Di Ireo Bono
L’Occupazione israeliana senza fine dei Territori palestinesi, giustificata dai governi israeliani come provvisoria, temporanea, e per garantire la sicurezza, è in realtà una strategia di controllo militare volta a cancellare l’identità del popolo palestinese ed impedire la nascita di uno Stato.
Con l’occupazione della Cisgiordania e l’isolamento completo della Striscia di Gaza, c’è un controllo dello spazio aereo, del mare e del territorio mediante i check-point, il Muro, le barriere, le strade e soprattutto con gli insediamenti delle colonie ebraiche, che determinano la frammentazione del territorio e l’isolamento dei villaggi palestinesi.
C’è, da parte dei governi israeliani, un controllo dell’acqua potabile, dell’energia, delle vie di comunicazione, della pesca e dell’agricoltura, dei movimenti e dell’autonomia delle persone, dei lavoratori, degli studenti, delle forniture mediche e dei malati palestinesi, e perfino dei turisti.
Con l’occupazione c’è una presenza ubiquitaria, minacciosa, prepotente e violenta dell’IDF e dei coloni armati, c’è la distruzione di case palestinesi ed il furto di terreni, il divieto di costruzione, la demolizione completa o parziale di centinaia di luoghi storici musulmani e cristiani, la scomparsa della toponomastica e dei villaggi palestinesi, la giudaizzazione dei luoghi sacri e di Gerusalemme, la negazione della Nakba e della storia palestinese. Non è un caso che Israele abbia bloccato la missione dell’Unesco per il controllo di una ventina di siti storici di Gerusalemme.
C’è una occupazione che oltre a rendere assai dura la vita dei palestinesi, privati di ogni diritto, mira, oltre ad avere il massimo del territorio con la minima presenza di abitanti autoctoni palestinesi, a cancellare la loro identità come popolo, come scrive, il famoso scrittore israeliano Abraham Yehoshua, forse senza rendersi conto della gravità delle sue parole, rivolgendosi ai Palestinesi, nell’articolo ‘Il diritto di esistere’ sulla rivista GEO 29/08 :
“ La vostra terra è di fatto nostra, i luoghi in cui vivete un tempo appartenevano a noi e accanto ai nomi delle vostre città e dei vostri villaggi noi scriveremo quelli originali. Non siamo venuti qui a sfruttarvi, a conquistarvi e nemmeno ad assimilarvi. Vogliamo però cambiare la vostra realtà ricollegandola ad un passato storico completamente differente”.
E’ questo il progetto sionista di uno Stato ebraico, fondato su un territorio, la Palestina, in cui viveva un altro popolo, ‘la sposa era già promessa’, non per accogliere gli Ebrei ma solo gli Ebrei, ossia le persone di religione ebraica, riservando ai non ebrei, nella migliore delle ipotesi, una cittadinanza di serie B. Progetto già evidente, prima della nascita dello Stato d’Israele, considerato che secondo quanto scrive lo storico palestinese Nur Masalha, il movimento sionista aveva progettato tra il 1930 ed il 1948 nove piani diversi per il trasferimento forzoso della popolazione autoctona palestinese, a cominciare dal Weitzmann Transfer Scheme del 1930 fino al piano Dalet eseguito nel 1948.
Se per crimine contro l’Umanità si intende il tentativo di genocidio di un Popolo, a me pare che l’Occupazione israeliana, con la colonizzazione, con l’apartheid, la pulizia etnica e la volontà di cancellare la realtà e l’identità del Popolo palestinese, sia da considerare un crimine contro l’Umanità.
E allora è illusorio ed assurdo aspettarsi da negoziati diretti tra Palestinesi e Stato d’Israele la fine dell’Occupazione ed una pace giusta, che si dovrebbero invece ricercare, come scrive Amjad Alqasis nell’articolo ‘Una Nakba senza fine’, attraverso l’applicazione ed il rispetto del diritto internazionale, in particolare dei diritti umani e del diritto penale internazionale, ignorati e violati dallo Stato d’Israele.
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