“Nei Territori palestinesi la vita è molto difficile, spesso insostenibile. Pur condannando la violenza da dovunque provenga, esprimiamo solidarietà al popolo palestinese, la cui situazione attuale favorisce il fondamentalismo. Uno stato che si definisce unica democrazia in medio oriente non può fare una legge come quella in via di approvazione in questi giorni.” (Antonios Naguib patriarca di Alessandria d’Egitto, relatore generale al sinodo, 11 ottobre 2010). E’ perlomeno significativo che, pur nella complessità delle diversissime aree che verranno messe a fuoco nel Sinodo dei Vescovi che si apre in questi giorni a Roma, l’incipit sia stato dedicato alla Palestina e, coraggiosamente, all’occupazione militare. Ma davvero unica e straordinaria è la lettura che ne dà il corrispondente della RAI a Gerusalemme
Cari amici, il 10 ottobre inizia a Roma il sinodo sul Medio Oriente. Sarà una occasione per ascoltare testimonianze e riflettere insieme, in primo luogo per i vescovi che giungeranno a Roma e per chi, in questa città, lì ascolterà.
Credo di poter anch’io spendere qualche parola per questa occasione. Il mio lavoro di inviato mi ha portato per prima volta in Arabia Saudita nel 1991, in occasione della prima guerra del Golfo. Da allora il Medio Oriente è divenuto sempre più la mia casa. Dal 2001 c’è stato poi il passaggio più importante: cittadino del Cairo. E successivamente dal 2003, cittadino di Gerusalemme ed anche in questo caso insieme alla mia famiglia. Poche annotazioni personali per dire che la vita, attraverso il lavoro, mi ha portato a condividere la vita della gente e dei cristiani al Cairo come a Gerusalemme.
Occorre partire dalla condivisione della vita quotidiana per poter esprimere giudizi non superficiali o retorici. Condividere l’esperienza di andare al mercato o portare tuo figlio in cortile a giocare con il figlio del portiere. Cercare e magari litigare con l’elettricista. Discutere con il tuo collega giornalista. Cercare la scuola per tuo figlio e discutere con le maestre. Andare a messa. Un elenco lungo che descrive la vita nei suoi mille aspetti. Ebbene essere cristiani al Cairo come a Gerusalemme non è un velo che nasconde questa umanità, semmai aiuta a vederla e comprenderla, nelle sue speranze e nelle sue sofferenze. Insomma, ti accorgi di avere davanti persone uguali a te. Cosa c’è di differente, ad esempio, nel contare i soldi mentre fai la spesa, o nel tenere per mano tuo figlio sul marciapiede? Cosa c’è di diverso tra il sorriso di una ragazza di quindici anni che esce da scuola e quello di tua figlia quando aveva quell’età? Cosa c’è di diverso tra la voglia dei giovani di trovare un lavoro ed un salario e la tua stessa voglia quando avevi la loro età?
Per capire le persone che vivono in Medio Oriente non c’è bisogno di grandi sforzi, ma di una grande umiltà. E questa umiltà per un cristiano, anche se viene da lontano, dovrebbe essere possibile anche in Medio Oriente. La vecchia espressione popolare “siamo tutti figli di Dio” deve essere recuperata per tutta la saggezza su cui si fonda.
Con questo sguardo su chi ci è accanto il cristianesimo non è una barriera all’incontro con gli altri, fossero pure musulmani. E loro se ne accorgono. Perché tu guardi, innanzitutto, all’umanità delle persone, degli Uomini come amava scrivere Giovanni Paolo II. Così è possibile l’incontro e le diverse religioni non sono una barriera.
Questa è la mia esperienza. E’ anche se permettete la strada che ha percorso la Chiesa da queste parti. Se qualcuno ha deciso che la scuola cattolica doveva essere aperta anche ai bambini musulmani lo ha fatto perché aveva a cuore innanzitutto i bambini, tutti i bambini. Non ha avuto paura che i propri bambini cattolici fossero contaminati negativamente dalla presenza di altri bambini di fede diversa. E viceversa. Se i genitori dei bambini musulmani mandano i propri figli nelle scuole cattoliche vuol dire che non hanno paura dei cristiani. Quale enorme ricchezza umana e culturale sono state e sono le scuole cattoliche in Medio Oriente. Bisogna costruire e ricostruire su queste fondamenta. Ed anche sulla carità, che non fa distinzione. Le suore che aiutano le famiglie povere musulmane sono fonte di rispetto per il cristianesimo in Medio Oriente.
L’estremismo, che esiste in alcune località del Medio Oriente, si combatte e si vince su questo terreno, mai indietreggiando di un metro su questa strada.
Se qualcuno invece chiede ai cristiani in Medio Oriente, alla Chiesa cattolica tutta, di essere il “baluardo” dell’Occidente e dei suoi modelli culturali e politici , deve essere respinto con forza. Non possiamo essere infatti il braccio religioso di un’armata “coloniale” che nega l’identità altrui per imporre la propria, e con la beffa di farlo anche in nome della “libertà” e della “democrazia”.
La completa libertà religiosa in tutto il Medio Oriente è un obiettivo da perseguire e che si può raggiungere. Ed anche la libertà di conversione deve essere un altro obiettivo da non abbandonare. In molti paesi del Medio Oriente la libertà religiosa già esiste. In alcuni è tollerata. In pochissimi è combattuta dagli estremisti, come in Iraq. La libertà di conversione invece è generalmente ostacolata, anzi impedita, dal clero musulmano. Come, d’altra parte, dalle comunità cristiane sono ostacolati con forza i matrimoni misti. Eppure, proprio in questi casi, l’amore tra i giovani e la tenacia e l’intelligenza del clero cristiano hanno permesso di superare barriere che sembravano insuperabili. Il muro, fondato sulla coartazione delle libere scelte, deve essere sfaldato dal basso, e nel contempo si deve tenacemente lottare anche “in alto”. Le autorità politiche e religiose musulmane devono essere chiamate ad affrontare questi problemi, che sono richieste ed aspirazioni di persone fatte di carne e di anima. Noi “cristiani, però, dobbiamo avere le carte in regola per poter rivendicare sacrosanti diritti. Impedire in Italia la costruzione delle moschee, farne un problema di sicurezza, e non una manifestazione della libertà religiosa, mina le fondamenta del nostro stato democratico e distrugge i nostri valori, in primo luogo la libertà per noi e per tutti.
Non si potrà andare lontano in Medio Oriente, né le comunità cristiane non potranno vivere e crescere, se noi cristiani, come persone, voltiamo le spalle a chi ci è accanto in queste terre. Nella ricerca, vana, di salvare noi, le nostre famiglie, le nostre istituzioni, le nostre Chiese dai problemi e talvolta dalle violenze. A Betlemme, dove un bambino di nome Gesù è nato, da anni si fa fatica a mangiare tutti quanti. L’emigrazione è forte. Aiutare la comunità cristiana a resistere è un dovere. Non voltare le spalle a chi vive a Betlemme, con qualunque fede è nato, è un dovere ancora più grande. A Betlemme come in ogni altro luogo del Medio Oriente.
Gerusalemme, 7 ottobre 2010
Quest'opera viene distribuita con Licenza Creative Commons. Attribuzione - Non commerciale - Condividi allo stesso modo 3.0 Italia.