di G.Solera
“Nelle storie personali raccontate, nei diari di viaggio dalle città dei Territori occupati e di Israele, negli incontri con i prigionieri morali e materiali di questo conflitto, ebrei e arabi, c’è un muro che cresce e guadagna metri, dividendo madri e bambini, oppressori e oppressi. Ma tra i muri ritroviamo fessure che le persone di buona volontà, o quelle che disperatamente cercano di vivere con dignità, sanno vedere. E passarci attraverso”.
Ci prova Gianluca Solera, l’autore di questo volume ponderoso e complesso, pieno di informazioni dal vivo. Nato sul Garda, con un nome sefardita di origine spagnola, Consigliere politico, per anni, del Parlamento europeo a Bruxelles, attuale Coordinatore delle reti della Fondazione euromediterranea Anna Lindh ad Alessandria d’Egitto, ha già pubblicato “Di città in città”, Poesie sull’Europa nel 1995. Nell’estate del 2004 parte per la Palestina e tra andate e ritorni la percorre per un paio d’anni.
Un Paese, la Palestina, che per qualcuno non esiste. Al check-point di Qalandiya , sulla strada per Ramallah, “che vai a fare di là”, gli dice un giovane soldato con le lentiggini, “Non c’è niente da vedere!”. “Arrivato a Gerusalemme quasi per caso”, ci informa Solera, “mi sono sentito dopo poche settimane prigioniero di una terra, che, in cambio della mia libertà, chiedeva che facessi parlare la sua gente”.
Nel capitolo “Muri e cancelli” una prima domanda fondamentale “Che cos’è il muro? E’ la personificazione dell’indifferenza, l’indifferenza di chi vive dalla parte giusta, del Grande Israele, e non crede necessario sapere che dietro il cemento ci sono altri uomini, donne e bambini che mangiano, lavorano giocano e fanno all’amore”.
Munira vive nel villaggio di Mas-ha, con sei figli ed il marito Hani in una gabbia, che è la sua casa con una barriera metallica davanti…una prigione a cielo aperto senza più accesso alle loro terre”.
L’occupazione però non premia nessuno. Anche gli israeliani pagano un prezzo sociale altissimo per il perdurare dell’occupazione. E i palestinesi, che anno avuto la loro diaspora e una discriminazione etnica, spesso sono anche cristiani. E la Terra Santa…”è una comunità umana che lotta per la giustizia e per la pace, contro i fondamentalismi politici e religiosi”. E al calar delle tenebre, chiusi i chek-point e asciugate le lacrime, si accontenta dei piccoli piaceri, come lo za’tar (il timo) nell’olio d’oliva, in cui si intinge il pane.
Ci sono poi spazi dedicati a “Vittime e prigionieri”… “i soldati mi interrogano da 28 giorni…minacciano di punire la mia famiglia…temo per i miei figli. Un soldato mi tiene legata a una sedia, non posso dormire; se reclino la testa mi gettano acqua fredda”. E altri aspetti del problema ben sviluppati e chiari per chi legge e non conosce a fondo i problemi, perché il viaggio di Solera è diretto e immediato, non è un tour organizzato per turisti e folclore.
E nella seconda e terza parte del volume, la “Voci che si alzano” gli Uomini di Chiesa, “Morte e resurrezione di un popolo” e “Il mestiere del cittadino, il mestiere del pellegrino” invitano non solo a leggere ma a studiare, tanto è il materiale esposto e a cercare fuori da soliti schemi. O a fare un viaggio (ne facciamo tanti di inutili) da quelle parti, magari uno solo ma indispensabile per capire
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