20 dicembre 2013
Amira Hass – È una giornalista israeliana. Vive a Ramallah, in Cisgiordania, scrive per il quotidiano Ha’aretz e ha una rubrica su Internazionale.
Negli ultimi sei giorni i miei vicini hanno passato il tempo seduti nella loro veranda a guardare il mondo. Di tanto in tanto mi sono unita a loro. È stato molto divertente. La tempesta di neve del fine settimana ha imbiancato Ramallah ed El Bireh, in Cisgiordania.
La tempesta è stata così violenta che le moschee hanno annullato la preghiera. Sulle strade e i marciapiedi la neve si sta ormai trasformando in fango nero, ma le campagne sono ancora di un bianco candido. Ci siamo goduti la bellezza e la calma, mentre le nostre automobili erano bloccate dal ghiaccio. L’altra faccia della medaglia è stata l’aumento degli incidenti e dei ricoveri per fratture.
Anche se le nostre case sono rimaste senza elettricità per trenta ore, a noi è toccata la parte divertente della tempesta. Invece decine di migliaia di persone sono rimaste isolate per giorni, senza elettricità e senza possibilità di ricevere cure mediche. Ho scoperto con piacere che anche alcuni quartieri ebraici e varie colonie sono rimasti isolati da due a cinque giorni: significa che non c’è stata la volontà precisa di interrompere il servizio soltanto nelle aree abitate dai palestinesi. Posso sopportare l’incompetenza, ma non la discriminazione.
Come sempre a pagare il prezzo più alto è stata la Striscia di Gaza, una regione dove i disastri si susseguono senza fine. Alla vigilia della tempesta le forniture elettriche sono state ridotte al minimo (otto ore al giorno invece delle solite dodici o quattordici). Ma quando la tempesta è arrivata, il sistema di drenaggio era fuori uso. I campi profughi, i villaggi e i quartieri densamente popolati sono stati sommersi da almeno due metri d’acqua, e le case sono state evacuate usando le barche.
Almeno diecimila persone hanno trovato rifugio nelle scuole, e per tutta la durata della tempesta gli 1,7 milioni di abitanti di Gaza sono rimasti senza elettricità e gas. Seduti in veranda, non potevamo certo lamentarci per l’incapacità del comune di impiegare più veicoli per liberare le strade secondarie dalla neve.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
Neve in Cisgiordania, acqua nella Striscia di Gaza
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