tratto da: http://nena-news.it/onu-a-israele-basta-demolizioni-nelle-comunita-rurali-palestinesi/
03 mar 2021
Gli effetti di una demolizione a Humsa al-Bqaia, novembre 2020 (Fonte: Ocha)
della redazione
Roma, 3 marzo 2021, Nena News – E’ uscito ieri il rapporto dei relatori speciali delle Nazioni Unite per Israele e i Territori occupati palestinesi, Balakrishnan Rajagopal e Michael Lynk, che analizza la situazione dei villaggi palestinesi nella Valle del Giordano. Con un appello: a Israele si chiede di interrompere le demolizioni di case e strutture nella zona, comunità rurali che vivono di agricoltura e pastorizia.
Nello specifico i due esperti parlano del villaggio beduino di Humsa al-Bqaia – in Area C, sotto il controllo militare e civile israeliano – dove la distruzione di case tradizionali, stalle per gli animali e container di acqua sta mettendo a rischio la vita di decine di palestinesi: secondo i costanti aggiornamenti dell’agenzia dell’Onu Ocha, il villaggio è stato preso di mira più volte a febbraio. Il 22 sono state confiscate 18 strutture abitative e per gli animali, ma anche aiuti alimentari e container d’acqua, per lo più donati da governi e organizzazioni internazionali dopo le precedenti confische e demolizioni.
“Le demolizioni che continuano da parte dell’esercito israeliano di case e la distruzione e la confisca di proprietà, compresi aiuti umanitari, in Humsa al-Bqaia stanno creando grandi difficoltà ai circa 60 residenti, di cui 35 bambini”, si legge nel rapporto pubblicato ieri. Che aggiunge: “Colpire gli abitanti tramite le loro case e le loro terre è particolarmente punitivo visto il difficile inverno trascorso e la costante presenza dei pericoli della pandemia”.
Il riferimento all’assistenza umanitaria chiama in causa le stesse Nazioni Unite e in primis l’Europa: diversi Stati membri, molti dei quali europei, insieme a organizzazioni internazionali, hanno donato strutture ai residenti in diverse occasioni, almeno 93, poi distrutte o confiscate dai militari israeliani negli ultimi mesi.
Risale allo scorso venerdì il comunicato congiunto di sette paesi europei (Germania, Irlanda, Gran Bretagna, Francia, Belgio, Norvegia ed Estonia) che condanna le demolizioni di case e di strutture donate dalla Ue a Humsa al-Bqaia: “Ribadiamo a Israele la nostra richiesta di interrompere le demolizioni e le confische – si legge nella nota – e la nostra ferma opposizione alla politica coloniale israeliana e alle azioni prese in tale contesto, quali trasferimenti forzati, sfollamenti, demolizioni e confische di case e di aiuti umanitari, illegale secondo il diritto internazionale”.
Il villaggio, secondo le autorità israeliane, si troverebbe in un’area che l’esercito ha destinato alle esercitazioni. Un caso affatto isolato: se quasi l’intera Valle del Giordano ricade in Area C, le zone militari unilateralmente dichiarate ne rappresentano il 30%. Qui vivono 38 diverse comunità palestinesi beduine, per un totale di 6.200 persone, che più volte in passato hanno subito sfollamenti e confische, oltre a vivere nella pressoché totale assenza di servizi (elettricità, acqua corrente, servizi sanitari, educazione).
La stessa situazione si riscontra nelle colline a sud di Hebron, dove ricade la nota Firing Zone 918, oggetto di decennali proteste per lo sfollamento dei suoi abitanti con la giustificazione delle esercitazioni militari.
A rispondere a Tel Aviv sono Rajagopal e Lynk nel rapporto: “Queste giustificazioni da parte di Israele non soddisfano i suoi stringenti obblighi secondo il diritto internazionale. Un potere occupante non può usare il territorio sotto occupazione per condurre esercitazioni militari senza un’ampia motivazione. Sottolineiamo che Israele è pieno di terre dedicate all’esercitazione militare entro i suoi confini”.
Se nel caso di Humsa al-Bqaia la giustificazione è militare, nel resto della Cisgiordania e della sua Area C – il 60% del territorio – la motivazione addotta per le demolizioni è la mancanza di permessi di costruzione: nonostante si tratti di Territori palestinesi, chi vive in Area C deve – secondo la legge israeliana – richiedere permessi di costruzione alle autorità di Tel Aviv, permessi che secondo le organizzazioni per i diritti umani che monitorano la zona non vengono rilasciati praticamente mai.
E si arriva così a ampie campagne di demolizioni: secondo l’Ocha, in queste prime settimane del 2021, l’esercito israeliano ha già distrutto 227 strutture palestinesi, lasciando senza un tetto sulla testa 367 persone, di cui circa 200 bambini. Un aumento del 185% delle demolizioni se paragonato allo stesso periodo del 2020 e del 450% di strutture donate da finanziatori internazionali. Nena News
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