admin | March 23rd, 2011 – 10:20 am
La festa della mamma, nel mondo arabo, si celebra all’inizio della primavera. Due giorni fa, per la precisione. Nel mio girovagare per il Cairo che si è aperto alla libertà, sono arrivata al Sawi cultural centre di Zamalek proprio mentre cominciava una particolare celebrazione della festa della mamma. Per le madri dei martiri di piazza Tahrir e delle tre settimane della rivoluzione egiziana.
Le madri sono arrivate alla spicciolata, accompagnate da figli, mariti, parenti. Vestite tutte di nero, assieme alla foto incorniciata dei figli che sono morti. Chiamate sul palco, è stato consegnato loro un piccolo pacco, un abbraccio. Alcune di loro hanno trovato la forza di parlare al microfono, con quel dolore sommesso e incolmabile che solo una madre può provare. Altre hanno nascosto la commozione tirandosi su un lembo del velo nero. Al loro posto, hanno parlato mariti, figli, figlie.
Per chi, come me, non è stata a Tahrir durante la rivoluzione, è stato un modo per vedere il catalogo sociale dei ragazzi che hanno fatto la Thawra. Non c’erano solo genitori medio-borghesi, gli intellettuali, i professionisti. C’era la gente povera del Cairo, il popolo umile e dignitoso, che sapeva benissimo perché i propri figli sono morti.
A parlare con gli egiziani delle più diverse provenienze, i sentimenti ora si mescolano. Esprimono un orgoglio che prima era stato soppresso, nello stesso tempo il timore che il regime provi in qualche modo a resistere, a sopravvivere. Temono una deriva settaria, sanno che – se ci sarà – sarà uno dei tentativi di quella che chiamano controrivoluzione. Parlano pochissimo della Libia, anzi, per nulla. Continuano a parlare della politica interna, perché la ri-costruzione dell’Egitto è una priorità che non ammette distrazioni.
Sono ottimista, nonostante i timori.
La foto è di Ramy Raoof, uno dei ragazzi di Tahrir, 24 anni, informatico, attivista di diritti umani. Da Flickr.
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