admin | September 6th, 2011 – 9:55 am
La fibrillazione è già iniziata, mi si dice da Israele e Palestina. Il 23 settembre è dietro l’angolo. È già domani. E la questione del riconoscimento dello Stato di Palestina – una questione che sembrava ed era un ballon d’essai soltanto pochi mesi fa – incombe come il cielo pesante e grigio di un temporale sulla testa di tutti.
Sono anzitutto i timori per la situazione sul terreno a spaventare molti. Cosa succederà nei giorni della discussione all’Onu? Cosa succederà se e quando la votazione in Assemblea Generale innalzerà lo status della Palestina in modo tale da definirlo stato osservatore? Cosa succederà dopo? Ci saranno fuochi artificiali e balli per strada, nelle città palestinesi, oppure tutto passerà come acqua sull’olio? E i coloni, il cui livello di sicurezza è già stato innalzato e la cui violenza verso i palestinesi è già aumentata, cosa faranno? Si chiuderanno negli insediamenti o invece continueranno con le provocazioni che già mettono in atto da mesi e da anni?
Violenza per le strade della Cisgiordania e di Gerusalemme? Questo ci dobbiamo aspettare? Il timore – evidente – è questo. E a dire il vero, per più di qualcuno, una possibile recrudescenza della violenza in Palestina potrebbe essere lo strumento per non parlare di politica e diplomazia, e per rimettere tutto, di nuovo, nel calderone del mito e dell’alibi della sicurezza.
Il vero nodo, nonostante i timori sull’aumento della violenza siano reali, è cosa significhi lo Stato di Palestina per i palestinesi. Per tutti i palestinesi, fuori e dentro i Territori occupati nel 1967 da Israele. Ho letto oggi un articolo circostanziato, analitico, molto interessante che maannews aveva pubblicato, e le questioni aperte ci sono riportate tutte, elencate da Jalal Abu Khater, che scopro essere un ragazzo di 17 anni della Friends School di Ramallah (a proposito di arabi invisibili e di stereotipi…). Nella percezione italiana, c’è – forse – una Palestina, composta dalla Cisgiordania e probabilmente da Gaza. In pochissimi, in Italia, ci mettono anche Gerusalemme est, in questa idea della Palestina. Per i palestinesi, invece, non solo la Palestina è quella ‘storica’ pre-1948, prima della nascita dello Stato di Israele. La Palestina sono i palestinesi, quelli sì rappresentati all’Onu attraverso l’OLP. Il riconoscimento dello Stato di Palestina cristallizzerebbe, dunque, non tanto la frontiera definita dall’armistizio del 1949 (la Linea Verde), quanto il modello inventato e consolidato a Oslo. La Palestina è quella dei Territori occupati. Tutto il resto, cioè a dire la Palestina dei rifugiati, è a parte, è riposta in un cassetto che tutti sperano di non aprire, non è rilevante.
Il riconoscimento dello Stato di Palestina all’Onu, al contrario, ha rimesso in moto un processo che a dire il vero si era già mosso con la transizione post-Arafat. E cioè quello della rappresentatività e del rapporto palestinesi-Stato, palestinesi-terra, palestinesi-istituzioni. C’è molta maretta tra i palestinesi che non sono in Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme est. Perché lo Stato riconosciuto dall’Onu cristallizza una situazione che sinora, seppur penalizzando di molto i palestinesi, era comunque tanto fluida da poter essere considerata reversibile. Ora non sarà più così, e se da una parte lo Stato di Palestina potrebbe rendere finalmente più facile la transizione politica, il passaggio delle nuove èlite alla gestione del potere palestinese, dall’altra potrebbe definitivamente espellere dal quadro tutto ciò che fuori dagli OPT (Territori palestinesi occupati) si è formato.
È di nuovo al centro la questione dell’identità, nazionale e politica, che le rivoluzioni arabe stanno declinando in maniera diversa rispetto al nazionalismo, al panarabismo, ai movimenti anticoloniali di pochi decenni fa. È una discussione, quella che continua da mesi all’interno dell’èlite palestinese, che non ha ancora raggiunto la maturità e la diffusione necessaria. E che però, già ora, mostra un disagio per nulla irrilevante o superficiale. Ne va del futuro dei palestinesi.
…ma questo è solo una prima riflessione, scritta di corsa, in una Venezia nuvolosa e travolta dalla Mostra del cinema, in attesa di parlare di rivoluzioni arabe. Ce ne sono altre di riflessioni che incombono, sulla dimensione diplomatica, bilaterale, regionale. Stay tuned.
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