Modello israeliano e terrorismo islamico

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L’abbiamo incontrato nel cuore della Old City di Gerusalemme. Il prof. Shuldiner non è solo docente del Sapir College a Sderot, ma anche fine intellettuale ebreo israeliano che sa collocare acutamente Israele nel contesto mondiale e individuare originalissime chiavi di lettura del presente. Ecco l’ultimo suo contributo all’analisi politica mediorientale

Modello israeliano e terrorismo islamico
di Zvi Shuldiner

“Terrorismo islamico”: in generale le analisi, le notizie e le discussioni sul difficile periodo che stiamo vivendo, con atti di terrorismo che uccidono tanti innocenti, ricorrono a questa definizione, diffusa e accettata. Si impone una riflessione sul significato.
Il 2 agosto 1980 a Bologna 85 persone morirono in un feroce attentato i cui mandanti sono tuttora ignoti. Due anni prima a Roma era stato assassinato Aldo Moro. In Israele nel 1994, un medico ebreo, religioso osservante, pieno di valori nazionalisti, nel tentativo di eliminare gli effetti «nocivi» dell’accordo israelo-palestinese del 1993, uccise 29 palestinesi nella moschea di Hebron.
In Israele nel 2011, in nome di valori purissimi, bianchi e cristiani, un tal Breivick uccise 77 giovani.
Pochi mesi fa Omar Mateen, musulmano, forse nascostamente omosessuale e frustrato, ha ucciso 46 persone a Orlando negli Stati Uniti. Non si è mai parlato e non si parla di terrorismo cristiano, e nemmeno di terrorismo ebraico. Risparmiamo una lunga lista di episodi analoghi e ricordiamo che quando cento, mille o milioni di persone sono stati bombardati o liquidati «legalmente» per mano del terrorismo di Stato, nei lager nazisti o con la guerra in Vietnam e Cambogia, Panama, Ruanda, Gaza, non si è parlato di terrorismo in termini di affiliazione religiosa. Adesso, invece, tutti parlano di terrorismo islamico, come se un miliardo e mezzo di musulmani fossero infettati dal demonio terrorista.
La destra che negli Usa e in Europa, in Italia e in Israele usa questo linguaggio e cerca «metodi più efficaci per la lotta contro il terrore» è un’alleata simbiotica dell’Isis. Fa un vero regalo a quest’organizzazione già in declino, il cui primo obiettivo è liquidare gli eretici islamici. Infatti l’Isis vede come propria vittoria ogni «bravo» occidentale che parli di terrorismo islamico, perché il primo obiettivo è un muro fra i musulmani e gli altri.
Ogni passo che tedeschi, statunitensi, francesi o italiani fanno nel senso di una repressione ai danni delle popolazioni musulmane, è un passo nella direzione voluta dai fondamentalisti dell’Isis – e dalla destra europea che si alimenta dell’odio razziale.
È un passo in più verso la creazione di una divisione netta fra i musulmani e le altre popolazioni. Così sarà più facile reclutare altri adepti per la guerra santa.
Le sconfitte sul campo in Iraq e Siria negli ultimi mesi per l’attacco concertato di diversi stati – non sempre alleati, musulmani e non – sono state di sprone al tentativo di attaccare l’Occidente o di attribuirsi la
paternità di attentati.
I terroristi sono coscienti dell’effetto provocato: la politica della paura porta a una maggiore repressione nei confronti dei musulmani;
tutti diventano sospetti. Questo contribuisce ai disegni della destra in Occidente e dei fondamentalisti islamici: si alimentano a vicenda. La criminale stoltezza della destra occidentale non è diversa dal criminale cinismo della destra in Israele.
Chi pensa di imporre in Europa il nostro modello dovrebbe riflettere su alcune delle sue caratteristiche.
Israele ha sviluppato una serie di sistemi vedi sicurezza sofisticati. Il coordinamento, la tecnologia, le armi e l’addestramento di corpi scelti, soldati, agenti segreti e poliziotti sono all’insegna di modernità e efficienza.
Si è in grado all’occorrenza di decifrare messaggi su Facebook e individuare chi voglia sacrificarsi in nome di Allah, prima che lo faccia. Come funziona il sistema? Dal 1948, centinaia di migliaia di palestinesi, oggi il 20% degli israeliani, sono cittadini di Israele, ma cittadini di seconda classe, sospettati di non essere leali al paese; una situazione che sta peggiorando, con innumerevoli atti di razzismo, aggressioni, scontri. Dal 1947, quattro milioni di palestinesi nei territori
occupati vivono sotto occupazione militare, privati dei diritti politici più elementari, senza che i loro elementari diritti umani siano davvero difesi.
Nei territori occupati, spogliati delle loro terre, in lotta per l’acqua, per il lavoro, per il diritto di spostarsi da un luogo a un altro, confrontati con la promessa di una soluzione politica che la destra israeliana e i suoi alleati fondamentalisti non vogliono, i palestinesi hanno cercato la liberazione nella lotta: con mezzi pacifici o usando il terrore. La ribellione – Intifada delle pietre – iniziata nel 1987, la seconda Intifada del 2000. E adesso l’Intifada di individui isolati, armati di coltello, di forbici, bambini di 14 anni, donne, disperati, disposti a morire.
Nelle due prime Intifade, in alcuni casi gli attacchi terroristici furono terribili e presero di mira civili israeliani, in luoghi pubblici, su mezzi di trasporto. Il numero di vittime fu molto alto e portò a rafforzare la politica della paura, giustificando una repressione feroce che non mirò solo ai terroristi ma provocò innumerevoli morti palestinesi
innocenti.
Nell’estate 2004, la guerra santa israeliana costata la vita a 73 israeliani, fra cui 67 soldati, assassinò oltre 2.200 palestinesi a Gaza; circa 500 erano bambini. Gli attivisti di Hamas erano forse 800. Solo fra i fondamentalisti ebrei si può trovare chi giustifichi davvero questa «guerra al terrore».
Il modello israeliano che tanto affascina oggi gli europei è solo una nuova manifestazione della cecità della destra là e qua. La nostra grandissima efficienza – lo confermano i nostri più importanti militari – non consente comunque di prevedere quando disperazione, frustrazione, odio accumulato possano portare una persona all’esplosione terrorista. Senza una base organizzativa.
Senza complici. Bisognerebbe penetrare nella sua mente, nella sua anima…
L’esercito e i migliori esperti e agenti segreti ci rivelano vieppiù questo «segreto di Pulcinella». In Israele oggi queste figure sono più moderate dei politici e dei provocatori dell’enorme ondata antiaraba, razzista e fondamentalista che minaccia le radici stesse della società israeliana.
Sì, l’Occidente dovrebbe analizzare bene quel che accade qui. La disumanizzazione porta all’odio e all’esasperazione. Il fondamentalismo dell’Isis sembra volere quello che in Israele vogliono alcuni fondamentalisti palestinesi e i fondamentalisti ebrei: accentuare la separazione, erigere nuovi muri di odio per portare alla guerra redentrice, con i colori dell’Isis o con quelli delle destre europee o israeliane.
È molto difficile indurre all’azione la sinistra e le forze progressiste – anche in Israele gravemente indebolite. Si può andare nella giusta direzione solo negando gli elementi di base del razzismo, stabilendo un
dialogo vero, anche interconfessionale, senza condizioni, senza «simpatie artificiali» con chi adotta ideologie fondamentaliste, senza accettare il terrore anti-umano che colpisce innocenti e alimenta la politica della paura.
Imparare dal modello israeliano della disumanizzazione del prossimo può portare solo a un vicolo cieco. Sanguinoso, terribile.

4 agosto 2016

 Zvi Shuldiner

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