele. La piccola citta’ si trovo’ sotto un coprifuoco militare di 45 giorni che inizio’ la notte di Settembre 21. Centinaia di residenti di Beit Sahour furono portati nei campi militari e molti rimasero in prigione sotto varie scuse. I militari Israeliani potrebbero aver pensato che avessero vinto una battaglia decisiva ma quel giorno una stella, vicino a Betlemme, brillo’ nel cielo notturno della Palestina. Mise in comunicazione il passato con il presente e prese a ispirare la speranza che la gente, nonostante i molti anni di occupazione militare, aveva ancora abbastanza potere per una piccola citta’ di creare dei problemi per l’establishement politico e militare di Israele.

 La  resistenza popolare in Palestina ha un secolo di storia. Le sue origini sono tuttavia spesso datate al 1936 quando i Palestinesi, Mussulmani e Cristiani, si ribellarono contro la volonta’ coloniale Zionista e il ruolo Britannico di farla propria e di assicurarne il successo. Nell’aprile 1936, tutti e cinque partiti politici Palestinesi si raggrupparono sotto l’egida di un Alto Comitato Arabo (AHC). Quell’unita’ era un riflesso dell’atteggiamento generale presente fra i Palestinesi comuni.

 Fu dichiarato uno sciopero generale inaugurando cosi’ l’inizio della leggendaria campagna di disobbedienza civile Palestinese – come esemplificato dallo slogan di “Niente Tassazione senza Rappresentazione”. La rivolta del 1936 mando’ un segnale fortissimo al governo Britannico che i Palestinesi erano uniti dal punto di vista nazionale e capaci di agire come una societa’ assertiva e sicura di se’ in modi che avrebbero disturbato la matrice del ruolo obbligatorio dei Britannici sulla nazione. L’amministrazione Britannica in Palestina non ha, fino a oggi, dato importanza alla domanda Palestinese per l’indipendenza e ha fatto poca attenzione alla loro profonda preoccupazione circa la sempre crescente minaccia dello Zionismo e dei suoi progetti coloniali.

 Certamente queste non sono storie molto distanti. Quella azione collettiva non costitui’ una fase momentanea, ma  si ripete’ attraverso la storia, anche dopo la firma degli Accordi di Oslo nel 1993 che istituzionalizzarono l’occupazione di Israele e punirono in maniera spietata coloro che osarono resistere.

 Il PA di Ramallah dovrebbe smetterla di utilizzare e fare riferimento alla nozione di resistenza popolare mentre allo stesso tempo fa di tutto in suo potere per sopprimerla. E i rivali di Abbas non devono associare la resistenza popolare con Oslo e le sue istituzioni da bancarotta, perche’ la storia puo’ facilmente separare questa connessione distorta. La resistenza popolare in Palestina continua a esistere non per merito della leadership Palestinese ma nonostante essa.

 Ramzy Baroud (ramzybaroud.net) e’ un editorialista internazionale e l’editore di PalestineChronicle.com. Il suo ultimo libro e’ My Father was a Freedom Fighter: Gaza’s Untold Story. Le fotografie della resistenza sono da Wikimedia.

 Da: Z Net- Lo spirito della resistenza e’ vivo

 URL: http://www.zcommunications.org/the-different-faces-of-popular-resistance-in-palestine-by-ramzy-baroud

 Traduzione di Francesco D’Alessandro

 ©2012 Z NET Italy- Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0

http://znetitaly.altervista.org/art/9061

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