23/08/2011
Lontano dagli occhi lontano dal cuore.
Parafrasando: senza vederne gli orrori anche la guerra passa come un videogame.
L’orrore della morte ‘procurata’ non ci tocca più. A Pisa cominciamo a portare i bambini nelle caserme per far sì che il mestiere della guerra sia appetibile.
Bisogna con forza alzare il grido che don Gallo ieri sera su La7 lanciava.
Il vero cristiano non deve sì mai ‘staccare la spina’: non la spina dell’accanimento terapeutico ma la spina della testimonianza dell’Amore.
E lasciare tornare al Padre chi serenamente lo anela come ha anelato la vita.
(fd)
(il manifesto, 23 agosto 2011)
Una «vittoria» timbrata dagli aerei Nato
Manlio Dinucci
Una foto pubblicata dal New York Times racconta, più di tante parole, ciò che sta avvenendo in Libia: mostra il corpo carbonizzato di un soldato dell’esercito governativo, accanto ai resti di un veicolo bruciato, con attorno tre giovani ribelli che lo guardano incuriositi. Sono loro a testimoniare che il soldato è stato ucciso da un raid Nato.
In meno di cinque mesi, documenta il Comando congiunto alleato di Napoli, la Nato ha effettuato oltre 20mila raid aerei, di cui circa 8mila di attacco con bombe e missili. Questa azione, dichiarano al New York Times alti funzionari Usa e Nato, è stata decisiva per stringere il cerchio attorno a Tripoli. Senza questa «pressione» quotidiana su obiettivi fissi, forze in movimento, colonne di automezzi di incerta identificazione, i «bengasiani» non sarebbero mai arrivati in Tripolitania.
Gli attacchi sono divenuti sempre più precisi, distruggendo le infrastrutture libiche e impedendo così al comando di Tripoli di controllare e rifornire le proprie forze. Ai cacciabombardieri che sganciano bombe a guida laser da una tonnellata, le cui testate penetranti a uranio impoverito e tungsteno possono distruggere edifici rinforzati, si sono uniti gli elicotteri da attacco, dotati dei più moderni armamenti. Tra questi il missile a guida laser Hellfire, che viene lanciato a 8 km dall’obiettivo, impiegato in Libia anche dagli aerei telecomandati Usa Predator/Reaper.
Gli obiettivi vengono individuati non solo dagli aerei radar Awacs, che decollano da Trapani, e dai Predator italiani che decollano da Amendola (Foggia), volteggiando sulla Libia ventiquattr’ore su ventiquattro. Essi vengono segnalati – riferiscono al New York Times i funzionari Nato – anche dai ribelli. Pur essendo «mal addestrati e organizzati», sono in grado, «per mezzo delle tecnologie fornite da singoli paesi Nato», di trasmettere importanti informazioni al «team Nato in Italia che sceglie gli obiettivi da colpire». Per di più, riferiscono i funzionari, «Gran Bretagna, Francia e altri paesi hanno dispiegato forze speciali sul terreno in Libia». Ufficialmente per addestrare e armare i ribelli, in realtà soprattutto per compiti operativi.
Emerge così il quadro reale. Se i ribelli sono arrivati a Tripoli, ciò è dovuto non alla loro capacità di combattimento, ma al fatto che i cacciabombardieri, gli elicotteri e i Predator della Nato spianano loro la strada, facendo terra bruciata. Nel senso letterale della parola, come dimostra il corpo del soldato libico carbonizzato dal raid Nato.
In altre parole, si è creata ad uso dei media l’immagine di una «resistenza» con una forza tale da battere un esercito professionale. Anche se ovviamente muoiono dei ribelli negli scontri, non sono loro che stanno espugnando Tripoli.
E’ la Nato che, forte di una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu, sta demolendo uno stato con la motivazione di difendere i civili. Evidentemente, da quando un secolo fa le truppe italiane sbarcarono a Tripoli, ha fatto grandi passi in avanti l’arte della guerra coloniale.
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