Bulciago, Lamezia Terme, Lucca, Jesi, Pontassieve, Piacenza, Bisceglie, Cecina Livorno, Vercelli, Padova, Serdiana, Malcesine, Bari, Firenze, Taranto, Giovinazzo, Conselve, San Giovanni Lupatoto, Verona, Alessandria, Sacile, Saluzzo, Reggio Emilia, Milano, Sassari, Massa, Trieste, Lentate sul Seveso, Oderzo, Mira, Fidenza, Bardolino, Alba, Murano, Pomarolo Trento, Lonigo, Pordenone, Recoaro Terme, Cornuda, Venezia, Vicenza, Vedelago, Chioggia, Fabriano, Modena, Quarto d’Altino, Andria…
… e ancora e ancora tanti altri luoghi, sparsi in quest’Italia che sembra comunque capace di indignarsi e mobilitarsi per unirsi al grido del popolo di Palestina, quello fuori, a cui è negato il ritorno, e quello dentro, costretto e ingabbiato in una vita di oppressione quando non di morte.
Siamo partiti da Bulciago, in un grumo condensato di impegno e di resistenza al silenzio, di commozione condivisa e promessa di continuare anche e soprattutto in nome di chi non c’è più e aveva dato tutto di sé, fino a morirne. E il grumo si è sciolto in mille rivoli di acqua preziosa e vitale, quella che a Gaza e nei Territori palestinesi occupati non è bene comune, ma bene ad uso esclusivo dell’occupante. Davvero in questi giorni, in tutte queste città d’Italia, si sono lanciati ponti di conoscenza, di informazione e di …contatto.
Ma siamo partiti da Bulciago, quest’anno, per ricordare al mondo, quel mondo che attraverso le Nazioni Unite ha istituito la Giornata per i diritti del popolo palestinese, che evidentemente questo popolo non vede rispettati i suoi diritti fondamentali. E chiede a gran voce, da troppo tempo, che giustizia sia fatta.
Siamo partiti e rimasti insieme, a Bulciago, non solo per l’affetto e la riconoscenza che volevamo tributare a Vittorio, uomo senza bandiere che però la bandiera della lotta per la giustizia la teneva ben salda tra le mani; eravamo lì, donne e uomini di tantissime, diverse associazioni e provenienze, con l’unico scopo di affermare con forza che l’unica cosa che possiamo fare è porsi a fianco. Come Vittorio ha fatto. Ognuno come può, forse pochi con il coraggio e il coinvolgimento totale di questo amico incredibilmente lucido e semplicemente… umano.
Ma con la consapevolezza che la strada per una pace vera e duratura tra Israele e la Palestina che verrà non sono i proclami sterili, non sono i tentennamenti equilibristi di alcuni, né l’attesa prudente di altri. Non è il processo, ma la pace. Non i muri, ma i ponti. E poiché i muri spesso nelle fondamenta sono impastati di non sapere, i ponti devono prendere slancio innanzitutto dalla necessità imprescindibile della denuncia e della controinformazione.
E allora le parole diventano importanti, allora, come a Bulciago, l’informazione, i dati, ma anche i volti e i racconti diventano scambio, progetto, acqua che lava via ambiguità e silenzi complici. E l’oppressione si declina al plurale, in un lungo, dettagliato e concreto elenco di nomi e situazioni.
Acqua rubata, colonizzazione, muro, pozzi negati, pozzi inquinati, navi bloccate, barche affondate, armi illegali, terre e acque avvelenate. Forse qualcuno di noi già conosceva, anche se non con la precisione dei relatori, cosa accade all’acqua e alla terra di Gaza e della Cisgiordania, ogni giorno. Ognuno dei presenti era a conoscenza della vita da cani rinchiusi che le persone sono costrette a fare nella loro terra, nelle loro case. Ma trovarsi insieme a precisare l’orrore e l’assurdità di embargo e occupazione, è stato più di un convegno. È andato oltre il ‘dialogare su’.
È stato un piccolo, importante passo per una lotta comune. Ed è stato difficile, e di questo ringraziamo Egidia ed Alessandra e quanti Vittorio lo conoscevano profondamente e lo hanno amato, per la fatica che hanno fatto ad esserci e a restare quando le lacrime sembravano proprio non volersi fermare, è stato difficile coniugare impegno, commozione, emozione e anche rabbia, sì, anche quella. Ma questo abbiamo cercato di fare insieme, perchè questo avevamo promesso a Vittorio, sei mesi fa.
Non vogliamo dimenticarci di lui, della sua umanità. Non vogliamo dimenticare il suo lavoro, il suo percorso umano lungo i sentieri stretti della nonviolenza. Non vogliamo soprattutto lasciare soli i suoi, i nostri amici. E ci ripetiamo, ancora una volta e da quel giorno, i pensieri che gli abbiamo dedicato quando delle mani assassine hanno interrotto la sua vita:
“Non ce ne andiamo, perché riteniamo essenziale la nostra presenza di testimoni oculari dei crimini contro l’inerme popolazione civile ora per ora, minuto per minuto”.
Così ripetevi durante Piombo fuso, unico italiano rimasto lì, tra la tua gente, tra i volti straziati dei bambini ridotti a target di guerra. Così mi hai ripetuto pochi mesi fa prima di abbracciarmi: io obbedivo all’ultimatum dei militari al valico di Heretz che mi ordinavano di uscire dalla Striscia, ma tu restavi. Questa era la tua vita: rimanere.
Sei rimasto con gli ultimi, caro Vittorio, e i tuoi occhi sono stati chiusi da un odio assurdo, così in contrasto, così lontano dall’affetto e dalla solidarietà della gente di Gaza, da tutta la gente di Gaza che non è “un posto scomodo dove si odia l’occidente”, come affermano ora i commentatori televisivi, ma un pezzo di Palestina tenuta sotto embargo e martoriata all’inverosimile.
Ci inchiniamo a te, Vittorio. Ora sappiamo che i martiri sono purtroppo e semplicemente quelli che non smettono di amare mai, costi quel che costi.
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