Le nostre anime sono nei nostri motori

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Sapevo cosa volevano. Volevano portarmi nella città israeliana di Ashdod e distruggere la mia barca. In quel momento mi sembrò che la morte sarebbe stata un paradiso.

Omnia Ghassan, Gaza 4 settembre 2017

Avevo programmato di incontrare Mussad Bakr nel pomeriggio. Il giorno prima avevo chiamato Mussad e dalla voce avevo pensato che fosse un uomo più anziano, ma nella mia fantasia l’avevo immaginato in salute. Così, sono rimasta scioccata dalla realtà. L’ho aspettato vicino a una grande barca rossa nel porto di Gaza. Poi è apparso: un uomo dall’aspetto scheletrico sui 55 anni, la schiena così sottile è quasi curva e i capelli del colore della cenere caduta dalla sigaretta da cui tira boccate. Ci siamo seduti vicino alla barca assieme ad alcuni giovani pescatori che si sono uniti a noi su una panca di pietra. Ho fatto solo una domanda: “Qual è la tua storia, Mussad?” La sua risposta è fluita senza interruzioni fino alla fine. Queste sono le sue parole.

 

Prima e dopo

Ho iniziato a pescare 27 anni fa, per l’esattezza. Ho scelto di pescare perché mi piace; è sempre stata e sempre sarà la mia passione. Ma non avevo mai pensato veramente di farne una professione.

Avventurarsi nel mare non è così sicuro, divertente o fruttuoso come in passato. In passato, per noi pescatori, il mare era più accessibile di oggi. Eravamo considerati i “re” di Gaza. Eravamo dei re perché avevamo l’abilità di navigare dal litorale di Gaza fino all’Egitto e rimanere in mare per tutto il tempo che desideravamo. Ogni volta che avevamo bisogno di soldi potevamo semplicemente andare per mare e pescare quanto volevamo. Poi vendevamo o mangiavamo il pescato. La pesca era una scelta. Ora, è una necessità non accessibile!

Quindici anni fa, quando Abu Ammar (Yasser Arafat) era responsabile dell’Autorità palestinese, la parte egiziana del mare per noi era aperta. La quantità di pesce che pescavamo era doppia. Ci piacerebbe chiedere: “Dove dovremmo pescare oggi? Domani?”

Poi, il soldato israeliano Gilad Shalit fu catturato dalle forze palestinesi nel 2006. (Nel 2006, una squadra armata di combattenti della resistenza di Hamas attraversò il confine con i territori occupati attraverso un tunnel sotterraneo. Fecero esplodere le portiere posteriori di un carro armato uccidendo due dei soldati e ferendone un altro; un quarto soldato, Gilad Shalit, fu catturato. E’ stato tenuto in cattività fino a uno scambio di prigionieri nel 2011). Dopo di che, l’intima rabbia del sionismo esplose in un torrente di vendetta contro tutti noi… Tutti i due milioni di noi ne soffrono ancora le conseguenze. Oggi non possiamo nemmeno permetterci di nutrire i nostri figli.

I sionisti impediscono alle nostre barche di avventurarsi a più di tre/nove miglia nautiche. Eravamo abituati a navigare da 200 a 500 miglia. Viaggiavamo verso Damietta e Port Said lungo la costa dell’Egitto e ci fermavamo quando potevamo pescare.

Il mare è la mia casa. Mi si spezza il cuore a non poter più visitare quello a cui ero abituato. Non posso navigare e godere pacificamente delle stelle e del cielo notturno, senza temere un assalto. In passato, se prendevo una gran quantità di pesci, me ne rimanevo a casa per giorni interi a riposare. Oggi, non posso pescare abbastanza e talvolta è molto meno del fabbisogno minimo. Il pesce che eravamo abituati a prendere, ora lo vediamo solo in TV!

Di fronte alla morte

(La guerra israeliana del 2012 contro Gaza, la cosiddetta operazione Pillar of Defense, è durata otto giorni. Il 21 novembre 2012 fu raggiunta una tregua.)

Dopo essere stato chiuso per otto giorni, il mare fu aperto di nuovo, ma solo per sei miglia. Questo è il nostro paese e questo è il nostro mare. Nessun limite dovrebbe esserci imposto.

Un giorno dopo la fine della guerra, il 17 dicembre 2012, ho superato i limiti di circa 20-30 metri. Erano le 8:30. E poi, l’ho sentito: un suono come il ronzio di una vespa. Era così forte e così vicino. Mi sentivo come se fossi sordo. Due vespe (veicoli aerei senza pilota, aka drones) erano proprio sopra la mia testa, ronzio e fuoco di tiro. Voci gridavano, volevano che mi fermassi. Sapevo cosa volevano. Volevano portarmi nella città israeliana di Ashdod e distruggere la mia barca. In quel momento mi sembrò che la morte sarebbe stata un paradiso. Hanno continuato a ronzare sopra la mia testa per mezz’ora. Proprio allora, un proiettile mi colpì all’anca sinistra. Mi sentivo paralizzato. Svenni.

Al mio risveglio mi ritrovai nel Centro Medico Barzilai di Ashkelon. Ero nella terra dell’occupante! Hanno tolto il proiettile e mi hanno lasciato al valico di Eretz di nuovo a Gaza. Ma non potevo sentire o muovere la mia gamba. Gli israeliani mi avevano dato una pillola dicendo che avrebbe aiutato ad alleviare il dolore e la rigidità. Lo fece, ma ero a mala pena in grado di raggiungere casa mia a Gaza. Dopo che l’effetto della pillola scomparve, il dolore tornò ancora più forte. Non pensavo che avrei mai potuto usare nuovamente la mia gamba. Persi anche il GPS dalla mia barca e il mio motore. Oh, il mio motore! Non ne ho più avuto uno da quel giorno. È un miracolo se sto ancora camminando, un miracolo se sono vivo.

 

Non è lo stesso

Questo e ogni racconto di pescatori riflette la storia di Mohammed Bakr. Questo giovane pescatore ha rappresentato tutti noi. Casualmente superò il limite di navigazione e gli israeliani hanno cominciato a sparargli. Abbracciò il motore della sua barca per proteggerlo dai proiettili. Ma, purtroppo, i suoi tentativi furono vani. Ora lui e il suo motore non ci sono più.

Questa è la nostra vita. Le nostre anime sono nelle nostre barche, nei nostri motori; senza di loro, siamo morti.

Siamo vecchi abbastanza per sopportare circostanze di questo genere. Ma i ragazzi, qual è la loro colpa? Come faranno a far fronte a tutto questo? Ti giuro, sento vergogna quando il mio più piccolo viene a chiedermi uno shekel e non ho niente da dargli. Mi maledico e maledico il giorno in cui mia madre mi ha messo al mondo. Ho lasciato anche che il mio figlio più grande abbandonasse gli studi perché non posso permettermi i costi della scuola. Ora che viene con me per mare, non temo per me stesso, temo per lui.

Si può aiutare la famiglia di Mussad sostenendo la campagna di solidarietà con i pescatori di Gaza, un progetto della Freedom Flotilla.

 

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Traduzione di Simonetta Lambertini – invictapalestina.org

Fonte: https://wearenotnumbers.org/home/Story/Our_souls_are_in_our_motors

 

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