22 Lug 2013
L’annuncio di Kerry? Non è successo niente, nessun punto di svolta, nessun momento storico. Semplicemente un’altra via per Israele per guadagnare tempo e evitare le pressioni internazionali mentre prosegue nella colonizzazione della Palestina. Che sia chiaro una volta per tutte: fino a quando non ci saranno forti pressioni e sanzioni da parte degli Stati Uniti, il “processo di pace” resterà virtuale, mentre la colonizzazione continuerà concretamente.
La strategia israeliana alla Conferenza di Madrid del 1991 fu quella di parlare a vuoto per ore al tavolo dei negoziati (Foto: Parlamento israeliano)
“Israele e palestinesi rinnoveranno i negoziati di pace”, era il titolo di Ha’aretz del 21 luglio. E allora? Dopo mesi di visite, promesse e pressioni – soprattutto su Mahmoud Abbas – il segretario di Stato John Kerry ha ottenuto l’impegno da parte dell’Autorità Palestinese e del governo israeliano a ritornare al dialogo. Benjamin Netanyahu si è detto d’accordo a porre fine a tre anni di rifiuto di dialogo con la leadership palestinese.
“Netanyahu è di fronte all’opportunità della sua vita di entrare nella storia”, ha scritto l’analista israeliano Aluf Ben su Ha’aretz. Nel caso migliore questo è il pensiero ottimista di un editorialista, in quello peggiore pura mistificazione. Netanyahu non ha alcuna intenzione di raggiungere un accordo con i palestinesi e la radicalizzazione di destra del suo stesso partito – così come quella dei partner di coalizione – lo rende del tutto impossibile.
Parlare non significa necessariamente fare delle concessioni. Ci si dovrebbe ricordare di un precedente capitolo dei negoziati israelo-palestinesi, quando il primo ministro israeliano Yitzhak Shamir fu costretto dall’amministrazione americana a partecipare alla Conferenza di Madrid: ordinò al team israeliano di guadagnare tempo parlando per ore al tavolo dei negoziati di cose senza senso.
Solo la reale e potente pressione politica e finanziaria (13 miliardi di dollari) avviata dal presidente George Bush fu in grado di cambiare l’attitudine israeliana: Shamir perse le elezioni e Yitzhak Rabin fu eletto al fine di portare avanti il processo di pace. È molto improbabile che Barack Obama avvii un simile tipo di pressioni su Netanyahu e il suo governo e che la decisione di “negoziare” dell’esecutivo israeliano sia diversa da quella di Shamir a Madrid.
Per i prossimi mesi, i team di negoziatori discuteranno a tempo indeterminato se negoziare un’agenda. Poi – se il “processo” non morirà prima – sprecheranno mesi sull’agenda stessa. Se, per un qualche miracolo (e il coinvolgimento americano), tutto questo avverrà, ci saranno le elezioni in Israele e ovviamente le elezioni saranno un pretesto legittimo per un ulteriore rinvio.
Ma supponiamo che in Medio Oriente i miracoli esistano e che si arrivi all’accordo su tempi e agenda: allora il governo israeliano porrà una precondizione, il riconoscimento da parte dell’ANP di Israele come Stato ebraico (e democratico, naturalmente). Supponiamo per un momento che Abu Mazen – o chiunque ci sia al suo posto – accetti tale precondizione: Netanyahu – o chi al suo posto in quel momento – chiederà al Consiglio Nazionale Palestinese di dichiarare la sua fedeltà al Sionismo e di sedere come osservatore al tavolo dell’Organizzazione Sionista Mondiale.
L’annuncio di Kerry? Non è successo niente, nessun punto di svolta, nessun momento storico. Semplicemente un’altra via per Israele per guadagnare tempo e evitare le pressioni internazionali mentre prosegue nella colonizzazione della Palestina.
Michel ‘Mikado’ Warschawski,
Alternative Information Center
Inviato da aicitaliano il Lun, 22/07/2013 – 09:20
http://www.palestinarossa.it/?q=it/content/aic/ok-parliamone%E2%80%A6
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