Sono le 6 del mattino, il sole è appena sorto e i lavoratori palestinesi scendono dagli autobus e si avviano a piedi verso i campi. C’è chi ha un secchio in mano, chi è alla guida del proprio macchinario, e chi rincorre uno dei numerosi trattori di passaggio, prende lo slancio e si siede sul rimorchio. In pochi minuti arrivano nei campi: un’altra giornata di lavoro è iniziata. Pochi vogliono parlare o farsi fotografare, temono la reazione del loro “capo”, hanno paura di essere mandati via e licenziati. “E’ vietato fotografare qui dentro” affermano in molti – “i nostri boss non vogliono che si sappia come vengono trattati i lavoratori”.
“Lavoriamo dalle 6 alle 14, tutti i giorni fuorché venerdì e sabato” ha racconta Mohammed* a Nena News – per 8 ore di lavoro guadagniamo 70 shekel (equivalenti a 14 euro). In un mese non raggiungiamo i 1500 shekel (300 euro)”. E Mohammad è tra i “fortunati” poiché abita nel vicino villaggio di Fasayil e non deve sostenere alcun costo per i trasporti.
Diversa l’esperienza di Amir*: “Vivo a Jenin, tutti i giorni mi alzo alle 4 per venire qui, un viaggio che dura più di un’ora e che mi costa 20 shekel. Quindi di fatto alla fine della giornata guadagno 50 shekel, ho una famiglia da mantenere, una moglie e quattro figli piccoli. Senza aiuti esterni non riesco ad arrivare alla fine del mese”.
“Non solo (gli israeliani) ci hanno rubano le terre” ha continuato Mohammad – ma ci hanno anche costretto a lavorare per loro. Passo le giornata a raccogliere e ad innaffiare le coltivazioni di peperoni e di pomodori. Nel mio villaggio non ho nemmeno l’acqua corrente e sono costretto a comprare i tank da Israele”. Mohammad, come tanti altri, un tempo era un contadino e lavorava la terra che aveva ereditato dal padre. Tuttavia con la costruzione e l’espansione delle colonie e con l’inasprirsi delle politiche israeliane di confisca della terra e delle risorse idriche, i campi agricoli si sono pian piano trasformati in un deserto arido e secco costringendo gli abitanti di molte comunità palestinesi della Valle del Giordano a trovare un’altra fonte di sostentamento. E molto spesso l’esperta forza lavoro palestinese è stata assorbita dalle colonie israeliane. “Il 60% della popolazione di Fasayil lavora all’interno degli insediamenti israeliani” ha raccontato Bassam mentre è alla guida di un trattore in mezzo ad un campo di pomodori – Io lavoro qui da quando avevo 20 anni, ora mi aiutano anche 4 dei miei figli”. Nessuna distinzione di sesso od età. “Ci sono ragazzini di 12 anni che lavorano qui dentro con noi” ha continuato Bassam – lasciano la scuola perché le loro famiglie hanno bisogno di soldi”. E tra le lunghe file di piantagioni di pomodori si intravedono anche molte donne, chine e silenziose, dedite al loro lavoro. “Vengono soprattutto dalle città, da Nablus, Jenin, Tubas o Jericho” ha concluso Bassam.
Nessuno conosce con precisione il numero di lavoratori all’interno di Tomer. Ci sono sia palestinesi che thailandesi, ma come ha spiegato Amir “gli israeliani preferiscono i palestinesi perchè hanno una maggiore esperienza nell’agricoltura e perchè ai thailandesi devono dare anche vitto ed alloggio”. Oltre all’enorme area agricola, l’insediamento di Tomer ha anche un’area per l’imballaggio dei prodotti. I carciofi, le banane, i datteri, i pomodori ed i peperoni di questa colonia vengono impacchettati ed esportati all’estero. E sono gli stessi prodotti che poi ritroviamo ogni giorno sugli scaffali di molti supermercati europei ed italiani. Nena News
* nome di fantasia
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