tratto da: NENA NEWS
09 giu 2020
“Ci sono molte similitudini nelle forze di polizia e nella disparità di forza usata contro i manifestanti che provano a ottenere giustizia”, riferisce un palestinese al MEE
di Sheren Khalel* Middle East Eye
* (Traduzione di Valentina Timpani)
Roma, 9 giugno 2020, Nena News – Le scene di rabbia che sono esplose in almeno tre dozzine di città statunitensi da quando la polizia ha ucciso George Floyd lunedì scorso permettono agli attivisti e ai palestinesi americani di tutto il paese di fare dei paragoni con le strategie israeliane. Le autorità statunitensi – la polizia e la guardia nazionale – hanno lanciato gas lacrimogeni contro raduni pacifici, arrestato in massa manifestanti, attuato il coprifuoco, trattenuto legislatori e giornalisti, tutte strategie comunemente usate da Israle contro i palestinesi. Date alcune proteste diventate violente, specialmente in tarda notte, con alcuni dei dimostranti che bruciano le automobili della polizia, danneggiano gli edifici e saccheggiano i negozi, anche il dibattito sulla lingua usata per descrivere questi eventi è stato simile al discorso in Medio Oriente. Nonostante l’obiezione di gran parte dei palestinesi, le autorità israeliane usano regolarmente il termine “disordini” per descrivere anche piccole proteste palestinesi.
Mentre i critici negli Stati Uniti hanno usato quella parola per descrivere il dare fuoco e saccheggiare edifici in alcune delle recenti manifestazioni, molti attivisti dicono che questo comportamento potrebbe essere più indicativo di una “ribellione”, o “rivolta” (la traduzione di “intifada”), e paragonano le azioni dei protestanti al danno economico che ebbe luogo durante il Boston Tea Party, che contribuì a scatenare la rivoluzione americana.
Mariam El-Khatib, una ventiquattrenne palestinese americana che è cresciuta nella Cisgiordania occupata durante la Seconda Intifada, ha partecipato alle prime proteste a Minneapolis martedì, il giorno dopo che un poliziotto bianco ha ucciso il quarantaseienne Floyd, un uomo nero.
La polizia aveva arrestato Floyd in seguito alla segnalazione di qualcuno che stava provando, secondo quanto riportato, a usare una banconota falsa da venti dollari in un minimarket del posto. Le riprese video dell’incidente lo mostrano in manette mentre tre poliziotti lo bloccano a terra, uno dei quali gli preme il ginocchio sul collo fino a quando Floyd perde conoscenza e muore.
Nel video, si riesce a sentire Floyd ripetutamente dire a fatica che non riesce a respirare. Da allora, sono esplose in tutto il paese proteste ininterrotte.
“Un flashback alla Palestina”
Gran parte delle proteste si sono limitate, nei primi giorni, a essere pacifiche per poi diventare, soprattutto di notte, sempre più conflittuali mentre alcune forze di polizia hanno iniziato a comparire velocemente in assetto antisommossa, come mostrano i video.
“Quando hanno iniziato a usare il gas lacrimogeno contro i manifestanti, è stato per me un flashback alla Palestina, all’ultima volta in cui avevo sentito l’odore del gas lacrimogeno”, ha riferito El-Khatib al Middle East Eye, richiamando eventi accaduti durante il giorno della prima protesta. Mentre molte nazioni usano il gas lacrimogeno come forma di controllo della folla, l’uso quasi quotidiano di questo gas nocivo da parte di Israele è famigerato, gli studiosi nel 2018 hanno etichettato il campo profughi Aida nella Cisgiordania occupata “il posto più attaccato dal gas lacrimogeno al mondo”.
Da martedì, ha affermato El-Khatib, il gran numero di poliziotti in relazione ai manifestanti ha richiamato alla mente le dinamiche che emergono durante le manifestazioni palestinesi contro le schiaccianti forze israeliane.
“L’incredibile numero di poliziotti che si vedono in strada è sorprendente – e anche il tipo di attrezzatura – tipo, quando si sente ‘polizia militarizzata’, è quello che si vede per le strade di Minneapolis”, ha affermato.
All’inizio di questa settimana, gli attivisti sui social media hanno cominciato a segnalare che circa cento poliziotti di Minneapolis erano stati addestrati presso un consolato israeliano nel 2012, insieme a forze dell’ordine israeliane.
Le forze di polizia americane di tutto il paese, dagli anni 90, vanno a fare addestramento in Israele – una nazione criticata dalle organizzazioni per i diritti umani di tutto il mondo a causa dei suoi omicidi extragiudiziali e dell’uso sproporzionato della forza contro i palestinesi.
Anche il dipartimento di stato statunitense in passato ha citato la polizia israeliana per aver eseguito “omicidi arbitrari o illegali”.
Secondo Amnesty International, centinaia di ufficiali delle forze dell’ordine statunitensi sono stati addestrati in Israele, attraverso viaggi finanziati privatamente o pubblicamente, mentre altre migliaia sono state addestrate dalle forze israeliane negli Stati Uniti.
Gli attivisti pro-palestinesi hanno fatto, per anni, campagne contro questa pratica, sostenendo che Israele non è un paese che la polizia statunitense dovrebbe emulare.
“Ciò che le forze dell’ordine americane imparano dalla sorveglianza israeliana è una politica ufficiale che marchia come sospetta un’intera popolazione, un modello che è in diretta opposizione agli sforzi per porre fine alla profilazione razziale che è da tempo costitutiva della sorveglianza americana”, ha detto la Jewish Voice for Peace in un rapporto del 2018.
Dopo la prima notte dall’inasprimento del governo statunitense sui manifestanti questa settimana, il gruppo di lavoro solidale alla Palestina dei Socialisti Democratici d’America ha detto che la violenza della polizia a Minneapolis veniva “dritta dalle strategie delle IDF”, usando un acronimo per l’esercito israeliano.
“Le armi che sono definite ‘meno letali’ incluso il gas lacrimogeno vengono prodotte negli Stati Uniti e vendute a Israele, dove vengono testate e usate sui Palestinesi”, ha affermato il gruppo, aggiungendo: “La tecnologia di sorveglianza viene prodotta in Israele e portata negli Stati Uniti per invadere la privacy di neri, musulmani, poveri e di persone emarginate in altri modi”.
‘Uso selettivo dell’aggressività’
Sabato, le forze israeliane hanno ucciso un trentaduenne palestinese disarmato affetto da autismo, sparandolo proprio fuori la scuola per persone con bisogni speciali che frequentava.
Le forze hanno affermato che credevano che Eyad al-Halak fosse armato, e che mentre stava provando a scappare un ufficiale gli ha sparato diverse volte con un M-16, uccidendolo all’istante.
El-Khatib ha detto di credere che se al-Halak fosse stato israeliano piuttosto che palestinese la sparatoria non sarebbe mai avvenuta.
El-Khatib ha menzionato le disparità nella risposta pacifica e temperata della polizia di fronte ai manifestanti ben armati e principalmente bianchi che hanno preso d’assalto i palazzi del governo statunitensi protestando contro le restrizioni dovute al coronavirus all’inizio di questo mese.
“L’uso dell’aggressività è molto simile e rievocativo di quello che vediamo da parte delle forze israeliane in Palestina, dove si sceglie di essere aggressivi con la popolazione palestinese, ma se un colono israeliano compie un aggressione viene gentilmente scortato lontano”, ha riferito.
Il comico e professore di giurisprudenza palestinese americano Amer Zahr ha tracciato un contrasto tra l’uso mortale della forza contro Floyd e il trattamento di Dylann Roof, un uomo armato bianco che è stato arrestato con calma e messo in prigione dopo aver sparato e ucciso nove parrocchiani neri in una chiesa nel 2015.
“Non dimenticate mai che George Floyd è stato ucciso e a Dylann Roof è stato comprato un hamburger”, ha detto Zahr.
“Considerata la raccapricciante eredità omicida della supremazia bianca, i miei fratelli e sorelle afroamericani si sono comportati più volte in modo straordinariamente pacifico”, ha scritto in un altro tweet.
Eppure, molti manifestanti hanno criticato quelli che qualcuno ha chiamato “attori esterni” che hanno lanciato mattoni, pietre e molotov contro le macchine della polizia e i palazzi, molto similmente alle strategie spesso usate dai palestinesi durante gli scontri contro le forze israeliane.
‘Ci sono molte similitudini’
Un palestinese che vive ora appena fuori Minneapolis ha riferito al MEE che la prima volta che ha compreso lo scopo della battaglia afroamericana nella sua totalità è stato nel 2014, quando scoppiarono delle proteste a Saint Louis contro l’uccisione da parte della polizia del diciottenne disarmato Michael Brown.
Mohammed – il cui nome è stato cambiato in questo articolo – è cresciuto in un campo profughi nella Cisgiordania occupata, ma si era trasferito negli Stati Uniti per un corso di laurea magistrale e viveva a Saint Louis in quel periodo.
Prima di quelle proteste, che si diffusero in tutto il paese, non aveva idea che gli afroamericani affrontassero così tante delle stesse ingiustizie contro le quali lui combatteva da tutta la vita in quanto palestinese che cresce sotto l’occupazione israeliana.
“C’era così tanto di cui non ero a conoscenza”, ha detto Mohammed. “Rimasi sconvolto nel vedere che un uomo nero con le mani in aria era stato sparato da un poliziotto, lasciato con i proiettili in corpo, sanguinante a terra, ma sono cose che sono abituato a vedere in Palestina quotidianamente”.
Sei anni dopo, vivendo a Minneapolis da quasi un anno, conosce bene questa volta la lotta afroamericana e non è rimasto affatto sorpreso nel sentire che un altro poliziotto bianco aveva ucciso un’altra persona nera disarmata.
Mohammed afferma che basta sostituire la parola “bianco” con “israeliano” e la parola “nero” con “palestinese”, e l’incidente sarebbe sembrato molto simile a una regolare notizia proveniente da Israele. Ha detto che le proteste massicce seguite all’omicidio e i successivi inasprimenti da parte del governo erano da aspettarsi.
‘Giustizia per la loro causa’
“Ci sono molte similitudini nelle forze di polizia e nella disparità di forza usata contro i manifestanti e le altre persone che stanno cercando di ottenere giustizia per la loro causa”, ha detto al MEE.
“Mi ricorda [la Palestina] non solo a causa delle strategie che la polizia usa contro la gente, ma per tutto il sistema, che mira a colonizzare la coscienza delle persone e a smantellare qualsiasi tipo di movimento popolare”.
Sarah, un’ebrea americana dell’area di Minneapolis sposata con Mohammed, è un’attivista per la giustizia sociale da gran parte della sua vita. Anche il suo nome è stato cambiato in questo articolo perché le è stato vietato più volte di entrare a Israele.
Per lei, uno degli aspetti più frustranti delle proteste che sono esplose all’indomani dell’uccisione di Floyd è la reazione negativa da parte di molti americani bianchi liberali al danno economico che ne è risultato, ai saccheggi e agli incendi. Dice che ciò svaluta “le persone di colore per il modo in cui si stanno ribellando contro l’ingiustizia”.
“I bianchi hanno questo bisogno di venire a comandare, a sottovalutare e a rafforzare le loro idee di quale sia la forma politicamente corretta di resistenza… ho sentito così tante persone dire cose del tipo ‘beh se i palestinesi non lanciassero pietre, allora…’, come se lanciare pietre svaluti la loro causa”.
In ogni caso, Mohammed e Sarah sono d’accordo nell’affermare che se ci sarà speranza di ottenere il tipo di giustizia che porterà alla pace, un cambiamento sistemico deve avvenire negli Stati Uniti e in Israele.
“Gli stessi eventi che sono successi in passato continuano a ripetersi”, ha detto Mohammed.
“Cosa stiamo imparando? Quante persone dovranno morire prima che sia fatta giustizia? Non so distinguere se tutte le domande che mi sto ponendo adesso hanno a che fare con la Palestina o con la comunità nera e indigena di qui”. Nena News
http://nena-news.it/opinione-i-palestinesi-americani-paragonano-luso-della-forza-statunitense-a-quello-israeliano/
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