Martini, uomo di dialogo fra le fedi e non fra gli stati…

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di Norberto Julini

Ad un anno dalla morte del Cardinal Martini, maestro e guida per tutti noi nel difficile cammino del dialogo fra fedi e culture in nome della dignità dell’uomo, resto turbato dalla lettura dell’articolo apparso lo scorso 16 giugno su questo autorevole ed apprezzato settimanale col titolo “Una foresta in Israele in nome del card. Martini.”

In esso si dà conto di un’iniziativa che, nel ricordare l’illuminato contributo del Cardinale per il dialogo fra cristianesimo ed ebraismo, introduce una sostanziale equivalenza fra ebraismo e sionismo, sovrapponendo i piani della fede e della storia, della religione e della politica. (…) L’ebraismo è una fede ed una religione, il suo prodotto è la Bibbia, la parola di Dio secondo le tre religioni del libro il suo prodotto è una cultura umanistica a dimensione universale, la più feconda di benefici filosofici, letterari e scientifici, se la si vuol misurare col numero di premi Nobel che sono stati assegnati ai suoi figli e nostri fratelli.

Il sionismo è una dottrina politica sorta alla fine dell’800 in un contesto europeo pienamente colonialista, elaborato in un ambito di cultura laica di non credenti da Hertzel a Ben Gurion, teso a realizzare il progetto storico concreto di uno “stato ebraico”in terra di Palestina, allora provincia remota e povera dell’impero ottomano, abitata da popolazioni arabe di religione musulmana e cristiana, accanto ad esigue minoranze ebraiche. Il suo prodotto è lo stato d’Israele, reso possibile dalla spartizione della Palestina in parti diseguali con un voto dell’ONU. Ragioni geopolitiche mondiali che sono state ampiamente documentate e la pesante macina da mulino al collo dell’Europa, colpevole dell’abominio chiamato Shoah, resero possibile e quasi moralmente fondato quel voto.

(…) Va bene che la fondazione Maimonide, costituitasi a Milano nel 2007 in nome del grande filosofo di Cordoba, che seppe mettere a confronto la propria forte cultura ebraica con quella greca ed islamica in una prospettiva universale ed umanistica, sia promotore dell’iniziativa in ricordo del Cardinale, ma ancora una volta i piani si confondono a danno della buona intenzione, quando viene chiamato il Fondo Nazionale Ebraico a realizzare la foresta intitolata al Cardinal Martini e nello specifico il Keren Kayemeth Leisrael, braccio operativo del sionismo politico, creato nel 1901 per raccogliere i fondi necessari “al riscatto della Terra d’Israele”, nei decenni fondatore d’insediamenti abitativi a “dimostrazione dell’appartenenza di quella terra di Palestina allo Stato d’Israele”, che dichiara fra i suoi ultimi progetti quello denominato “strade sicure” per assicurare “ il passaggio indenne di residenti e militari sulle strade di confine che sono costantemente sotto il tiro dei cecchini di Gaza.” Quella stessa città considerata dal Cardinal Martini “la più grande prigione a cielo aperto al mondo”.

Nel corso della manifestazione a Tiberiade nello scorso mese di giugno, l’Ambasciatore italiano a Tel Aviv Francesco Talò ha dichiarato fra l’altro come piantare un albero sia un atto di fiducia verso l’avvenire.

Vorrei dunque domandargli con severità come consideri l’atto di…sradicare un albero, che è pratica quotidiana ad ogni insediamento coloniale israeliano in Cisgiordania e per ogni passo quotidiano d’inesorabile avanzamento del muro di annessione.

E quale giudizio possono avere d’Israele e del suo e loro futuro le 66 famiglie della parrocchia latina di Bet Jala, Betlemme, che stanno per vedere estirpare i loro uliveti sulla collina di Cremisan allo scopo di far avanzare il muro di annessione e di separazione in costruzione dal 2004 che li priverà delle terre e della libertà.

Provvederà poi la stessa Kereth Kayemeth LeIsrael, onlus italiana, a piantare pini o querce, ma non per il riscatto di quella terra quanto piuttosto per occultarne le ferite. Allo stesso modo infatti sono stati creati parchi “naturali “, come il parco Canada nei pressi di Emmaus per occultare le rovine del villaggio palestinese distrutto nel 1967, le cui sparse fondazioni vengono indicate come “rovine romane”. (…)

Lo stesso Cardinale, scrivendo la prefazione al libro “La Terra, la Bibbia e la Storia”di Marchadur e Neuhaus (Jaca Book) ancora s’interrogava: “ Come rispondere ai nostri giorni alle rivendicazioni ebraiche sulla terra che si appoggiano ai testi della Scrittura? Che giudizio formulare sul fatto che parte di questa terra è divenuta nel 1948 lo stato di Israele? Come riconoscere, anche nella lettura della Bibbia, i giusti diritti del popolo palestinese, privato della propria sovranità e della propria libertà, e sottoposto al ingiuste vessazioni? In che modo debbono impegnarsi i cristiani per la pace e la giustizia in Terra santa? Come debbono rispondere alle rivendicazioni sia degli israeliani, sia dei palestinesi, senza ledere gli interessi legittimi degli uni e degli altri?”

Considero che quant’altro si voglia aggiungere a questa confessione può far torto alla memoria del Cardinal Martini, al quale non dobbiamo imporre alcun reclutamento postumo.

Restano le domande, resta la chiamata di responsabilità a ciascuno di noi per farsi una retta opinione ed agire di conseguenza.

Egli è stato voce profetica del nostro tempo e fu testimone attivo nel dialogo fra le fedi, non fra gli stati. Gli dobbiamo rispetto e riconoscenza.

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