Linee rosse e semafori verdi

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REDAZIONE 19 SETTEMBRE 2013

 
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di Jonathan Cook

18 settembre 2013

 

Forse il Presidente Barack Obama ha tracciato la sua “linea rossa” di cui apparentemente si è dispiaciuto sulle armi chimiche siriane, ma non è stato né lui né la comunità internazionale  che hanno puntato i riflettori sul loro uso. Questo compito è toccato a Israele.

E’ stato un generale israeliano che in aprile ha sostenuto che Damasco aveva usato le armi chimiche, costringendo Obama a un’imbarazzante esitazione sul suo impegno dichiarato di intervenire in caso questo dovesse accadere.

Secondo i media israeliani è stata Israele che ha anche fornito le informazioni segrete che incolpavano il presidente siriano Bashar Al Assad dei recenti attacchi con armi chimiche, vicino a Damasco il 21 agosto, innescando il  clamore di una reazione militare statunitense.

Vale la pena ricordare che l’ipotetico “tergiversare” di Obama sul problema dell’azione militare, è stata soltanto accentuata dagli “arditi” attacchi di Israele contro la Siria – almeno tre dall’inizio dell’anno.

Sembra come se Israele, mentre rimane largamente in silenzio sui suoi interessi nella guerra civile che infuria là, si sia adoperato molto per fare pressioni sulla Casa Bianca per un suo diretto coinvolgimento in Siria.

Quello slancio sembra essere stato fermato, almeno per il momento, dall’accordo fatto durante il fine settimana da Stati Uniti e Russi di smantellare l’arsenale di armi chimiche della Siria.

Per comprendere i rispettivi punti di vista della Casa Bianca e di Israele sugli attacchi contro la Siria, bisogna ripercorrere l’invasine dell’Iraq condotta dagli Stati Uniti dieci anni fa.

Israele e il suo gemello ideologico a Washington, i neoconservatori, manifestavano per la causa di

destituire Saddam Hussein, credendo che dovessero essere il preludio a un colpo egualmente devastante contro l’Iran.

Israele era ansiosa di vedere indeboliti contemporaneamente i suoi due principali nemici nella regione. L’Iraq di Saddam era stato il principale sostenitore della resistenza palestinese contro Israele. Nel frattempo, l’Iran aveva iniziato a sviluppare un programma nucleare civile che Israele temeva potesse preparare la strada a una bomba iraniana, ponendo fine al monopolio di Israele delle armi nucleari nella regione.

I neoconservatori hanno portato avanti la prima fase del piano, distruggendo l’Iraq, ma sono poi incappati nell’opposizione interna che ha bloccato la realizzazione della seconda fase: la dissoluzione dell’Iran. Le conseguenze sono ben note. Mentre l’Iraq implodeva in una violenza settaria, le fortune dell’Iran aumentavano. Tehran rafforzava il suo ruolo di sostenitore della resistenza contro Israele nella regione – o di quello che è diventato il nuovo “asse del male” – che comprendeva Hezbollah in Libano e Hamasd a Gaza.

Sia Israele che gli Stati Uniti considerano la Siria come la “chiave di volta” geografica di quell’asse, come ha detto questa settimana al Washington Post l’ambasciatore uscente di Israele negli Stati Uniti, Michael Oren, e come una cosa da essere rimossa se l’Iran deve essere isolato, indebolito o attaccato.

Però Israele e gli Stati Uniti hanno tratto lezioni diverse dall’Iraq. Washington ora è sospettosa chele sue forze di terra siano impantanate di nuovo, e anche timorosa di ripristinare uno scontro da guerra fredda con Mosca. Preferisce invece contare sui delegati per contenere e logorare il regime siriano.

D’altra parte Israele, comprende il pericolo di manovrare il suo sostenitore verso  la resa dei conti     con Damasco senza assicurarsi questa volta che l’Iran è legato al piano. Limitarsi a destituire Assad aggiungerebbe soltanto degli jihadisti rincuorati ai guai che ha sulla soglia di casa.

Date queste valutazioni, Israele e gli Stati Uniti hanno lottato per immaginare una fine del gioco realistica che li soddisferebbe entrambi. Obama teme di incendiare la regione e forse il mondo con un attacco diretto all’Iran; Israele è preoccupata di portare la pazienza del suo sostenitore agli estremi limiti spingendolo apertamente in un’altra impresa catastrofica per garantirsi l’egemonia nella regione.

In questa intervista pubblicata ieri dal quotidiano Jerusalem Post, Michael Oren sosteneva che in effetti Israele aveva tentato di cacciare Assad fin da quando la guerra civile era esplosa più di due anni fa. Ha detto che Israele “preferiva sempre i tipi cattivi [i gruppi jihadisti] che non erano sostenuti dall’Iran, ai tipi cattivi [il regime di Assad] che erano sostenuti dall’Iran.”

Questo sembra improbabile. Sebbene i i gruppi jihadisti sunniti, alcuni con legami con al-Qaida, non siano alleati naturali o dei capi sciiti dell’Iran o di Hezbollah, sarebbero fortemente ostili a  Israele. Le osservazioni di Oren, indicano, comunque, il grado in cui le priorità strategiche di Israele sono ossessivamente viste attraverso il prisma dell’attacco all’Iran.

E’ più probabile che Israele si è concentrato sull’uso della guerra civile come modo di combattere Assad nelle sue zone centrali. In quel modo diventa un alleato meno utile per Hezbollah, l’Iran e la Russia, mentre la guerra civile mantiene deboli sia il suo regime che l’opposizione.

Israele avrebbe preferito un attacco degli Stati Uniti contro la Siria, un obiettivo per il cui raggiungimento sono stati mobilitati i suoi lobbisti a Washington. L’intenzione però non era di rimuovere Assad, ma di asserire ciò a cui Danny Avalon, un ex vice ministro degli Esteri israeliano si riferiva come “dissuasione americana e israeliana” – espressione in codice per segnalare a Tehran che  veniva messo in fila come prossimo bersaglio.

Quella minaccia ora sembra vuota. Come ha osservato Silvan Shalom, un importante ministro del governo: “Se è impossibile fare qualche cosa contro la piccola Siria, allora non è certamente possibile farla contro il grande Iran.”

Però il nuovo patto di tra Stati Uniti e Russia di eliminare le armi chimiche della Siria, può probabilmente essere cambiato a vantaggio di Israele, fino a quando questo impedisce che l’attenzione si sposti sulle sue probabili scorte.

Nel breve termine, Israel ha ragione di temere che Assad perda il controllo delle sue armi chimiche, con il pericolo che passino o agli jihadisti o a Hezbollah. La tempistica per la distruzione delle armi chimiche dovrebbe aiutare a minimizzare quei rischi – secondo le parole di un commentatore israeliano, è come se “Israele vincesse la lotteria”.

Israele però sospetta anche che è probabile che Damasco procrastini il disarmo. In ogni caso, gli sforzi per localizzare e distruggere le sue armi chimiche nel mezzo di una guerra civile, saranno lunghi e difficili.

E questo potrebbe fornire a Israele un modo per rientrare in gioco.  Presto, come stanno già facendo notare gli analisti israeliani, la Siria ospiterà gli ispettori internazionali che cercano le armi di distruzione di massa, non in modo diverso dalla situazione in Iraq poco prima l’invasione del 2003 condotta dagli Stati Uniti. Israele, si può facilmente supporre, si intrometterà tranquillamente, cercando di persuadere l’Occidente che Assad non sta collaborando e che Hezbollah e l’Iran sono coinvolti.

In un modo che Israele potrà esaminare in seguito, un capo dell’opposizione siriana, Selim Idris, durante il weekend ha dichiarato che Damasco stava cercando di nascondere la portata delle sue scorte, passandole al Libano e all’Iraq.

Obama non è l’unico ad avere tracciato una linea rossa.L’anno scorso, il primo ministro di Israele Benjamin Nedtnayahu, ne ha disegnata una vera sul disegno del diagramma di una bomba mostrato  alle Nazioni Unite quando ha avvertito che il mondo si trovava davanti a una minaccia esistenziale imminente posta da un’arma nucleare iraniana.

Israele vuole ancora disperatamente che il suo principale nemico, l’Iran, sia distrutto. E se riesce a trovare un modo di fare leva sugli Stati Uniti a fare questo lavoro sporco, sfrutterà l’opportunità – indipendentemente dal fatto che tale azione  intensifichi la sofferenza in Siria.

Jonathan Cook ha vinto il Premio Speciale  Martha Gellhorn per il Giornalismo.  I suoi libri più recenti sono: “Israel and the Clash of Civilisations: Iraq, Iran and the Plan to Remake the Middle East” [ Israele e lo scontro di civiltà: Iraq, Iran e il piano per rifare il Medio Oriente] (Pluto Press) e  Disappearing Palestine:Israel’s Experiments in Human Despair” [La Palestina che scompare:gli esperimenti di Israele di disperazione umana] (Zed Books).  Il suo nuovo sito web è: www.jonathan-cook.net.

Una versione di questo articolo è stato pubblicata la prima volta su The National, di Abu Dhabi.

 

Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: http://www.zcommunications.org/red-lines-and-green-lights-by-jonathan-cook

Originale: Jonathan Cook’s ZSpace Page

Traduzione di Maria Chiara Starace

Traduzione © 2013  ZNET Italy – Licenza Creative Commons  CC  BY – NC-SA  3.0

 

http://znetitaly.altervista.org/art/12351

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