2 GIUGNO 2013 – 20:10
Fra tutti gli alti e i bassi, ogni Primavera araba aveva trasmesso alle altre le sue caratteristiche: il desiderio di cambiamento, lo scontro fra il vecchio e il nuovo, le illusioni e le delusioni, l’instabilità, l’inadeguatezza sociale delle economie, lo scontro fra generazioni e fra religione e laicità. Ovunque speranza e violenza continuano ad alternarsi ancora oggi. E’ la dinamica di un grande evento storico in divenire.
Ovunque tranne che in Siria. Laggiù è come se la vicenda fosse stata portata indietro da un’infernale macchina del tempo e lì paralizzata. Indietro alla Guerra Fredda con russi e americani che si contendono un primato di potenza, e molto più indietro fra i contendenti arabi di questo conflitto.
Arrivata nel Levante e nel Crescente Fertile, la Primavera ha riportato gli arabi a Najaf e Karbala: alla città, ora in Iraq, dove è sepolto Ali, il primo imam sciita; e a quella dove suo figlio Hussein venne ucciso in battaglia dalle truppe dell’Islam ortodosso, i sunniti. Era il 10 di Muhrram del sessantunesimo anno dall’Egira: il 31 maggio del 680. Cioè 1.333 anni fa.
Quello scisma non è mai stato risolto, restando sempre una ragione di scontro sotto la traccia degli interessi geopolitici o petroliferi: nei rapporti fra Arabia Saudita e Iran dello Scià o khomeinista, le diffidenze religiose hanno sempre giocato un ruolo importante. La guerra civile siriana le ha fatte esplodere di nuovo, più potenti, armate e sanguinarie, come un Frankenstein che aspettasse il suo scienziato per uscire dal laboratorio. Si è diffuso oltre le frontiere siriane in Iraq, Libano, Bahrain, ovunque sciiti e sunniti si sovrapponessero nella vita quotidiana.
Iraq e Libano non avevano bisogno della sollecitazione siriana. Ma vorrà forse dire qualcosa se nel mese di maggio, aggravandosi la guerra civile in Siria, più di mille iracheni sono morti in scontri e attentati settari. E certamente significa qualcosa se, come un esercito nazionale, la milizia sciita libanese di Hezbollah combatta in pianta stabile in Siria accanto all’esercito regolare di Bashar Assad. E che dentro il Libano, nella valle della Bekaa, i miliziani siriani anti-regime attacchino gli Hezbollah; che si combatta a Tripoli e che nella stessa Beirut si moltiplichino gli scontri fra sciiti e sunniti.
Come sta accadendo per gli oppositori siriani, prima per i rivoluzionari tunisini dei gelsomini e i bloggers egiziani, e come tanti anni fa era già accaduto per l’Olp di Arafat, anche per Hezbollah sembra impossibile la trasformazione da movimento di liberazione (pacifico o armato) a classe di governo. E’ un limite arabo storico.
La settimana scorsa ero all’incontro mediorientale del World Economic Forum, sulle rive giordane del Mar Morto. Di tutti gli appuntamenti annuali regionali, quello che il WEF dedica al Medio Oriente è quasi sempre emergenziale. In quelli sull’America Latina si parla solo di crescita (anche Paesi come il Perù e la Colombia ormai si sviluppano con una certa stabilità). Pensate in Estremo Oriente cosa erano una volta e cosa sono oggi la Corea del Sud e il Vietnam. Pochi giorni prima del forum sul Mar Morto, l’incontro di Capetown dedicato all’Africa aveva discusso su come creare le infrastrutture necessarie per alimentare la crescita in corso nel Continente Nero.
Sul Mar Morto, invece, John Kerry è venuto a tentare di ridar animo al processo di pace israelo-palestinese, posto non sia già morto; nessun importante leader arabo è venuto a parlare dei suoi problemi; sulla Siria si allargavano braccia rassegnate; la Giordania ha portato il suo problema di Paese senza risorse che tuttavia non rimanda mai indietro i profughi delle tragedie circostanti: i palestinesi, gli iracheni, i siriani. Nonostante la forte ripresa della sua produzione petrolifera, di Iraq si parlava come di una terra incognita di faide settarie. Di economia, disoccupazione giovanile, sistemi scolastici da riformare non si è potuto che fare un po’ di esercitazioni teoriche.
Rami Khouri, americano-palestinese-libanese, professore all’American University di Beirut, lucido e distaccato editorialista del Daily Star libanese, spiega così questo eccezionalismo peggiorativo: “Le cause reali della predisposizione alla combustione del mondo arabo restano la disfunzione dei moderni Stati arabi e dei governi centrali, l’ascesa degli Stati polizieschi e dei regimi militari, le ripercussioni del conflitto centenario sionismo-arabismo e la continua condizione del Medio Oriente di campo di battaglia per procura di potenze regionali ed esterne”. Non sembra ci siano vie d’uscita.
Come “corrobortante”, allego l’intervista a uno dei dirigenti di Hezbollah che ho fatto a Beirut e uscita domenica 2 giugno sul sito del Sole-24 Ore
http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-06-01/hezbollah-aspetteremo-assad-facciano-16381…
http://ugotramballi.blog.ilsole24ore.com/slow-news/2013/06/lo-scisma-delle-primavere.html
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