Né muri né baluardi di Filippo Landi

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“Nei Territori palestinesi la vita è molto difficile, spesso insostenibile. Pur condannando la violenza da dovunque provenga, esprimiamo solidarietà al popolo palestinese, la cui situazione attuale favorisce il fondamentalismo. Uno stato che si definisce unica democrazia in medio oriente non può fare una legge come quella in via di approvazione in questi giorni.” (Antonios Naguib patriarca di Alessandria d’Egitto, relatore generale al sinodo, 11 ottobre 2010). E’ perlomeno significativo che, pur nella complessità delle diversissime aree che verranno messe a fuoco nel Sinodo dei Vescovi che si apre in questi giorni a Roma, l’incipit sia stato dedicato alla Palestina e, coraggiosamente, all’occupazione militare. Ma davvero unica e straordinaria è la lettura che ne dà il corrispondente della RAI a Gerusalemme

Cari amici, il 10 ottobre inizia a Roma il sinodo sul Medio Oriente. Sarà una  occasione per ascoltare testimonianze  e riflettere insieme, in primo luogo   per i vescovi che  giungeranno a Roma e per chi, in questa  città, lì ascolterà.

Credo di poter anch’io spendere qualche  parola per questa occasione. Il mio lavoro di inviato mi ha  portato per prima  volta in Arabia Saudita nel 1991, in occasione della  prima  guerra del Golfo. Da  allora il  Medio Oriente è divenuto sempre  più la  mia casa. Dal 2001 c’è stato poi il passaggio più importante: cittadino del Cairo. E successivamente dal 2003, cittadino di Gerusalemme ed anche  in questo caso insieme alla mia famiglia. Poche annotazioni personali per dire che la  vita, attraverso il lavoro, mi ha  portato a condividere la  vita della gente e dei cristiani al Cairo come  a Gerusalemme.

Occorre partire dalla condivisione della  vita quotidiana per poter esprimere giudizi non superficiali o retorici. Condividere l’esperienza di andare al mercato o  portare tuo figlio in cortile a giocare  con il figlio del portiere. Cercare  e magari litigare con l’elettricista. Discutere con il tuo collega giornalista. Cercare  la scuola per tuo figlio e discutere con le  maestre. Andare a messa. Un elenco lungo che  descrive la  vita nei suoi mille aspetti. Ebbene essere cristiani al Cairo come a Gerusalemme non è un  velo che nasconde questa umanità, semmai  aiuta a vederla e comprenderla, nelle sue speranze e nelle sue sofferenze.  Insomma, ti accorgi di avere davanti  persone  uguali a te.  Cosa c’è di differente, ad esempio,  nel contare i soldi  mentre fai la spesa, o nel tenere per mano tuo figlio sul marciapiede? Cosa c’è di diverso tra  il sorriso di una  ragazza di quindici anni che esce da scuola  e quello di tua figlia quando aveva quell’età? Cosa c’è di diverso tra  la  voglia dei giovani di  trovare un lavoro ed un salario e la  tua stessa voglia quando avevi la  loro età?

Per capire le  persone che  vivono in Medio Oriente non c’è bisogno di grandi sforzi, ma di una  grande  umiltà. E questa umiltà per un cristiano, anche se viene da lontano, dovrebbe essere possibile anche in Medio Oriente. La vecchia espressione popolare “siamo tutti figli di Dio” deve essere recuperata per tutta la saggezza su cui si fonda.

Con questo sguardo su chi ci è accanto il cristianesimo non è una barriera all’incontro con gli altri, fossero pure musulmani. E loro  se ne accorgono. Perché tu guardi,  innanzitutto, all’umanità  delle persone, degli Uomini come amava scrivere Giovanni Paolo II. Così è possibile  l’incontro e le  diverse religioni non sono una  barriera.

Questa è la  mia esperienza. E’ anche se permettete la  strada che ha percorso la Chiesa  da queste parti. Se qualcuno ha deciso  che  la scuola cattolica doveva essere aperta anche  ai bambini musulmani lo ha fatto perché aveva a cuore innanzitutto i bambini, tutti i bambini. Non ha avuto paura che  i propri bambini cattolici fossero contaminati negativamente dalla  presenza di altri bambini di fede diversa. E viceversa. Se i genitori dei bambini musulmani mandano  i propri figli nelle scuole  cattoliche  vuol dire  che  non hanno paura  dei cristiani. Quale enorme ricchezza  umana e culturale sono state e sono le scuole cattoliche in Medio Oriente. Bisogna costruire e ricostruire  su queste fondamenta. Ed anche sulla carità, che  non fa distinzione. Le suore che aiutano le  famiglie povere musulmane sono fonte  di rispetto per il cristianesimo in Medio Oriente.

L’estremismo, che esiste in alcune località del Medio Oriente, si combatte e si vince su questo terreno, mai indietreggiando di un metro su questa strada.

Se qualcuno invece chiede ai cristiani in Medio Oriente, alla Chiesa cattolica tutta, di essere il “baluardo” dell’Occidente e dei suoi modelli culturali e politici , deve essere respinto con forza.  Non possiamo essere infatti il braccio religioso di un’armata “coloniale” che nega l’identità altrui per imporre la propria, e con la beffa di farlo anche in nome della “libertà” e della “democrazia”.

La completa libertà religiosa in tutto il Medio Oriente è un obiettivo da perseguire e che si può raggiungere. Ed anche la libertà di conversione deve essere un altro obiettivo da non abbandonare. In molti paesi del Medio Oriente la libertà religiosa già esiste. In alcuni è tollerata. In pochissimi è combattuta dagli estremisti, come in Iraq. La libertà di conversione invece è generalmente ostacolata, anzi impedita, dal clero musulmano. Come, d’altra parte, dalle comunità cristiane sono ostacolati con forza i matrimoni misti. Eppure, proprio in questi casi, l’amore tra i giovani e la tenacia e l’intelligenza del clero cristiano hanno permesso di superare barriere che sembravano insuperabili. Il muro, fondato sulla coartazione delle libere scelte, deve essere sfaldato dal basso, e nel contempo si deve tenacemente lottare anche “in alto”. Le autorità politiche e religiose musulmane devono essere chiamate ad affrontare questi problemi, che sono richieste ed aspirazioni di persone fatte di carne e di anima. Noi “cristiani, però, dobbiamo avere le carte in regola per poter rivendicare sacrosanti diritti. Impedire in Italia la costruzione delle moschee, farne un problema di sicurezza, e non una manifestazione della libertà religiosa,  mina le fondamenta del nostro stato democratico e  distrugge i nostri valori, in primo luogo la libertà per noi e per tutti.

Non si potrà andare lontano in Medio Oriente, né  le comunità cristiane non potranno vivere e crescere, se noi cristiani, come persone, voltiamo le spalle a chi ci è accanto in queste terre. Nella ricerca, vana, di salvare noi, le nostre famiglie, le nostre istituzioni, le nostre Chiese dai problemi  e talvolta dalle violenze. A Betlemme, dove un bambino di nome Gesù è nato, da anni si fa fatica a mangiare tutti quanti. L’emigrazione è forte. Aiutare la comunità cristiana a resistere è un dovere. Non voltare le spalle a chi vive a Betlemme, con qualunque fede è nato, è un dovere ancora più grande. A Betlemme come in ogni altro luogo del Medio Oriente.

Gerusalemme,  7 ottobre 2010


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