Thursday, 12 January 2012 08:34 Carlo Vittorini (Alternative Information Center)
Le Piscine di Suleiman e la pineta che li circonda, nel distretto di Betlemme
Chiunque si metta in viaggio verso Hebron da Nord si troverà a costeggiare, magari senza accorgersene, le Piscine di Suleiman. Oggi sono contese tra Autorità Palestinese e coloni israeliani, mentre il campo profughi di Dheisheh presenta un progetto per trasformarlo in uno spazio verde per le famiglie.
A soli cinque chilometri a Sud-Ovest di Betlemme, vicino al villaggio di Al Khader, si trovano tre imponenti vasche circondate da un boschetto; profonde fino a 8 metri e lunghe oltre 120, sono in grado di contenere complessivamente circa 200 milioni di litri. Per secoli sono state essenziali per il rifornimento idrico dell’area e offrono anche una muta testimonianza delle innumerevoli vicissitudini subite dal territorio palestinese così come dalle persone che lo hanno abitato e lo abitano tuttora.
La loro storia appare travagliata fin dall’inizio: la periodizzazione delle vasche è infatti incerta, il che gioca a favore dell’ideologia sionista. In effetti, le Piscine di Suleiman sono altresì note come Piscine di Salomone, il quale secondo alcuni ne sarebbe l’artefice. Chi sostiene questa tesi si rifà principalmente ad un passo dell’Ecclesiaste, dove lo stesso Salomone si riferirebbe ad esse: ‘’Mi costrussi degli stagni per adacquare con essi il bosco dove crescevano gli alberi’’ (2;6).
In realtà, sebbene la controversia non sia ancora stata risolta dagli storici, studi recenti suggeriscono che la loro costruzione sia posteriore: infatti almeno due delle vasche, le più antiche, risalirebbero al regno di Erode. La loro funzione era di convogliare, attraverso un complesso di canali, l’acqua piovana raccolta in due direzioni: verso Herodion, il palazzo-fortezza del sovrano situato a Sud di Betlemme, e verso Gerusalemme.
Successivamente, si pensa che il sultano Al-Thaher Khoushqadm abbia fatto costruire la terza piscina, nel 1460, ma ulteriori apporti verrebbero da Murad IV, che ordinò la costruzione del castello (anche detto Qal’at el-Burak), situato a pochi metri di distanza dal sito con l’intento di proteggere la riserva acquifera, e anche da Solimano (da cui il nome delle vasche), che avrebbe invece ristrutturato l’area; aggiunse dei canali d’ingresso per rifornirle di acqua corrente proveniente dalle fonti del circondariato.
Le Piscine di Suleiman rimasero in funzione fino alla Guerra dei Sei Giorni, nel 1967. Con la costruzione delle prime colonie nella regione, i canali che rifornivano le piscine furono interrotti o deviati, e in generale tutto l’assetto idrico dell’area fu stravolto: da quel momento le vasche, ormai vuote ed inutilizzabili, divennero pericolose per gli abitanti di Dheisheh e Artas. La loro profondità e l’acqua stagnante che raccoglieva furono all’origine di molti incidenti. Dopo la morte di due bambini di Dheisheh, Mahmoud Makkawi e Azadin Daragma, il 30 aprile del 2009, il Comitato Popolare chiese la messa in sicurezza dell’area.
Ad oggi, le Piscine di Suleiman sono la cartina tornasole di almeno tre diverse concezioni di utilizzo del territorio, visioni che quotidianamente si incrociano e scontrano in gran parte dei Territori Palestinesi Occupati.
Per quanto riguarda l’Autorità Palestinese, un imponente progetto è in corso di attuazione: riguarderebbe tutta la zona circostante, ma di fatto finora le costruzioni sono state avviate esclusivamente sul lato della strada opposto alle piscine, in quanto Area A (secondo gli Accordi di Oslo, sotto controllo amministrativo e militare dell’AP). Le Piscine di Suleiman, invece, rientrerebbero in Area C, sebbene circoscritta al solo sito archeologico e alla collina sovrastante, occupata della colonia Givat Hadagan, estensione della mastodontica colonia di Efrat. Il progetto dell’AP prevede la costruzione di un museo, due teatri, una moschea, un ristorante di lusso e un centro commerciale, con costi stimati di milioni di dollari.
Il progetto del centro Al Fenik del campo profughi di Dheisheh è diverso: l’obiettivo è quello di migliorare le condizioni di vita di tutta società civile di Betlemme, ma in particolare quelle degli abitanti del campo, che soffrono di una totale mancanza di spazi pubblici; ciò attraverso la riorganizzazione dell’area e il suo utilizzo, fruibile per tutti, per attività sportive, culturali e di svago, pic-nic, campi estivi e attività di ippoterapia.
Appare evidente che, per come si profila la realizzazione del progetto dell’Autorità Palestinese, le piscine verrebbero di fatto cedute al controllo israeliano, diventando un’altra di quelle ‘’colonie archeologiche’’ già sperimentate ad Herodion, dove si unisce l’occupazione territoriale al rendiconto economico che viene dal turismo.
Questa previsione non appare così improbabile se si tiene in conto degli sviluppi delle ultime settimane. Un mese fa si è cominciato ad assistere a periodiche apparizioni di famiglie di coloni, scortate come al solito dall’esercito israeliano, proprio nei dintorni delle piscine. Risale a venerdì scorso l’episodio più eclatante: un centinaio di coloni si sono diretti all’interno delle vasche, e dopo essersi lavati nelle acque, hanno compiuto una preghiera di massa.
Rimane da chiarire come sia stato possibile che tanti coloni siano passati davanti al presidio dei soldati dell’AP, posto all’ingresso dell’area e unico accesso alla stessa: probabilmente le visite sono state concordate.
Le Piscine di Suleiman ricoprono una duplice importanza, come sito archeologico e come tradizionale spazio popolare, dominato da quiete e verde (caratteristiche indispensabili per la vita della gente dei campi profughi, nei quali esse sono completamente assenti), e assume una valenza simbolica in grado di mostrare i processi in atto oggi nella regione. Lo scenario è ancora aperto, e gli sviluppi che seguiranno potranno raccontare qualcosa sulla Palestina che verrà.
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