…Ma si è dedicato al bene del suo Paese!

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di Michele Giorgio

Era la metà degli anni ‘90 quando, prendemmo parte a un tour in Cisgiordania davvero speciale e inquietante. A guidarlo c’era Ariel Sharon, il falco della destra israeliana che una dozzina di anni prima in Libano era stato accusato di aver «lasciato fare» alle milizie falangiste cristiane che avevano massacrato circa tremila profughi palestinesi nei campi di Sabra e Shatila a Beirut.
In quel tour a cavallo tra la «pace di Oslo» e la Seconda Intifada, Sharon guidò una quarantina di giornalisti su e giù per le colline della Cisgiordania occupata, tra le recinzioni di quelle colonie ebraiche contrarie al diritto internazionale di cui era stato un acca¬nito sostenitore, ripetendo a più riprese e con tono fermo: «Posso assicurarvi che nessun governo israeliano rinuncerà a questa porzione di terra». Aveva ragione. Tutti quei territori che definì «incedibili», rientrano oggi nelle ampie parti di Cisgiordania palestinese che il governo Netanyahu in carica (ma anche quelli precedenti) intende annettere a Israele. Sharon cono¬sceva bene il pro¬getto «nazionale» a lungo termine. Era parte integrante dell’establishment, condivideva con gli “avversari” laburisti le ambizioni strategiche di Israele. Sharon per tutta la sua vita ha pienamente rappresentato Israele. Più del premio Nobel Shimon Peres, ora capo dello stato, chiamato a dare una voce e un volto rassicurante al Paese con le forze armate tra le più potenti al mondo, che ogni anno esporta armi per miliardi di dollari, che occupa da oltre 46 anni un altro popolo. Sharon non aveva problemi ad accettare questa realtà, anzi la rivendicava. Peres invece l’ha mascherata con una retorica pacifista che convince i governi occidentali ma che non trova riscontro nella realtà oggi ben rappresentata dal governo di destra di Benyamin Netanyahu.

(Il Manifesto, 12 gennaio 2014)

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