Proprio così. Questa era la sfida dei popoli antichi: tutti si affacciavano sullo stesso mare per incontrarsi ed arricchirsi reciprocamente e questa è oggi la vergogna di tanti popoli che declinano quel “nostrum” solo come il sentirsi gli unici padroni del Mediterraneo, trasformandolo ora in un muro, ora in un cimitero. Così per esempio, per l’Italia il problema è poter schierare le navi della Nato davanti alle coste africane usando ancora meglio i soldi spesi per fare la guerra in Libia, facendo così la guerra contro persone in cerca di futuro.
Ma ci sono altri Paesi ancora più abili. In particolare lo stato d’Israele è sinceramente convinto di dover avere il pieno controllo per terra e per mare, ovviamente per motivi di sicurezza. E di conseguenza, l’impunità assoluta che l’ha sempre garantito da qualsiasi accusa sulla terra di Palestina, deve valere in assoluto anche in mare.
In realtà non è la prima volta. Ne sanno qualcosa i pescatori di Gaza, a cui è illegalmente impedito di pescare nel loro mare nelle miglia garantite dalla legge, solo perchè Israele ha da anni deciso diversamente, senza subire nessuna contestazione dalla comunità internazionale quando ordina alle sue motovedette di sparare ai pescatori.
Ma da qualche settimana abbiamo assistito ad un’altra dimostrazione di questa indiscutibile proprietà israeliana non solo del mare antistante la Striscia, ma addirittura di… tutto il Mediterraneo: alla luce del sole, su preciso ordine di Israele, il governo greco ha illegalmente bloccato tutte le navi internazionali della Freedom Flotilla in partenza per Gaza.
Un ordine chiaramente assurdo, per il quale si è dovuto scomodare una norma navale che, in caso di guerra marittima, autorizza a fermare una nave destinata a compiere operazioni ostili, cioè atti di guerra. In realtà, lo stesso ordine ufficiale di divieto di salpare, nemmeno cita tale norma, dato che chiunque sorriderebbe ad intravvedere “atti ostili” negli scatoloni di farina e viveri, confondendo armi da guerra con le carrozzelle destinate agli handicappati.
La piscina privata di Netanyahu
Giorno dopo giorno e soprattutto dopo che il ministro degli esteri in persona Lieberman ha ringraziato ufficialmente i governi europei per la collaborazione gentilmente concessa a Israele, il mondo ha capito perfettamente l’incredibile situazione che solo Israele poteva permettersi di inventare e gestire nel silenzio complice della comunità internazionale.
Certo, le proteste sono arrivate da ogni parte del mondo ma nessun capo di stato, da Obama in giù, si è permesso di infastidire chi, d’altra parte, si sa bene quanto da quasi cent’anni sia abituato a farsene un baffo di qualsiasi legge internazionale.
“Gigantesco e ingiustificabile abuso”, “attentato alla libertà di circolazione di uomini e merci, del quale in Europa non si ricordano precedenti nell’epoca moderna”, “grave sospensione del diritto internazionale ed europeo”.
Ma la più efficace definizione della realtà dei fatti è quella di chi si è augurato che qualcuno ricordi a Netanyahu che il Mediterraneo non è… la piscina di casa sua.
Se l’americano John Klusmire, capitano della nave statunitense «Audacity of hope», è stato portato in carcere, forse per il carico di cui era responsabile: una sessantina di anziani cittadini Usa di religione ebraica, “realmente considerata alla stregua di un pericoloso covo di terroristi di Hamas”, Vauro ha definito giustamente tutte le centinaia di pacifisti in attesa di partire “prigionieri, come in una guerra. Una guerra di logoramento fatta prima di ostacoli burocratici frapposti alla partenza, poi dichiarata ufficialmente con l’applicazione da parte greca di leggi emergenziali che sospendono il diritto internazionale ed europeo”. E lo stesso Vauro descrive la sfrontatezza di Lieberman “una beffa alla dignità istituzionale di governi che si sono piegati alle pressioni e ai ricatti israeliani fino a sacrificare agli interessi di questi ultimi il diritto dei propri cittadini ed al Consiglio europeo tutto che non è stato capace di far sentire la propria voce a fronte di tali violazioni. Chissà almeno che questa vicenda abbia l’effetto di rendere chiaro agli occhi dell’opinione pubblica mondiale il livello di connivenze, complicità, sudditanze che rafforzano la convinzione di impunità sulla quale il governo israeliano conta per proseguire la sua politica di repressione cieca e violenta delle istanze di libertà della popolazione palestinese” (Il Manifesto, 5 luglio)
“… di terra, di mare, di cielo!”
Oltre al decennale totale controllo di Israele sulla terra palestinese, e più nascosto del suo controllo sul mare, negli ultimi giorni abbiamo avuto anche un’altra “esercitazione internazionale” dello stato d’Israele per monitorare il suo controllo assoluto anche nei cieli.
In realtà non è la prima volta. Ne sanno qualcosa le migliaia di pellegrini italiani in partenza tutti i giorni per la terra santa quando, durate gli estenuanti e umilianti controlli dei funzionari, ad un certo punto si accorgono che un’intera area dell’aeroporto (accade per esempio a Verona, a Bergamo, ecc.) è stata ceduta dallo stato italiano direttamente a quello israeliano, perdendo noi la sovranità sul nostro territorio. BoccheScucite è in possesso di testimonianze dirette di cittadini italiani costretti improvvisamente a sottostare, sul suolo italiano, alle angherie della sicurezza israeliana e -ancor più grave- alla rassegnata ammissione di questa incredibile usurpazione di potere dovuta ad “un favore concesso solo ad Israele”. (ammissione questa dichiarata dai carabinieri italiani interpellati in aeroporto, ridotti ad impotenti marionette).
In questi giorni il controllo e il possesso israeliano anche dello spazio aereo si è materializzato contemporaneamente in diversi aeroporti di ogni parte del mondo, lì dove sono stati illegalmente bloccati centinaia di cittadini che, con regolare biglietto e documento, stavano per partire per Tel Aviv. Erano partecipanti all’iniziativa “Benvenuti in Palestina”, una missione organizzata dalla società civile palestinese con centinaia di internazionali. Mentre alcuni sono stati fermati negli aeroporti delle loro città europee, alla maggioranza è stata riservata un’accoglienza particolare, tra Ramleh e Beersheba, nelle carceri dove sono stati trasferiti l’8 luglio.
Ovviamente per la versione estiva dei TG italiani non poteva avere nessun rilievo la “detenzione arbitraria di più di 80 persone nella prigione di Ramleh, una gravissima restrizione della libertà di movimento ben oltre al blocco di esso nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania”. Il duro giudizio è di Addameer, associazione per i diritti umani di Ramallah che si prende cura dei prigionieri.
Secondo la legge israeliana si può vietare l’ingresso del non-cittadino israeliano. Ma questo può avvenire solo per una singola persona e dopo che le è stata comunicata la motivazione precisa del rifiuto. Addameer sostiene invece che si è trattato di una decisione premeditata, applicata collettivamente e arbitraria nei confronti di un intero gruppo al fine di impedire loro di esercitare pacificamente il loro diritto alla libertà di opinione, espressione e di associazione. Non soddisfatte di limitare arbitrariamente la loro libertà di movimento, le autorità israeliane hanno anche maltrattato molti degli internazionali durante la loro detenzione nella prigione di Ramleh tra il 9 e il 12 luglio: alcuni hanno riferito di essere stati lasciati per più di un giorno senza cibo né acqua, altri di essere stati picchiati durante gli interrogatori, altri ancora chiusi per più di mezzora in un furgone con il riscaldamento acceso.
State tranquilli, nessuna di queste accuse arriverà mai sui tavoli delle nostre diplomazie, impegnate da sempre a difendere Israele senza se e senza ma.
Lo sanno bene i politici italiani che hanno accolto con entusiasmo il dono fatto dall’ambasciata israeliana in Italia: un viaggio in terra santa per far conoscere Israele ai giovani politici italiani di destra come di sinistra.
Ovviamente l’aspetto più significativo del viaggio è che l’itinerario assolutamente non prevede alcuna visita o incontro con palestinesi dei Territori Occupati. Ma ancor più importante è il fatto che a questi giovani italiani hanno scritto altri giovani italiani, cooperanti e impiegati nelle Ong ( italianinterrasanta@gmail.com ):
“Siamo un gruppo di cittadini italiani. Per motivi diversi, dal lavoro allo studio alla solidarietà. Chiediamo ai nostri coetanei che stanno partecipando all’iniziativa di aprire gli occhi e notare chi saranno i grandi assenti del loro viaggio. Nonostante i tentativi di Israele di impedire il libero accesso ai Territori Palestinesi Occupati oltre il muro, esistono un mondo e un tessuto sociale che devono essere conosciuti per poter far sì che la politica italiana dia un contributo sincero alla pace”
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