admin | July 1st, 2011 – 5:48 pm
Ci sono un po’ di cose che succedono, unite dal filo rosso della nonviolenza. Strano, vero, se si pensa a come il Medio Oriente sia diventato – nei cliché – icona di conflitto, violenza, armi, jet, bombe, morti. Una delle cose che sta succedendo è che a Bil’in deve essere smantellata un pezzo della barriera di sicurezza, dopo il pronunciamento della Corte suprema israeliana. Un successo del Comitato Popolare di Bil’in, villaggio palestinese cisgiordano che da anni è a sua volta simbolo della resistenza nonviolenta contro il Muro di Separazione.
Dalla Cisgiordania a Gaza. Una delle imbarcazioni della Freedom Flotilla, per la precisione quella statunitense, sta cercando di uscire dalle acque greche, e forzare così la mano alle autorità di Atene. E’ l’ultimo anello in ordine di tempo, da aggiungere al braccio di ferro in corso da giorni tra Israele e la Freedom Flotilla. Una catena di eventi di cui fanno soprattutto parte i sabotaggi di 3 delle 10 navi che compongono la Flotilla. Sull’imbarcazione canadese c’è anche Amira Hass, coraggiosa come sempre.
Un piccolo accenno al Marocco, impegnato in un referendum su di una riforma costituzionale che otterrà probabilmente l’imprimatur di coloro che andranno a votare, ma che altrettanto probabilmente vedrà una consistente astensione. Tanto per segnalare che i processi democratici, dovunque essi si svolgano, prevedono altre tappe. In primis, quella di una costituzione non verticistica, ma frutto di un consenso popolare ampio, evidente, profondo. Come quello che vi fu attorno alla nostra, di Costituzione.
E di costituzione si ragiona molto anche in Egitto (l’analisi di Issandr el Amrani è come sempre molto acuta, e va in una direzione che condivido dalla prima all’ultima riga). Certo, si discute di costituzione, in una transizione che si fa ogni giorno di più difficile e delicata, mentre fiammate di violenza segnano i passi determinanti della democratizzazione. Gli oltre mille feriti negli scontri di martedì e mercoledì scorsi sono, per esempio, il segno che ora si sta entrando nel periodo veramente difficile. La dinamica degli scontri non è ancora chiara, ma alcuni messaggi sono invece evidenti. Il primo: le gang pagate dal precedente regime sono ancora in azione, dicono i testimoni, ed entrano in azione proprio quando si riescono a prendere alcune decisioni, come – in questo caso – la scioglimento dei consigli comunali attraverso la sentenza di un tribunale amministrativo. L’azzeramento dei municipi significa una picconata al potere del vecchio partito dei Mubarak, ancora diffuso in maniera capillare sul territorio. Secondo messaggio: i ragazzi di Tahrir non hanno alcuna intenzione di indietreggiare sulla questione dei diritti umani, civili, individuali. Lo scontro (questa volta, invece e come sempre, nonviolento) con il Consiglio Militare Supremo è proprio su questo punto, cruciale, crucialissimo. E la questione della protezione dei diritti, compreso il diritto alla giustizia, è il motivo per il quale oggi ci sono state manifestazioni in cinque governatorati. Manifestazioni per chiedere che i responsabili degli uccisioni, durante la rivoluzione, di centinaia e centinaia di ragazzi siano portati in tribunale e condannati. Può sembrare, questa, una questione di minore importanza rispetto alla transizione, alla legge elettorale, alla costituzione, alla crisi economica. E’ invece stata la piattaforma della rivoluzione, la spinta ineludibile, e dunque anche l’anima sulla quale la democrazia si può costruire. Non bisogna mai dimenticarlo, quando ci si occupa di rivoluzioni arabe. Così come quando ci si occupa di noi.
E’ solo usando questa lente che si può mettere insieme tutto: la Palestina dei comitati popolari e della Freedom Flotilla, il Marocco del movimento 20 febbraio che osteggia il modo in cui re e corte reale hanno deciso la riforma costituzionale, l’Egitto dei ragazzi che scendono in piazza contro il Consiglio Militare Supremo e il ministro dell’interno.
La foto del poster è quella di Bassem, ucciso da un candelotto lacrimogeno lanciato dagli israeliani durante una delle manifestazioni nonviolente che per anni si sono succedute a Bil’in.
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